Il Tredicesimo Cavaliere

Scienze dello Spazio e altre storie

Marte, ultima missione?

20121209_Mars_Mariner_4_f840Nel marzo 2011, su richiesta della NASA, il National Research Council (NRC) presenta il documento chiamato “Visions and Voyages for Planetary Science in the Decade 2013 – 2022”. Si tratta di un’indagine che viene realizzata anche per altre branche scientifiche e gode di grande prestigio dentro la comunità scientifica americana e fuori di essa, sopratutto presso il Congresso e la Casa Bianca. Viene considerata, infatti, come la reale espressione del pensiero e delle aspettative degli scienziati, al di là di ogni considerazione d’ordine politico o amministrativo. Per quanto riguarda l’esplorazione di Marte, il NRC ritiene che, dopo 40 anni di missioni d’ogni genere indirizzate a quel pianeta, la mole dei dati raccolti sia già oggi enorme. Solo una missione dedicata alla raccolta di campioni del terreno, e al loro successivo trasferimento sulla Terra per un’analisi approfondita (ancora impossibile in situ), porterebbe a progressi significativi e meriterebbe l’assegnazione di un budget generoso, intorno al miliardo e mezzo di dollari. Tale missione viene chiamata, per semplicità, Mars Sample Return (MSR), e nel caso non fosse realizzabile per un motivo qualsiasi, gli autori del rapporto propongono drasticamente la totale rinuncia ad altre missioni scientifiche di alto profilo su Marte e lo storno di eventuali fondi residui a favore dell’ “Europa Orbiter”, la seconda voce in ordine d’importanza nei desiderata degli scienziati. Dopo un paio d’anni di tira e molla, in cui sono intervenute varie commissioni di controllo, il Ministro degli Esteri Hillary Clinton in difesa dei delusissimi ex-soci europei, e lo stesso Presidente Obama, pare proprio che la missione si farà, ed esattamente alle condizioni richieste dagli scienziati. In questo senso infatti si è espresso John Grunsfeld, autorevole dirigente NASA, il 4 dicembre scorso a San Francisco nel corso della conferenza annuale della American Geophysical Union, ribadendo che il MSR-rover sarà un clone del Curiosity e che la missione sarà lanciata nel 2020. Mars Sample Return ha vinto non solo per l’indubbia qualità del suo progetto scientifico, ma anche perchè consente di mettere la parola fine al rapporto di collaborazione con gli Europei nella corsa a Marte, divenuto troppo costoso e impegnativo. Tutto ciò in attesa della finestra di lancio del 2035, che potrebbe essere quella del più grande evento mediatico del secolo: lo sbarco dei primi astronauti sul Pianeta Rosso.

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L’aspirapolvere spaziale

La Honeybee Robotics non è un nome sconosciuto tra le migliaia di società piccole e grandi che costituiscono l’indotto della NASA. E’ nota infatti per aver costruito il Rock Abrasion Tool, montato sui rover destinati a Marte, la paletta per Phoenix Lander e strumentazione varia per Curiosity. Grazie a un piccolo finanziamento di trentamila dollari ricevuto dalla Planetary Society, gli ingegneri della Honeybee hanno cominciato a sviluppare il loro progetto di un dispositivo pneumatico a basso costo, chiamato PlanetVac, per la raccolta, stivaggio e conservazione, anche per lunghi periodi di tempo, di campioni geologici raccolti su vari corpi celesti. Per esempio il sistema, grazie alle condizioni di bassa gravità e pressione atmosferica presenti su Marte, e a maggior ragione sulla Luna o gli asteroidi, è in grado di aspirare la regolite presente sulla superficie, trasportandola attaverso una rete di tubi che corre dai punti di contatto col terreno, salendo lungo le gambe del lander, fino alla stiva. La regolite si muove all’interno delle cavità spinta da una serie programmata di sbuffi di gas. Il sistema è efficiente perché con lo sbuffo di un solo grammo di gas si riesce a stivare fino a cinque kg di regolite, ed è sicuro perché non ci sono parti mobili e la ridondanza è garantita replicando la rete tubolare per ognuna delle quattro gambe di sostegno. PlanetVac è facilmente adattabile a unità semoventi come rover o hopper.

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Credits: Honeybee Robotics, NASA, Planetary Society, The Space Review

Fonti:

Visions and Voyages for Planetary Science 2013 – 2022
http://solarsystem.nasa.gov/multimedia/download-detail.cfm?DL_ID=742
The Space Review, The resurrection of Mars Sample Return http://www.thespacereview.com/article/2202/1
The Space Review, Tough decisions ahead for planetary exploration
http://www.thespacereview.com/article/1815/1
The Planetary Society – PlanetVac: Sucking Up Planetary Regolith
http://www.planetary.org/blogs/bruce-betts/20121030_PlanetVac-Intro-Blog.html

27 dicembre 2012 Posted by | Astronautica, Planetologia, Scienze dello Spazio | , , , , , , , | 1 commento

HIGH FRONTIER: l’esplorazione simulata del Sistema Solare

La prima cosa che mi ha colpito è stato il titolo:”High Frontier”, lo stesso del libro di Gerard K. O’Neill, scienziato dello Spazio e visionario degli anni ’70, che all’Università di Princeton, con l’aiuto di una numerosa équipe multidisciplinare, aveva progettato, fino all’ultimo bullone, immense colonie spaziali a forma di cilindro, capaci di ospitare interi ecosistemi e decine di migliaia di persone. Proprio quei cilindri che appaiono nei romanzi della trilogia “Incontro con Rama” di Arthur C. Clarke. Il flashback si ripete quando apro le due mappe, una per il gioco base e l’altra per l’avanzato, che rappresentano, una volta collegate, il Sistema Solare fino all’orbita di Saturno in un unico tabellone di 81×54 centimetri, rutilante di colori. Percorrerlo con lo sguardo soffermandosi su una miriade di particolari che illustrano i sei pianeti principali e i loro satelliti, gli asteroidi e le comete che popolano il Sistema, e seguire le rotte che li congiungono, è di per se un’esperienza decisamente “acida”. Ma l’elemento che che consacra High Frontier come gioco del tutto atipico è il suo eccezionale background scientifico, la cui descrizione occupa metà del libretto di istruzioni, e che viene importato nel sistema di gioco sotto forma di carte. Per ogni carta una tecnologia, e si tratta di tecnologie basate su leggi scientifiche ben note, già oggi disponibili o in via di sviluppo, o che potrebbero esserlo in un futuro prossimo. E qui risiede il fascino di questo gioco, cioè nell’offrire partite che si sviluppano, con ammirevole equilibrio, lungo il filo sottile che separa la scienza dalla fantascienza. Morale della favola: scienziati e filosofi possono incantarci con strabilianti scoperte e affascinanti visioni cosmiche, ma sono gli ingegneri a darci modo di viaggiare tra i pianeti, e, un giorno, tra le stelle. (L’espansione interstellare di High Frontier uscirà nell’ottobre 2013)(RF).

HighFrontier_Combined_Map_31_08_2010[1](doppio click per allargare…..WOW!!)

I giochi ideati da Phil Eklund e prodotti dalla sua casa editrice Sierra Madre Games, sono ancora poco conosciuti in Italia, ed è un peccato perché si tratta di accurate simulazioni storico-scientifiche. Prima di High Frontier i titoli di maggior successo sono stati Origins: how we became humans (sull’evoluzione della specie umana) e American Megafauna (sullo scontro mammiferi-dinosauri in epoca preistorica). Con questo nuovo gioco Eklund, che ha studiato ingegneria aerospaziale, cambia decisamente ambientazione e propone ai giocatori un’esplorazione simulata del Sistema Solare. In un futuro prossimo, nella visione dell’autore, l’uomo avrà sviluppato strabilianti tecnologie non di pratica realizzazione sulla Terra, bensì nello Spazio, a causa delle differenti condizioni ambientali. Ben note agenzie spaziali come ESA e NASA, e altre entità, ciascuna affidata a un giocatore e dotata di specifiche caratteristiche e poteri, si lanceranno nella difficile impresa di esplorare e colonizzare il Sistema Solare, con l’intento di sfruttarne le ricchezze nascoste e sviluppare nuove tecnologie.

La complessità del gioco appare evidente sin dalla prima occhiata alla mappa, che mostra il Sistema Solare interno con i pianeti, gli asteroidi, le comete, nonché le orbite che si dovranno seguire nei viaggi interplanetari. Scordatevi “salti iperluce” o altre fantasticherie cinematografiche, in High Frontier si viaggia rispettando le leggi della fisica. Le fazioni in gioco dovranno progettare veicoli spaziali per portare a termine le loro missioni, rifornirli di propellente e lanciarli nello spazio, seguendo le rotte consentite dalla Meccanica Celeste.

HF front coverL’assemblaggio delle astronavi avviene componendo insieme dei moduli, cioè degli apparati tecnologici rappresentati dalle carte del gioco: più moduli si aggiungono, maggiore è la flessibilità, ma la massa dell’astronave aumenta, e senza un sistema di propulsione adeguato sarà difficile gestire navigazione e manovre. Poi bisogna rifornirsi di propellente, i motori a razzo della nuova era utilizzano a questo scopo l’idrogeno estratto dall’acqua, che, per semplicità, nel gioco funge anche da moneta: in pratica i conti in High Frontier si fanno in taniche d’acqua! La simulazione arriva perfino a tener conto dell’influenza della massa del propellente sull’assetto del veicolo, cosicché rimpinzarlo d’acqua può renderlo in molti casi una bagnarola inutilizzabile, obbligando il giocatore a caricare meno acqua al decollo e a fermarsi per fare rifornimento durante il viaggio. L’acqua nel Sistema Solare si trova su tanti pianeti e asteroidi, basta atterrare e, avendo sviluppato le adeguate tecnologie, “succhiarla” per rifornire i razzi. Lo scopo finale è raggiungere i siti dove sono sviluppabili le tecnologie della “nuova frontiera” e sfruttare i potenti mezzi da esse offerti.

Il gioco è strutturato in un numero non fisso di turni nei quali i giocatori si alternano eseguendo le seguenti operazioni:

  • muovere il proprio veicolo spaziale, se ne hanno costruito uno e hanno una missione in corso

  • scegliere una delle 8 azioni a disposizione

Senza entrare nel dettaglio, possiamo raggruppare tali azioni in due macro-blocchi:

  • le azioni terrestri, cioè quelle mirate all’assemblaggio dell’astronave. Sono scelte, solitamente, a inizio partita e ogni volta che si deve intraprendere una nuova missione

  • le azioni extraterrestri, cioè quelle scelte nel corso di una missione

Tra le azioni terrestri la più importante è quella che consente di acquisire nuovi moduli da assemblare, e avviene con un’asta al rialzo delle carte a essi corrispondenti. Ci sono tre tipologie di carte, suddivise in altrettanti mazzi:

  • i propulsori, cioè i moduli indispensabili per far muovere un veicolo. Ogni carta propulsore è caratterizzata da due numeri. Il primo indica l’accelerazione, ovvero di quanti spazi a turno il razzo si può muovere, e l’altro il consumo, vale a dire quanto propellente occorre per muovere di uno spazio

  • i robonauti, robot che svolgono mansioni operative nei siti extraterrestri (per esempio estrarre l’acqua, eseguire prospezioni del suolo, ecc.)

  • le raffinerie, ossia kit completi per la costruzione di impianti industriali nei siti extraterrestri

Le azioni extraterrestri sono finalizzate all’industrializzazione dello Spazio. Per riuscire nell’impresa bisogna raggiungere un sito idoneo con un robonauta e un mdulo industriale. Quando il primo avrà effettuato la prospezione del terreno (che è soggetta all’alea…), allora l’industria potrà essere installata. A questo punto la produzione extraterrestre consisterà, semplicemente, nel girare una carta-modulo ogni volta che sarà possibile. In pratica le carte in gioco rappresentano tecnologie sviluppabili sulla Terra sul lato base, e sul lato avanzato le loro versioni sviluppabili nello Spazio. I preziosi manufatti spaziali possono essere portati sulla Terra per essere venduti o assemblati in nuove astronavi, cosa che di solito conviene fare, dato che il gioco si sviluppa in una serie di missioni a catena, per cui utilizzare un propulsore super-efficiente o un robonauta tuttofare può essere la chiave per la vittoria.

Il gioco prosegue fino a quando un giocatore non costruisce un numero prefissato di siti industriali, oppure, una volta raggiunto un prefissato grado di sviluppo, “paga” per chiudere la partita in anticipo. In entrambi i casi si procede a una valutazione in punti vittoria, considerando:

  • l’industrializzazione, cioè il numero di siti produttivi e la loro tipologia (di solito il grosso dei punti)

  • la colonizzazione, ovvero il numero di siti occupati e di colonie spaziali fondate

  • l’esplorazione, che tiene conto di una serie di obiettivi realizzabili nel gioco, per esempio essere i primi a effettuare una missione su Marte, o a esplorare un sito di interesse scientifico

Ci sono alcuni aspetti di High Frontier che è bene sottolineare. In primis il gioco si compone di una scatola base e di un’espansione venduta a parte, anche se, di fatto, presentata in contemporanea con il gioco base. Anche il regolamento è unico e scritto evidenziando le regole per l’espansione; è in continua evoluzione, e iscrivendosi al gruppo Yahoo a esso dedicato è possibile scaricare le versioni aggiornate e volendo anche proporre delle varianti.

heliogiroInfine un aspetto fondamentale di High Frontier riguarda la cura del background scientifico. Infatti, il manuale è corredato da una sorta di almanacco che riporta riferimenti a concreti brevetti o pubblicazioni scientifiche. In pratica tutti i congegni tecnologici a cui fanno riferimento le carte del gioco, dai propulsori alle tecniche di estrazione dell’acqua, sono referenziati con una cura sorprendente. Eccone qualche esempio: la prima carta qui riprodotta si riferisce alla propulsione VASIMR, il cui prototipo verrà utilizzato sulla ISS per effettuare le correzioni d’orbita a partire dal 2014. La seconda carta descrive il cosidetto aquilone fotonico, giunto agli onori della cronaca nel 2010 con il nome di IKAROS. La terza carta si riferisce al futuristico cannone su binario magnetico. Frutto anch’esso della fervida mente di Gerard K. O’Neill, il cannone dovrebbe essere usato dai minatori del futuro per spedire sulla Terra il minerale grezzo estratto dalle miniere lunari. Per gli appassionati del tema, l’almanacco vale da solo l’acquisto del gioco.

Commenti

Quello che si può dire di High Frontier vale per quasi tutti i giochi firmati dal visionario Phil Eklund. Le sue creazioni vanno oltre quello che è il classico gioco tematico e di ambientazione per entrare nella vera e propria simulazione che fa immergere completamente il giocatore nell’argomento trattato. Il limite principale di questi prodotti, e allo stesso tempo un compromesso inevitabile, è che sono fatti per una nicchia ristrettissima di utenti. Per capire se ne fate parte, come primo test date uno sguardo alla mappa del gioco: se sgranate gli occhi ammirando le rotte e i punti di Lagrange tra i pianeti, allora High Frontier potrebbe fare per voi. Se invece restate insensibili e proferite un disinteressato “Ma che roba è?”, come succede nella stragrande maggioranza dei casi, allora è meglio che lasciate stare e vi indirizziate verso altri prodotti. Oltre ad avere un forte interesse per la tematica trattata, elemento imprescindibile per poter apprezzare questo gioco, bisogna anche “digerire” le soluzioni tecniche adottate dall’autore. Il regolamento non è certo semplice da apprendere, perché presenta una miriade di regole ed eccezioni, e una complessità strategica alquanto elevata, soprattutto per la programmazione dei viaggi e il movimento delle astronavi. Il tutto è accompagnato da una serie di elementi aleatori che, per esplicita scelta dell’autore, possono far saltare qualsiasi pianificazione, imponendo di adattarsi agli eventi.

1. Sicuramente più che “gioco”, High Frontier si può definire un’esperienza di gioco. Anche se le scelte del lettore ricadessero solitamente su altri tipi di giochi da tavolo, per i giochi di Eklund sarebbe doveroso fare eccezione per le emozioni che, inevitabilmente, riescono a regalare. Si potrebbe dire, parafrasando un famoso spot pubblicitario: “viaggiare fino a Giove, fermandosi a fare benzina sulle lune di Marte, e impiantare una fabbrica di robonauti…. tutto questo non ha prezzo”.

2. Un commento va sicuramente fatto sulla decisione di sdoppiare il prodotto in un gioco base più un’espansione. E’ una scelta ambigua, dato che non si tratta di una vera e propria espansione, ma della versione avanzata del gioco. In particolare si riscontra che le carte dei razzi hanno un bilanciamento non ottimale senza le regole opzionali dell’espansione.

3. Non è certo per la qualità dei materiali che Sierra Madre Games è nota… In questo caso fa bella eccezione la mappa, montata su solido cartone e con una grafica suggestiva. Il resto della componentistica è quasi da prototipo.

4. Il gioco richiede grossi sforzi nella pianificazione delle missioni, a dispetto dei tanti elementi aleatori che arrivano del tutto imprevisti e possono scombussolare i piani. E’ un elemento caratterizzante del gioco e se il connubio delle due cose non piace (come succede a molti giocatori) è meglio tenerlo presente se si è intenzionati all’acquisto.

5. Non ci sono effettivi problemi di scalabilità, ma in se si gioca in due sfuma un po’ l’aspetto diplomatico della simulazione, mentre in cinque il gioco tende ad essere più caotico e i tempi della partita si allungano. Probabilmente il tavolo migliore è quello composto da tre o quattro giocatori.

Espansione e gioco avanzato

A fronte di poco materiale aggiunto (una seconda mappa e altre 24 carte, mentre il regolamento è allegato al gioco base insieme alle varianti da apportare), nella versione avanzata i cambiamenti al sistema di gioco non sono per nulla trascurabili:

  • grazie alla nuova mappa, il tabellone di gioco comprende ora il Sistema Solare fino a Giove e Saturno (nel gioco base si arriva alla Fascia degli Asteroidi)

  • le nuove carte aggiungono tre tipologie di moduli a quelle del gioco base. Si tratta di radiatori, generatori e reattori. L’assemblaggio dei veicoli spaziali si complica, dovendo tener conto anche della produzione di energia e della dissipazione del calore

  • una serie di regole opzionali aumenta il livello di simulazione introducendo, per esempio, gli effetti della radiazione cosmica o la possibilità di sfruttare la fionda gravitazionale nel movimento dei razzi

  • viene introdotta una fase politica che permette anche di contrastare gli avversari e, in determinate condizioni, di combattere

Inoltre l’espansione offre la possibilità di giocare scenari alternativi. Il regolamento ne presenta tre (ma molti altri si trovano in rete, anche proposti da giocatori, dato che il gioco è molto versatile da questo punto di vista). Uno degli scenari proposti consente il gioco in solitario.

Questa espansione migliora il gioco sotto molti punti di vista. Più che di un’espansione, si tratta della versione “avanzata” di High Frontier. I giocatori esperti (gli unici possibili interessati a questo prodotto) dopo aver provato il gioco base come tutorial vorranno sicuramente passare alla versione avanzata, o espansa, che dir si voglia. In particolare è importante sottolineare che il bilanciamento delle carte per l’assemblaggio delle astronavi è ottimizzato in questa versione, con l’aumento di difficoltà dovuto all’utilizzo dei nuovi moduli introdotti. Anche i poteri delle fazioni sono meglio congegnati in questa versione del gioco. Per esempio nel gioco base è deleterio introdurre la fazione cinese che è l’unica abilitata ad azioni di disturbo. La nuova fase politica introdotta nel gioco avanzato permette a tutti di contrastarsi e quindi ha senso giocare anche con la fazione cinese in campo.

GIUSEPPE AMMENDOLA

Link utili:

BoardGameGeek

http://www.boardgamegeek.com/boardgame/47055/high-frontier

ConsimWorld

http://talk.consimworld.com/

Sierra Made Games

http://www.sierramadregames.com/

Il regolamento in italiano

http://www.nand.it/files/HF_ITA_0.9.pdf

Fonti:

La Tana dei Goblin, la versione originale della recensione:

http://www.goblins.net/modules.php?name=Reviews&rop=showcontent&id=5038

Foreign Policy, To Infinity and Beyond, by Michael Peck

http://www.foreignpolicy.com/articles/2012/04/19/to_infinity_and_beyond

17 dicembre 2012 Posted by | Astronautica, Fantascienza, Giochi, Scienze dello Spazio | , , , , | 2 commenti

IRRETITI

 L’agente di Pubblica Sicurezza Agatino Catarella, gregario del Commissario Montalbano, è uno dei personaggi più spassosi usciti dalla penna di Andrea Camilleri. Dotato di limitate capacità intellettive, parla un ridicolo e improbabile linguaggio tutto suo, misto tra italiano e dialetto siculo. Ed è con calcolato disprezzo che Camilleri fa proprio di lui l’esperto di informatica della squadra di Montalbano. Camilleri è infatti uno dei più noti “antipatizzanti” di tutto ciò che è digitale, una canuta schiera che dispone di solidi argomenti, almeno in apparenza. Il nostro Gianfranco De Turris ce ne presenta un ben documentato elenco nell’articolo che segue. Fornisce anche un’utile lista di libri da  leggere e conclude chiedendo una pausa di riflessione…. ma la Rete sta già silenziosamente allargando le sue maglie a tutto il Sistema Solare e i teorici cominciano a progettare l’architettura delle telecomunicazioni interstellari. Mi auguro che i nostri lettori, la maggioranza dei quali appartiene alla tribù dei Nativi Digitali o comunque è sopravvissuta allo Shock del Futuro, non si facciano scappare un’occasione così ghiotta per polemizzare su queste pagine.(RF)

 INTERNET2Che il mondo sia caduto nella Rete non ci sono dubbi. Che (quasi) tutti noi per volontà, necessità o obbligatorietà si sia irretiti è palese. Che la “rivoluzione informatica” iniziata pian piano negli anni Ottanta abbia ormai trasformato la nostra vita è sotto gli occhi di tutti. E che questa trasformazione non riguardi soltanto il mondo pratico ma anche il nostro modo di essere, pensare, ragionare ce ne stiamo accorgendo un poco alla volta. Ovviamente, mi riferisco a tutto quanto è “elettronico”, o “telematico” o “digitale”: dal computer al telefonino. Ogni minuto, ha calcolato la Shangai Web Designer, tra le altre cose vengono inviate in tutto il mondo collegato 168 milioni di email, sono effettuate 694.445 ricerche su Google, si caricano oltre 600 filmati su Youtube e sono registrati circa 70 domini sul Web. Un fenomeno di tale ampiezza che a mia memoria nessuna storia di fantascienza “sociologica” aveva immaginato.

Poiché il mondo è stato già globalizzato da questi strumenti, prima che dalla economia e dalla politica, quanto accade in un singolo luogo si ripercuote per l’orbe terracqueo, nel bene e nel male. E poiché tutti questi strumenti sono collegati fra loro, un evento (come un guasto) che si verifica localmente interessa l’intero sistema. Ci vengono i brividi quando entrando ad esempio in una banca ci sentiamo dire “terminali bloccati”: tutto si ferma e nessuno può più lavorare singolarmente come un tempo. Quel che è successo a giugno 2011 alle Poste italiane quando il nuovo sistema IBM ha fatto i capricci per ben tre giorni ne è un esempio eclatante. Se si verificasse una apocalisse informatica l’intero sistema mondiale andrebbe a rotoli dato che ormai tutto si muove attraverso i computer: dalle poste e le banche, appunto, alle comunicazioni, alla borsa, alle autostrade, ferrovie e aeroporti, ai ministeri, ai sistemi di difesa ecc. ecc. Anche questo un bel tema fantascientifico.

Ma, dall’altro punto di vista la Rete può trasmettere anche bufale cui tutti credono senza verifica: la dissidente siriana, per di più lesbica, perseguitata dal regime di Assad, con tanto di foto sul Web, e a cui tutti i mass media mondiali hanno creduto, era solo uno “scherzo” di due coniugi americani in vacanza, che si sono meravigliati del bailamme suscitato a tutti i livelli. Le foto taroccate, considerate la perfezione cui può giungere il ritocco digitale tramite Photoshop, sono un altro esempio di come si possono ingannare non solo le persone comuni, ma anche giornalisti e politici e creare casi mondiali, non sempre riassorbiti quando si scopre la verità.

INTERNET1E invece non c’è più nulla da meravigliarsi. Perché la Rete e soprattutto i sistemi di ricerca automatica come Google sono ormai non tanto come il mitico “manuale delle giovani marmotte” – così lo definisce Edoardo Segantini (Corriere della Sera, 12 giugno 2011) – quanto piuttosto come la Lampada di Aladino: uno strumento fantastico capace di esaudire ogni tuo desiderio, magicamente (perché il 99 per cento degli utenti non sa in fondo esattamente come esso funzioni dal punto di vista tecnico: ne accetta i risultati e basta, come in fondo accade anche per la tecnologia più banale di cui non ci preoccupiamo mai di come essa funzioni ma soltanto dei suoi effetti).

Irretiti dunque in un sistema “magico” che sta allevando una generazione che pensa e quindi agisce in modo del tutto diverso dai suoi genitori: se già i ragazzi degli anni Settanta e Ottanta si sono trovati in mezzo alla rivoluzione informatica, quelli dagli anni Novanta in poi, che adesso sono maggiorenni e anche meno, dal momento dell’uso di ragione (e forse prima) hanno vissuto in una rivoluzione avviata e consolidata. Non conoscono quindi il mondo di prima, cioè un mondo senza cellulari, computer, smartphone, Ipod, facebook, youtube, twitter, tablet ecc. ecc. Sono quelli che Paolo Ferri definisce Nativi digitali (Mondadori).

Insomma, come dicono molti specialisti, sta avvenendo, in parte è già avvenuta, una mutazione antropologica in cui il modo di apprendere si è velocizzato al massimo, ma anche semplificato e banalizzato. Basti pensare a come, non solo dagli studenti, ma anche da giornalisti e addirittura docenti e studiosi, viene percepito e utilizzato uno strumento come Wikipedia, quasi fosse la Bocca della Verità, mentre dovrebbe essere usato con cautela, cercando controlli e confronti.

INTERNET4In realtà Wikipedia è il contrario della vera Cultura dato il modo con cui si forma e alimenta: pretende di essere una enciclopedia “aperta”, formata “dal basso”, costituita “da tutti e da nessuno”, insomma “democratica”. Si tratta invece di un luogo in cui la quantità in genere scaccia la qualità: dove una affermazione viene accettata a maggioranza anche se falsa, dato che spesso vige una censura ideologica e certe cose non si possono accettare e quindi scrivere anche se sono la verità (forti polemiche in merito sono rimbalzate sulla stampa). E chi non si conforma, dopo una specie di processo popolare viene allontanato e gli si proibisce di scrivere! E’ come se si fosse costituita, scrive Ferri, una “intelligenza collettiva”, come se i suoi utenti fossero animati da un “sistema nervoso digitale”. Molto oltre il Grande Fratello orwelliano!

E’ il falso mito della Democrazia della Rete che ha creato molti delusi e molti pentiti, come una serie di libri recenti sta dimostrando. In genere si dice che una macchina, uno strumento, sono neutri e dipende da come li si usa se producono poi effetti positivi o negativi. Ma in realtà la macchina ha un potere transitivo, come affermava Ernst Jünger, e pian piano trasforma chi la utilizza acriticamente, senza rendersi conto di quel che fa. E se questo era valido quando lo scrittore tedesco esponeva le sue tesi nel saggio Der Arbeiter che è del 1932 (L’Operaio, Guanda, 1991) e la “macchina” era di un certo tipo, figuriamoci oggi dopo ottant’anni. Nel caso della Rete tramite computer o cellulare, siamo di fronte ad uno strumento per comunicare o apprendere e non per realizzare alcunché di concreto come appunto all’epoca di Jünger e, tutto sommato sino a vent’anni fa. Quindi la possibilità di modificazione mentale, psicologica, di abitudini e modi di fare è assai più facilmente realizzabile. Kevin Kelly, un super-esperto fondatore della rivista Wired, ha portato alle estreme conseguenze questo ragionamento nel suo Quello che vuole la tecnologia (Codice) affermando che il rapporto fra essere umano e tecnologia digitale ha creato quello che lui definisce il technium. Vale a dire una specie di entità a sé che quasi non è più controllabile dall’uomo ed in cui si sta manifestando la “comparsa del sé”. Un Sé che è addirittura fantascientificamente “immortale” in quanto formato da idee! Insomma la Rete sta diventando autonoma e si svincola dal controllo umano. Siamo ben oltre i robot di Asimov che prendono coscienza e dei replicanti di Dick che sentono di essere uomini e donne! Infatti, per Kelly sta nascendo un vero e proprio “superorganismo”, che ci assommerebbe poco alla volta tutti sin a diventare quasi una entità sacra… Siamo al racconto di Brown, in cui una volta collegati tutti i calcolatori elettronici del mondo (così si chiamavano negli anni Sessanta), nasce Dio.

INTERNET3La machina è stata considerata un mezzo per aiutare l’essere umano. Poi si è trasformata in un prolungamento dei suoi organi, poi ancora del proprio Sé. Quando la machina è diventata medium e da concreta è diventata astratta, come oggi è la Rete, ecco che l’espansione del nostro Io si è trasformata in virtuale e si è estesa in tutto il mondo: Internet, con tutti i suoi derivati, è, come dice Nicholas Carr, ormai un “medium universale” che ci impedisce di fuggire dalla Rete.

L’automobile ha modificato il nostro modo di spostarci. Il telefono il nostro modo di comunicare a distanza. Già la vita degli anni Venti era molto diversa da quella di fine Ottocento, ma in fondo non moltissimo diversa. Il telefono mobile e il PC, che ci portiamo ormai senza problemi appresso, hanno invece radicalmente modificato l’approccio: noi siamo raggiungibili, e possiamo essere raggiunti, sempre e dovunque, a meno di non lasciare il cellulare a casa o togliergli la batteria. E’ il terribile Always Connected , il Sempre Collegati, il Sempre Irretiti. Per di più, con l’ormai accertata e confermata possibilità di essere anche Sempre Rintracciati, Sempre Localizzati. Non solo da parte delle forze dell’ordine se abbiamo commesso reati, ma anche se siamo persone perbene che reati non ne hanno compiuti. Il Sistema, i gestori sanno – se lo vogliono –come rintracciarci sempre. E questo in un mondo ipocrita che della riservatezza, la cosiddetta privacy, ha costituito un totem. E infatti, lo ha denunciato ufficialmente il 23 giugno 2011 il professor Francesco Pizzetti, all’epoca presidente dell’Autorità per la protezione dei dati personali, che ha usato la metafora di Pollicino: usando certi strumenti noi lasciamo alle nostre spalle gli attuali “sassolini bianchi per segnare gli spostamenti”, vere e proprie “tracce tecnologiche”.

Ma ci faccia il piacere, avrebbe detto Totò.

INTERNET5Quindi ben vengano libri che su tutto questo ci facciano pensare, anche se dalla Rete non si uscirà mai più a meno di una catastrofe tecnologica universale: almeno si potrà dire che c’era chi ci ha messo in guardia, che ci ha avvertiti di come si potrebbe essere più prudenti e non cadere nei troppo facili entusiasmi di coloro che di una nuova invenzione vedono soltanto la faccia positiva (che ovviamente c’è, basti pensare a come sono state facilitate alcune ricerche, o tutto il patrimonio bibliografico che si può trovare su Internet ecc.). Sicché opere come Internet ci rende stupidi? di Nicholas Carr (Raffaello Cortina), Zero comments di Geert Lovink (Bruno Mondadori), Identità fredde di Eva Illouz (Feltrinelli), Tu non sei un gadget di Jaron Lanier (Mondadori), Dilettanti.com di Andrew Keen (De Agostini), Surplus cognitivo di Clay Shirky (Codice), ci possono mettere in guardia, senza toni apocalittici, ma certamente allarmati, su quante illusioni “politiche” si siano fatte su Internet, di come l’uso di certi strumenti stia modificando cervelli e sentimenti, come anche le identità personali possano cadere in crisi, di come i blogger non siano affatto rivoluzionari ecc. ecc.

Insomma, è il momento di fare una pausa di riflessione.

GIANFRANCO DE TURRIS

10 dicembre 2012 Posted by | by G. de Turris, Ciberspazio | , | 2 commenti