Il Tredicesimo Cavaliere

Scienze dello Spazio e altre storie

Riff su jazz e fantascienza

Abbiamo spedito a Paul Gilster l’articolo di Massimo Mongai pubblicato qualche settimana fa. Paul ci ha risposto con un interessante testo, che i lettori troveranno tradotto qui di seguito sempre da Mongai, unitamente ad altre sue considerazioni. Speriamo di tornare ancora sull’argomento.

(Image1: Herbie Hancock)

 Herbie+Hancock+Herbie Scrive dunque Paul Gilster:

“Qualche considerazione sul jazz e la fantascienza. Temo che la traduzione (dell’articolo di Mongai segnalato sopra, nde) fatta da Google mi abbia dato dei problemi, quindi non sono in grado di rispondere ad ogni punto. Ma in generale posso ben vedere da dove viene il confronto tra le due. Io sono un appassionato di jazz di lunga data. Se ripenso alla mia esperienza, ricordo che stavo leggendo fantascienza in gran quantità sin da quando avevo dieci anni e che ho cominciato ad ascoltare enormi quantità di jazz quando ho raggiunto i 15. Entrambi quindi sono parti essenziali della mia giovinezza, e il saggio sul vostro sito mi ha fatto riflettere sul perché sembrano collegati.

 In molti modi tutta la scrittura narrativa è improvvisazione, quindi suppongo che il tema più ampio sia che la creazione di prospettive umane attraverso la finzione fa sempre ciò che il fa jazz – cerca di trasmettere una percezione o una esperienza umana individuali. Ora il jazz, che discende della musica gospel e blues, trae la sua forza dall’improvvisazione. E suppongo che il punto in cui la fantascienza più si avvicina allo spirito di improvvisazione del jazz è nel modo in cui è disposta a piegare su se stesse le idee, a creare uno o più riff, quasi dei ritornelli su determinati fatti noti in modo da creare versioni alternative di ciò che potrebbe accadere domani (o in alcuni tipi di fantascienza, quello che potrebbe essere successo in anni passati).

 (N.d.T. In Italiano siamo soliti tradurre riff come ritornello. Ma la parola è un po’ più complessa. Il lettore scelga la propria interpretazione preferita nel testo di Gilster verificandolo con questa pagina di Wikipedìa.)

Miles

(Image 2: Miles Davis)

Così uno scrittore di fantascienza può fare qualcosa di simile a ciò che sto sentendo Horace Silver fare in questo momento – mentre scrivo sto ascoltando il meraviglioso album  Song For My Father. Silver evoca una infinita magia dagli 88 tasti del piano, così come uno scrittore di fantascienza evoca mondi da leggi ben fondate della fisica, mentre a volte lo fa piegando a volte quelle leggi lungo i loro confini meno esplorati. Capisco quindi cosa intendeva il vostro autore: ci sono una emozione ed una sorta di spavalderia nella fantascienza che mi ricordano il jazz.

Detto questo, mi sorprende che io conosca abbastanza pochi appassionati di fantascienza che siano anche degli ascoltatori di jazz. La musica jazz, negli Stati Uniti almeno, conta una comunità ancora vivace ma relativamente rarefatta. È certamente lontana dal morire e ho sentito cose meravigliose per il futuro da molti nuovi musicisti, ma non è diventata così diffusa come avrei voluto che fosse. Non la vedo come elitaria, ma è difficile negare che il gusto per questa musica sembra relativamente poco comune rispetto a ciò che tendiamo a sentire sulla maggior parte delle stazioni radio.

 La fantascienza – almeno del genere scritto – è paragonabile al jazz anche nel fatto che ha sviluppato una piccola comunità di appassionati molti anni fa ma, lo abbiamo visto grazie a film come Avatar, nelle mani di Hollywood è diventata una grande forza nel campo dell’intrattenimento. Chissà, forse la capacità della fantascienza di convincere la gente a ripensare ai propri presupposti porterà alcuni a riconsiderare anche le scelte musicali, e in questo caso il jazz acquisterà un nuovo gruppo di ammiratori! Sarebbe un’aggiunta gradita alla scena musicale, e io penso che potrebbe arricchire la vita dei lettori di fantascienza che arriverebbero al jazz classico per la prima volta. John Coltrane, Miles David , Herbie Hancock e tanti altri sono perfettamente in grado di espandere i nostri orizzonti tanto quanto i migliori scrittori di fantascienza.”

 Coltrane2(Image 3: John Coltrane)

Un confronto personale

Ho trovato illuminante il pur breve testo di Gilster. Prima di tutto il mio personale percorso è identico: anche io ho cominciato a leggere FS verso i 12 anni ed ho scoperto il jazz verso i 15. Ho portato avanti separatamente le due cose, rendendomi conto di quanto abbiano in comune solo in tempi recenti. Per altro fino a pochissimo tempo fa pensavo che i punti in comune fossero solo quelli relativi al quando ed al dove dell’inizio (l’America degli anni 20) ed il poi, la trasformazione da generi di “consumo culturale” ultrapopolari ad uno quasi elitario. Ma Gilster parla di un’altra cosa che entrambi hanno in comune, ad esempio l’improvvisazione su temi dati o meno, e il riff, qualcosa di più di un ritornello. Gilster suggeriste un riff sulla rielaborazione delle leggi della fisica ed una loro forzatura. Cos’è l’iperspazio o la navigazione warp se non uno dei molti riff della fantascienza? Ed al tempo stesso una improvvisazione sulle leggi dello spazio-tempo per come le conosciamo? Ci sono cose che sappiamo di non poter scrivere, i tasti del piano sono 88 e le note solo sette, ma quante sinfonie se ne possono ricavare? Fermo restando che la velocità della luce non la posso superare, mettiamo il caso che io voglia improvvisare uno standard del tipo di Take Five, cosa succede? Cosa se…? “What if…?”. Inolte, in un articolo scritto a margine del primo congresso del 100YSS nel 2011, Gilster dice:

“Leggete da cima a fondo documenti sui viaggi interstellari come quelli presentati al congresso e sarete presi in un brainstorming vivace e contagioso. E’ quel tipo di continua rielaborazione mentale di un’idea che un John Coltrane e un McCoy Tyner fanno con un tema musicale.”

 E’ vero che tutto ciò nel genere, nei generi, è comune: ogni genere ha i suoi sottogeneri e le variazioni su un tema. Ma Gilster parla di spavalderia della fantascienza! Ed ha ragione! La fantascienza è spavalda! Gilster dice swagger ed io mi sono perso appresso agli etimi di entrambe le parole e, spavaldamente, lascio a voi questo piacere.

HSilver(image 4: Horace Silver) La parola spavalderia non è del tutto positiva, ha in sé qualcosa di arrogante, ma anche molti assoli di jazz lo sono, anche la forza cosciente di sé lo è, anche la gioventù, insomma ci sono cose spavalde che sono belle così, perché sono spavalde. E fra queste forse lo è la fantascienza, per questo fa paura al mondo accademico che spavaldo non è, se mai è autoritario, e quindi (non ostante coraggiosi tentativi) ignora il genere letterario, tutti i generi, se non come elemento antropologico, da studiare come casistica, materia bassa, come fosse fenomeno sociale, sottoletteratura, come chissene importa se lo è! La Fantascienza come tutto il genere letterario e forse più di altri generi ha una sua forza spavalda, al punto che, come giustamente puntualizza Gilster, è uno dei generi fantastici più praticati da Hollywood, non c’è mese che non veda film di fantascienza nelle sale, per non parlare nelle televisioni o su Rete, e sono moltissimi quelli che proprio non arrivano in Italia.

Anche Gilster nota come il jazz sia estremamente vitale, pur appoggiandosi ad una comunità ristretta, e si sorprende (se posso dirlo, diversamente da me) che fra i fan di jazz che conosce non ci siano più appassionati di FS. E’ tematica questa molto interessante, ma richiederebbe approfondimenti sui dati, ad esempio sul perché le donne non suonano il sassofono. Ma ci torneremo. Lo so, sembro fissato, ma anche questo, se volete, è un riff.

 MASSIMO MONGAI

editing DONATELLA LEVI

25 febbraio 2014 Posted by | Fantascienza, News | , , , | Lascia un commento

Elettricità e calore dai radioisotopi

Quando fu lanciato nel 2011, Curiosity portava con sé un materiale così potente che il Presidente degli Stati Uniti fu chiamato ad approvare il lancio. Questo materiale, il Plutonio-238 (Pu-238), è usato per generare elettricità dai processi di decadimento radioattivo ed è stato essenziale in almeno 30 missioni nella storia della NASA. Ora però il suo futuro è messo in dubbio: dal 1988 gli Stati Uniti non hanno più generato Pu-238 e le scorte esistenti sono quasi terminate. Ma dopo anni di sforzi da parte di centinaia di persone in tutta l’amministrazione governativa, gli Stati Uniti sono sul punto di produrre di nuovo il Pu-238. È un programma ampio e complesso che richiede un complicato coordinamento tra varie agenzie federali, il Congresso e la Casa Bianca, e che ha rischiato di non sopravvivere alle prime battaglie politiche e di bilancio. Ma mentre nuove sfide sopraggiungono, la NASA ha silenziosamente acquisito uno dei suoi più importanti successi politici degli ultimi decenni.

(immagine 1: il decadimento radioattivo del Pu-238)

 decay

Il Plutonio-238

Le rimanenze della scorta nazionale di Plutonio-238 sono custodite negli impianti di sicurezza del laboratorio nazionale di Los Alamos, nel Nuovo Messico. L’ammontare esatto non è un dato di pubblico dominio ma è probabilmente meno di 30 kg. Questi ultimi preziosi chilogrammi sono in grado di consentire solamente un numero ristretto di missioni. La NASA si trova di fronte a una tale drammatica carenza di scorte che una vasta area del nostro sistema solare diventerà inaccessibile, a meno che non venga creato nuovo plutonio al più presto. L’energia solare cala drammaticamente di intensità quanto più ci si allontana dal Sole. In pratica, ogni volta che la distanza dal Sole raddoppia l’energia ricevuta da esso diminuisce di un fattore quattro (la legge dell’inverso del quadrato della distanza). Un’astronave che si diriga a grandi distanze dal Sole avrebbe quindi bisogno di pannelli solari sempre più grandi per poter generare la stessa quantità di energia, ma esistono limitazioni alla massa e altri problemi di carattere ingegneristico che limitano le dimensioni dei pannelli e ne restringono l’uso a missioni da svolgersi entro la Cintura degli Asteroidi. Chiunque si avventuri negli spazi profondi o esplori aree in ombra o pervase dalla polvere non può permettersi di dipendere dal Sole per l’elettricità. Il Plutonio-238 è l’unica risposta pratica per generare corrente elettrica in questo tipo di missioni.

 Il Plutonio-238 è un isotopo instabile che decade naturalmente e si trasforma in uranio-234 grazie alla liberazione di una particella alfa (in pratica un nucleo di elio). Questa si scontra poi con l’ambiente circostante creando calore, il quale viene convertito in energia elettrica tramite un generatore termoelettrico a radioisotopi (RTG). Tale isotopo non si trova in natura, e la sua vita media di circa 87 anni garantisce che ogni scorta naturale decadrà in tempi geologici. Per mantenerne un rifornimento adeguato il Pu-238 deve essere creato e ricreato costantemente.

Jim Green ha capito il problema perfettamente. Come direttore della Divisione di scienze planetarie della NASA è responsabile delle missioni la cui destinazione si trova entro i confini del sistema solare, ed è una delle figure chiave che stanno conducendo gli sforzi della NASA finalizzati a ricominciare la produzione del Plutonio. “Se uno decide di considerare il Sistema Solare come se fosse solo una piccola frazione di quello che è veramente, allora non abbiamo bisogno di Pu-238” , ha detto Green. “Un sacco di gente crede che serva per le missioni verso i pianeti esterni e non si rende conto che una missione senza Plutonio non è in grado di portare a casa dei campioni di terreno dalla faccia nascosta di Mercurio, non può muoversi in un cratere permanentemente al buio, e nemmeno atterrare al Polo Nord o al Polo Sud di Marte per ricavare una carota di ghiaccio e poi studiarla. Il Plutonium-238 è essenziale per le capacità infrastrutturali”.

Oltre a fornire energia, piccole palline di Pu-238 possono essere usate come fonti di calore in una missione che per altri usi si avvale dell’energia solare. Il calore passivo fornito da Pu-238 rende disponibili preziosi ampères da fornire a strumenti scientifici piuttosto che ottenerli da un inefficiente impianto elettrico di riscaldamento. Due delle più efficienti macchine spaziali della NASA, i rover di Marte Spirit e Opportunity, hanno usato numerose palline di Plutonio-238 per riscaldamento. “Senza di esse, i rover non avrebbero avuto nemmeno un’autonomia di 90 giorni.” ha detto Green riferendosi alle prime missioni su Marte. Opportunity si avvicina ai dieci anni di attività sul Pianeta Rosso, Spirit è durato quasi sei. “Il Plutonio è essenziale per quasi ogni cosa che facciamo”, ha concluso Green.

pellet

(immagine 2: Una pallina di biossido di plutonio arde nel calore prodotto dal suo stesso decadimento radioattivo, alla temperatura di circa 1350 gradi  Celsius. Il biossido di plutonio è un composto ceramico poco solubile in acqua, resistente al fuoco e alla trasformazione in polvere: se inalato o ingerito, è infatti letale. Queste palline  di combustibile vengono racchiuse in strati di grafite e iridio e infine inserite in un dispositivo RTG come fonte di calore.)

La storia della crisi

Durante la prima metà dell’era spaziale creare Plutonio-238 non era un problema. La Guerra Fredda spingeva la produzione di armi nucleari negli Stati Uniti, e dava supporto a una massiccia infrastruttura dedicata alla loro costruzione e al loro mantenimento. Il Plutonio-238 era generato in grandi quantità nei reattori del Savannah River National Laboratory sfruttando i processi usati per creare l’isotopo Plutonio-239, più adatto ad essere usato come arma. Nel 1988 il Dipartimento dell’Energia fu però obbligato a chiudere i vecchi reattori del Savannah River per motivi di sicurezza. I piani per far ripartire i reattori furono cancellati nel 1992, dopo che le stime di costo subirono aumenti tali da arrivare a cifre a nove zeri e nello stesso tempo la necessità di armi nucleari diminuiva sulla scia dei trattati per la riduzione degli armamenti e del collasso dell’Unione Sovietica. Mentre il mondo celebrava la fine della Guerra Fredda, gli Stati Uniti perdevano la capacità di generare l’energia necessaria per l’esplorazione dello spazio. Dopo la chiusura dei reattori del Savannah River era chiaro che gli Stati Uniti sarebbero eventualmente rimasti senza Plutonio-238. Le scorte esistenti avrebbero tuttavia soddisfatto le necessità della NASA ancora per alcuni decenni e, mancando l’urgenza, la volontà politica di ricostruire la capacità di produzione domestica era inesistente. Nonostante questo, all’inizio degli anni ’90 il Dipartimento per l’Energia iniziò un programma per incrementare la scorte rimanenti acquistando il Plutonio russo. Col passare degli anni, cinque missioni furono lanciate con il Pu-238, attingendo alla riserva in diminuzione mentre il decadimento radioattivo intaccava inesorabilmente quello che rimaneva. Nei primi anni 2000 il problema del Plutonio stava diventando difficile da ignorare. Nel tentativo di aumentare le scorte, la NASA iniziò un programma tecnologico volto a migliorare l’efficienza dell’RTG e ridurre l’ammontare del Pu-238 necessario per ciascuna missione. Creò il generatore avanzato a radioisotopi Stirling (ASRG), che è quattro volte più efficiente della tecnologia esistente e si trova nella fase finale dello sviluppo.

Confidare solo sull’ASRG non avrebbe fatto altro che ritardare l’inevitabile esaurimento del Plutonio. Di fronte a una crisi imminente, Green fu obbligato ad agire. “Quando diventai direttore della Divisione di scienze planetarie non avevamo nessuna speranza di essere in grado di fare ripartire la creazione del Pu-238, eravamo veramente a un punto morto” disse Green. “Così ci imbarcammo in un programma a lungo termine per convincere i nostri dirigenti sia qui che all’interno della Casa Bianca che eravamo decisi a rimetterci in moto e ristabilire il processo di produzione del Plutonio”. Secondo Green, il risultato era lontano dall’essere certo: “Con niente in mano iniziavamo un processo rispetto al quale avevamo una possibilità – dico una possibilità – di vederlo decollare.”

Riuscire a ripartire

Ricominciare a produrre Plutonio comporta un balletto insolitamente complesso tra varie Agenzie Federali, Ministeri, e il Congresso. Dato che il DOE (il Dipartimento dell’Energia) ha l’esclusiva autorità di amministrare la riserva nazionale di materiale radioattivo, la NASA deve lavorare con il DOE per creare un piano di produzione. I diversi uffici nella Casa Bianca che supervisionano la politica relativa alle scienze devono approvare questo piano. Poiché creare Plutonio costa denaro, sia la Nasa che il DOE devono avanzare richieste formali di finanziamento. Questi finanziamenti sono gestiti da differenti sottocomitati nel Congresso, sia al Senato che alla Camera dei Rappresentanti, e tutti dovevano essere d’accordo con questo piano e finanziarlo adeguatamente. La sfida di creare consenso diffuso in così tante aree d’interesse era a dir poco scoraggiante. La soluzione si nascondeva, come capita con molti problemi di governo, in un rapporto. Nel 2009, il National Research Council rilasciava un documento intitolato “Radioisotope Power, Systems: an imperative for Maintaining U.S. Leadership in Space Exploration”, che denunciava la situazione che il paese doveva affrontare e consigliava di fare ripartire urgentemente la produzione del PU-238. Il rapporto conteneva conclusioni che non lasciavano adito a dubbi.

“Mi piace pensare che il rapporto sia stato uno degli elementi di svolta” disse Ralph Mc Nutt, un ricercatore presso il laboratorio di fisica applicata della Johns Hopkins University e copresidente del comitato autore del rapporto. “L’obiettivo era assicurarsi che se dopo 25 anni il programma fosse scomparso, nessuno avrebbe potuto dire: ‘Perché nessuno mi ha informato?’”. Nel 2009 il DOE richiese formalmente l’autorizzazione a ricominciare la produzione del Plutonio. Seguendo dei precedenti storici, avrebbero pagato per riavviare il processo, che si stimava sarebbe costato intorno ai 100 milioni di dollari in cinque anni, una minuscola frazione del budget annuale dell’Agenzia, pari a 30 miliardi di dollari. La NASA, il DOE e la Casa Bianca erano tutti d’accordo sul piano di rilancio. I fautori della ricerca spaziale tirarono un sospiro di sollievo: bastava solo che il Congresso approvasse il finanziamento.

preparation to launch

(immagine 3: I tecnici esaminano il Multi-Mission Radioisotope   Thermoelectric Generator (MMRTG) del Curiosity che contiene 4,8 chilogrammi di Pu-238.

Politica

Per gestire l’ impegnativo compito di supervisione dei bilanci ognuna delle due camere del Congresso si avvale di 12 sottocomitati responsabili di distribuire i fondi al governo federale. Il DOE e la NASA sono assegnati a differenti sottocomitati, che sono composti da rappresentanti eletti, ma la normale amministrazione dipende da personale specializzato alle dipendenze del comitato. Poiché è compito di questo personale scrivere il testo definitivo delle leggi e i relativi rapporti, essi detengono un immenso potere, specialmente su questioni che non attirano l’attenzione dei rappresentanti eletti. Così nel 2009, quando il DOE per primo richiese i fondi per produrre il Pu-238, furono i relativi sottocomitati a silurare la proposta, dichiarando che il programma era “impreciso”, e “ingiustificato a livello generale”. I sostenitori dell’esplorazione dello spazio rimasero impietriti. “Il sottocomitato per l’Energia e le Acque decise che la produzione di Pu-238 non faceva parte dello scopo per cui il DOE era stato istituito e che spettava alla NASA pagare tutte le spese”, disse Alex Saltman, che all’epoca faceva le funzioni di direttore legislativo per il deputato Adam Schiff (Democratico – California). Schiff appartiene al sottocomitato della Camera responsabile per il bilancio della NASA ed è un forte sostenitore del rilancio della produzione del Plutonio-238. Il DOE e la NASA ripartirono da zero.

L’anno successivo la Casa Bianca presentò un budget dove ciascuna agenzia pagava metà del costo del programma. A dispetto di un intenso lavoro di lobbying organizzato dalla Planetary Society e da altre organizzazioni con interessi scientifici, il sottocomitato a cui era assegnato il DOE diede nuovamente parere negativo, dichiarando che il Pu-238 non era necessario per nessuna iniziativa di pertinenza del DOE o della National Nuclear Security Administration. Dato che la NASA sarebbe stata l’unica utilizzatrice del Plutonio, il sottocomitato era del parere che essa avrebbe dovuto accollarsi l’intera spesa”. Alex Saltman stigmatizzò quella argomentazione: “La più importante smentita all’idea che il DOE dovesse rimanere strettamente ancorato alla sua missione originaria è che la National Nuclear Security Administration – che è un’enorme parte del DOE – è completamente dedicata alle necessità della Difesa. Il DOE è usato come un’agenzia di servizi quando si tratta del Dipartimento della Difesa, ma non quando si tratta della NASA. “È frustrante. Ma quando uno lavora nel Parlamento, allora l’intera faccenda diventa frustrante”, concluse Saltman.

Due anni erano stati persi nei meandri dei sottocomitati parlamentari. Nel frattempo la Russia si era tirata indietro dall’accordo di vendere Pu-238 agli Stati Uniti, aggravando la crisi dei rifornimenti. La NASA decise di pagare per intero, non aveva altra scelta. Il sottocomitato per l’Energia e le Acque aveva vinto quel gioco ad alto rischio. Nel 2010 il Congresso concesse alla NASA l’autorizzazione a pagare il DOE per creare il Plutonio-238 e nel 2012 fornì finalmente i fondi per farlo. Jim Green è pragmatico: “Se paghiamo il DOE perché svolga il suo ruolo, beh, qualche volta è il costo per concludere un affare. Mi è sembrata la parte minore di un problema più grande, cioè ottenere di ricominciare la produzione, cosa che era stata vietata per legge. Questo sì che era un risultato enorme, e quando si realizzò esultai”.

 Ricominciare

Nel luglio del 2012, appena fuori di Knoxville, nel Tennessee, una piccola quantità di Nettunio-237 veniva delicatamente stivata presso il Reattore ad Alto Flusso dell’Oak Ridge National Laboratory. Bombardato da neutroni ad alta energia, una parte del Nettunio si trasformò in Plutonio-238 per la prima volta dopo 25 anni. Solo una piccola quantità di Pu-23 fu creata nel 2012, molto meno di quanto sarebbe necessario per alimentare un’astronave, ma questo risultato era previsto e voluto. La creazione di materiale radioattivo è cosa che deve essere affrontata con cautela e con grande rispetto per la salute, la sicurezza e la massima attenzione all’impatto ambientale. Sebbene il processo teorico per la creazione del Pu-238 sia chiaro, non è stato ancora messo in pratica in un impianto moderno. Il DOE deve stabilire qual’è la strada migliore da seguire da qui in avanti, e la NASA lo paga per farlo. È un modo di procedere lento e frustrante, e senza un flusso di cassa la piena produzione non sarà raggiunta prima del 2019, momento in cui il DOE sarà in grado di generare circa 1,5 kg di Plutonio lavorato ogni anno. “Il progetto è attualmente nella fase di dimostrazione tecnologica, che vuol dire dimostrare e ottimizzare le diverse fasi della procedura, prima di arrivare gradatamente alla piena produzione. – spiega Ryan Bechtel, direttore del Power Systems Safety nell’Office of Nuclear Energy del DOE. “I fondi che abbiamo ricevuto sono stati sufficienti per ottenere ottimi progressi fino a oggi.” Ralph MCNutt, coautore del rapporto ufficiale sul plutonio, ritiene accettabili gli attuali progressi: “Stiamo andando nella giusta direzione. Da quanto ho potuto vedere ciascuno sta facendo l’impossibile per ottenere i risultati desiderati. Tutti si rendono conto che questo progetto è importante per gli Stati Uniti e che è importante lavorare tutti insieme per portare a termine l’obiettivo.” Entro la fine del 2013 il DOE fornirà alla NASA un pacchetto di richieste chiare per sostenere la produzione di Pu-238, e se tutto va bene l’intero programma sarà implementato dal 2015.

(immagine 4: 1. Il nettunio-237 è spedito dal Idaho National Laboratory a Oak Ridge, Tennessee tramite l’Office for Secure Transport del National Nuclear Security Administration. 2. Il nettunio viene  sottoposto a un bombardamento di neutroni e si trasforma in plutonio-238, che viene  estratto e purificato, mentre il nettunio-237 rimanente viene riciclato. 3. Il Pu-238 viene spedito al Los Alamos National Laboratory. 4. Qui il materiale viene stoccato. Quando serve vengono costruite la palline di biossido di plutonio da usare nei dispositivi RTG. 5. Le palline vengono spedite all’Idaho National Laboratory per essere assemblate. 6. Le palline vengono assemblate nel RTG e il tuttto viene spedito a Cape Canaveral per il lancio.)

Pu-238 path

Il futuro

Il successo definitivo del progetto di rilancio della produzione del Plutonio dipende da due fattori: una costante produzione di Pu-238 e la disponibilità del generatore avanzato a radioisotopi Stirling (ASRG). Senza l’aumento di efficienza promesso dall’ASRG, il DOE non produrrà Plutonio in quantità sufficiente per soddisfare le necessità della NASA. La precedente e meno efficiente tecnologia RTG limiterebbe l’attività della NASA a una, due missioni ogni 10 anni. L’ASRG, come tutti i programmi dell’Agenzia, deve far fronte a dei tagli di bilancio. Un test già pianificato per simulare una missione di lunga durata con l’ASRG è stato cancellato, sebbene la NASA dichiari di considerarsi ancora in pista per la consegna di due unità pronte al volo entro il 2016. Ulteriori tagli potrebbero causare ritardi al programma, impedendo l’uso dell’ASRG in missioni da lanciare nel decennio 2020-30, a causa della programmazione di lungo periodo richiesta in questi casi. La riduzione dei fondi ha ridotto le immediate necessità della NASA di astronavi alimentate a Plutonio. La sola missione in fase di sviluppo attivo che dipenda dal Pu-238 è il Mars Rover, il cui lancio è previsto per il 2020. Missioni minori potrebbero essere selezionate negli anni a venire, ma non verrebbero lanciate prima della fine del presente decennio e l’inizio del successivo. Le difficoltà a venire non dovrebbero contraddire il grande successo del programma per il rilancio della produzione del Plutonio. È stato un trionfo della volontà, ma non della volontà di un solo individuo. Centinaia di persone votate alla causa combatterono per anni per garantire la presenza continuativa di un particolare isotopo radioattivo nel territorio degli Stati Uniti. Questa non è cosa di tutti i giorni. È stata anche una vittoria per il bistrattato programma di esplorazione planetaria della NASA, che nel passato recente ha dovuto accusare ripetuti tagli dei fondi e cancellazioni di missioni. Ma quando i finanziamenti aumenteranno, il combustibile a Plutonio sarà qui, pronto per rendere possibili le più emozionanti e urgenti missioni che possiamo immaginare.

 Chi vuole saperne di più, ed eventualmente ricoprire un ruolo attivo nel programma del Pu-238 e dell’ASRG, può visitare il sito della Planetary Society.

ULTIMO AGGIORNAMENTO

Per completezza, riferiamo qui delle notizie giunte dopo la pubblicazione del presente articolo in lingua inglese. La NASA ha silenziosamente sospeso il programma ASRG e ha annunciato un’improvvisa ristrutturazione del progamma di finanziamento del settore delle Scienze Planetarie, a dispetto del forte supporto proveniente dal Parlamento. Ciò ha provocato un’immediata, dura reazione della Planetary Society che con la sua periodica campagna di pressione verso i parlamentari e il Presidente Obama ha raccolto ben 45.000 email di sostegno all’esplorazione planetaria. Sul canale YouTube della Planetary Society è apparso un video del CEO Bill Nye che si rivolge al Presidente chiedendo il ripristino del precedente budget per le Scienze Planetarie. Il video è stato visto da 900.000 persone, un vero record! (RF)

traduzione di ROBERTO FLAIBANI

editing di DONATELLA LEVI

Titolo Originale: Power From the Isotopes, di Casey Dreier,

pubblicato in Planetary Report 2013 v.33 #3

Si ringrazia la Planetary Society per l’uso  delle immagini

17 febbraio 2014 Posted by | Astrofisica, Astronautica, News, Scienze dello Spazio, Senza categoria | , , , , , | Lascia un commento

Meno male che Valerio c’è!

Da un po’ di tempo circola nella Rete, ed è approdato purtroppo anche all’estero, un testo dedicato alla fantascienza italiana degli ultimi sessant’anni, La fantascienza italiana dal 1952 a oggi di Domenico Gallo e Valerio Evangelisti. Sintetizzare in circa 15mila battute cinque o sei decenni di produzione editoriale e narrativa non è affatto facile, anzi difficilissimo, problematico, e di conseguenza si devono effettuare d’obbligo scelte di vario tipo compreso quelle umorali, ideologiche e amicali. Lo stesso problema che ha ad esempio affrontato Giuseppe Panella nel suo breve saggio dedicato allo stesso argomento, anzi arretrando sino all’Ottocento, inserito nel volume collettaneo Guida alla fantascienza a cura di Carlo Bordoni (Odoya, 2013), ma con altri risultati sul piano della informazione complessiva e della obiettività, almeno a mio parere, anche se il testo contiene alcuni errori di fatto, avendo a disposizione una dozzina di pagine abbondantemente illustrate più quattro di schede biografiche. Infatti, ci occupiamo del testo di cui si è detto proprio perché sul piano della informazione e della obiettività è parecchio carente, ma anche perché non mancano sbagli marchiani.

Ripeto, non è semplice riassumere un così largo lasso di tempo in poche pagine: basti pensare che per raccontare – penso in modo esaustivo – la vicenda della fantascienza in Italia 1952-2002 in Cartografia dell’Inferno (Elara, 2011) sono state necessarie… 506 pagine, oltre metà delle quali esplicitamente dedicate alla fantascienza italiana E quando scrissi il saggetto sui 45 anni di fantascienza in Italia per Urania mi pare una ventina di pagine, nonostante ciò ci fu chi ebbe la faccia tosta di accusarmi di aver parlato “solo dei miei amici” e di aver volutamente trascurato importantissimi autori da poco alla ribalta. Questo nel 1997… Però c’è un limite alla necessità di riassumere e scegliere, ed è l’onestà intellettuale e almeno un minimo di umiltà culturale. Giusto per non cadere nel ridicolo.

Il taglio dell’articolo di Gallo & Evangelisti è di tipo sociologico-ideologico e si basa sull’assunto che soltanto opere a grande diffusione editoriale siano veramente importanti e significative, non la loro qualità, ancorché ristretta alle piccole tirature di editori minori o specializzati. Insomma, la quantità e la mercificazione capitalista hanno la meglio sulla qualità della piccola produzione “artigianale”. Da qui il grande spazio dedicato alla attività di uno dei due firmatari dell’articolo stesso. Di certo, opere di successo possono aprire la strada ad altri, ma se questo risultato si esaurisce in breve o brevissimo tempo, come qui si è costretti ad ammettere, vuol dire o che le opere dell’apripista non erano all’altezza di creare una duratura situazione favorevole, o che le opere dei seguaci dell’apripista erano troppo modeste e non alla sua altezza, o che viceversa gli editori cercavano solo opere popolari per venire incontro ai gusti non eccelsi del pubblico sul genere insomma di quelle dell’apripista, mentre le altre venute al suo seguito erano invece troppo intellettualoidi. Un esempio positivo è stato invece Tolkien che, pubblicato per la prima volta in Italia nel 1970, ha fatto scoprire ai nostri lettori e autori la heroic fantasy portando alla traduzione di ottimi romanzi stranieri e promuovendo l’interesse dei nostri scrittori. Un successo di pubblico che continua ancora oggi.

Scombiccherato, scoordinato, ripetitivo, autopromozionale (Gallo e Evangelisti per un terzo del testo parlano delle benemerenze e delle qualità di Evangelisti: lo avessero fatto altri ci sarebbe stata una insurrezione del popolo fantascientifico), sprezzante nei confronti di tutta quella fantascienza che non è culturalmente impegnata in una certa specifica direzione, viceversa prodigo di citazioni e complimenti nei confronti di amici e sodali, l’articolo offre una immagine distorta, confusa e parziale, nonostante un paio di spunti critici interessanti, della storia sessantennale della fantascienza italiana e in Italia che induce a molti equivoci chi non sa come stiano esattamente le cose anche per semplici ragioni di età.

Però, consoliamoci: meno male che Valerio c’è!

GIANFRANCO DE TURRIS

Per scaricare il file con il testo completo di Gallo ed Evangelisti e l’analisi di De Turris, entrare nella pagina di download e seguire le istruzioni

3 febbraio 2014 Posted by | by G. de Turris, Fantascienza, News | , , , , | 1 commento