Il Tredicesimo Cavaliere

Scienze dello Spazio e altre storie

La rivoluzione industriale del Sistema Solare

 completoQualche giorno fa, per puro caso, mi è capitata tra le mani la tesi di laurea di Canio Di Turi,  “Impiego di propellenti raccolti  in  situ nell’esplorazione spaziale”. L’autore si rifece a questa tesi per scrivere per noi l’articolo I primi passi verso l’industrializzazione dello Spazio”. Era il 2011 e non si parlava spesso di ISRU (In situ resources utilization), né tanto meno di ISPP (in situ propellant utilization). Oggi invece la tematica è molto più dibattuta perché, se non altro dal punto di vista minerario, i piccoli corpi celesti del Sistema Solare, vale a dire asteroidi e comete, sono ritenuti obiettivi così interessanti che il Congresso degli Stati Uniti ha emanato recentemente una legge-quadro che sancisce i diritti di proprietà degli imprenditori privati che desiderino occuparsi di estrazione mineraria nello Spazio.

RWGSE sopratutto ha fatto impressione  il numerone 100000000000000 che rappresenta in dollari il valore minerario dei piccoli corpi celesti di cui sopra, e che costituirebbe un ben valido motivo per la nascita di una industria mineraria spaziale. Com’è comprensibile, la tesi di Canio privilegia Marte e in parte la Luna, che sono i due obiettivi  delle prossime missioni pilotate, e dedica poche pagine al Sistema Solare esterno, dove oggi sappiamo invece essere dislocate le maggiori riserve di acqua allo stato liquido (vedasi Europa, la luna di Giove, nonché Encelado, la luna di Saturno) e riduce ad una sola facciata il discorso sui piccoli corpi celesti. Ma la ventina di pagine dedicate a come produrre su Marte il propellente destinato alla sopravvivenza sul pianeta e durante il viaggio di ritorno sulla Terra sono interessantissime, anche se la natura e il linguaggio tecnico della documentazione ne sconsigliano la riproduzione integrale in un blog come questo, dedicato alla divulgazione. Altrettanto dicasi per la Luna, che potrebbe diventare, se non altro in virtù delle 3×1010 tonnellate di ghiaccio presenti a  ciascun polo nelle zone di ombra permanente, avamposto e stazione di rifornimento per l’esplorazione dell’intero Sistema Solare.

MICROSABATIER

Se all’ISPP volessimo aggiungere la miniaturizzazione dei componenti,  i risparmi si farebbero ancora più marcati: l’intero apparato ne risulterebbe alleggerito e ridotto a minori dimensioni, ed entrerebbero in gioco altre tecnologie specifiche che consentirebbero maggiore ridondanza e quindi maggiore velocità di produzione e sicurezza dell’intero impianto. Abbiamo riprodotto qui qualche fotografia per aiutare i lettori a visualizzare ciò che offre oggi la micro-tecnologia. Ci  scusiamo per la bassa qualità del materiale fotografico: facciamo quello che possiamo con ciò che ci viene fornito.

L’autore dedica infine qualche pagina alla produzione di energia elettrica  destinata all’impianto e la creazione di un software capace di controllare autonomamente l’intero impianto anche in completa assenza di aiuti da terra a causa del ritardo-luce che si deve subire nelle telcomunicazioni su grandi distanze.

La tecnologia necessaria all’impresa c’è, anche se ancora non adeguatamente collaudata, e un primo database delle riserve minerarie asteroidali e cometarie è in via di costituzione. Perfino il potere politico si è accorto che siamo alla vigilia di una nuova era industriale, e si è mosso adeguatamente. E’ solo qestione di tempo: la rivoluzione industriale del Sistema Solare è alle porte.

 

ROBERTO FLAIBANI

4 gennaio 2016 Posted by | Astrofisica, News, Planetologia, Scienze dello Spazio | , , , , , , | 1 commento

INDIA1 – Gli Indiani nello spazio, a modo loro.

Era da tempo che volevo mettere nero su bianco qualcosa a proposito del programma spaziale dell’India, e stavo raccogliendo documentazione quà e là. Fin dalle prime letture mi era diventato chiaro che la visione indiana dello Spazio era diversa da qualsiasi altra e meritava l’attenzione del pubblico più vasto possibile. E non si trattava solo di sottolineare, per esempio, che la sonda indiana lanciata verso Marte era costata sensibilmente meno degli equivalenti americani o europei. Il nocciolo della questione riguardava i metodi e le scelte politiche (o meglio, la filosofia) con cui gli Indiani andavano nello Spazio.

indiaminiUn programma spaziale per i cittadini

L’India è uno dei pochissimi paesi in via di sviluppo che ha dato inizio a un proprio programma spaziale qualcosa come 50 anni fa, e lo ha sempre sostenuto con fedeltà e coerenza di fronte alle acrobazie dei politici che, nella democrazia più grande del mondo, non sono state poca cosa, come ci insegna la cronaca. Fin dal suo inizio, il programma è stato rivolto in gran parte verso obiettivi civili, lasciando ai militari una fetta minore della torta dei finanziamenti, quella riguardante le comunicazioni. E i militari hanno accettato, fino ad oggi, di mantenere un basso profilo, cosa che proprio non si può dire sia successa nel resto del mondo. Così la Indian Space Research Organization (ISRO), una specie di NASA indiana, può oggi ostentare orgogliosamente dozzine di missioni compiute con successo sopratutto nel settore del monitoraggio delle risorse, pianificazione delle infrastrutture, meteorologia, gestione delle catastrofi naturali e salute, educazione e formazione. L’ISRO controlla, tra l’altro, una flotta di satelliti che eseguono il telerilevamento passivo (imaging) e quello attivo remoto (radar ad apertura sintetica), una rete GPS locale che copre tutta l’India, e una rete terrestre di radio e televisioni che riceve e ridistribuisce sul territorio i dati elaborati.

bandiera indianaIl governo e i privati finanziano le infrastrutture

Il governo, inoltre, ha favorito generosamente la costruzione delle infrastrutture necessarie al lancio e al monitoraggio di un veicolo spaziale in volo, nonché ovviamente la costruzione dei missili vettori. Uno dei più importanti successi ottenuti dall’ISRO in campo missilistico è rappresentato dal PSLV (Polar Satellite Launch Vehicle), sistema grazie al quale sono stati lanciati, fino ad oggi, 35 satelliti indiani e 45 di altri paesi. Così oggi l’ISRO è in grado di competere a pieno titolo e con una tecnologia proprietaria, in quasi tutti i segmenti tecnologici in cui si articola una missione spaziale, offrendo al cliente soluzioni “chiavi in mano” a prezzi molto competitivi.

Il miglior partner dell’ISRO è stato, da sempre, il governo. Sotto la sua costante pressione e controllo, coinvolgendo anche centinaia di piccole e medie aziende locali con contratti PPP, cioè di partenariato tra pubblico e privato, gli uomini dell’ISRO contano di portare a compimento entro due o tre anni una buona parte del mazzo di 170 progetti richiesti dal Primo Ministro Narendra Modi il giorno dopo la sua elezione nel giugno 2014 con lo slogan “il solo limite è il cielo”, per promuovere l’adozione della tecnologia spaziale nella vita quotidiana, e aumentare la qualità della vita dei cittadini. L’immagine qui sotto ne rappresenta una lista parziale.

India committments

I tempi cambiano….

Ma pur restando il benessere del cittadino la prima cura dell’ISRO, nuove sfide si aprono incessantemente. Nella sua nuova veste di potenza spaziale di primo livello, l’India deve assumersi ora la sua parte dei costi della ricerca pura e dello sviluppo di nuove aree dello Spazio: mi riferisco all’esplorazione del Sistema Solare che sta procedendo verso i pianeti esterni, i nuovi progetti di missione verso gli asteroidi più vicini alla Terra a scopo di estrazione mineraria e difesa contro eventuali pericoli di impatto planetario, nonché il rinnovato interesse registrato per la Luna, lo spazio cislunare e quello orbitale terrestre. Infine, di fronte ai solidissimi i bilanci della ISRO e alla completa fiducia (a volte perfino l’entusiasmo) dimostrato dai contribuenti, ai militari è sembrato ormai giunto il momento di portare all’incasso la cambiale ricevuta tanti anni prima. L’ISRO è sensibile a queste tematiche, ovviamente, e quindi prepara i suoi piani. Ci potete scommettere: avremo tra breve nello Spazio una presenza stabile e numerosa di personale con il simbolo del Chakra, la ruota della vita. Ma questo sarà tema per successivi articoli.

di ROBERTO FLAIBANI

FONTI:

di Narayan Prasad e Prateep Basu

Renewing India’s space vision: a necessity or luxury?

pubblicato su The Space Review  – lunedì 4 maggio 2015

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di Mayank Aggarwa and Nikita Mehta

Govt partners Isro on 170 projects to use space technology

pubblicato su Live Mint – mercoledì 9 settembre 2015

21 settembre 2015 Posted by | Astronautica, Difesa Planetaria, Planetologia, Scienze dello Spazio | , , , , , , , , , | Lascia un commento

Mappa dei corpi solidi del Sistema Solare

space-without-the-space

Ultimamente abbiamo fatto amicizia con il cordialissimo Stephen P. Bianchini, uno studioso di statistica e scienze sociali, appassionato di fantascienza, che vive nella zona di Edimburgo. Stephen collabora con Serious Wonder e con Amazing Stories e ha uno splendido blog tutto suo chiamato The Earthian Hivemind. Per quanto riguarda la collaborazione tra noi (resa più semplice dal perfetto bilinguismo di Stephen) abbiamo deciso di rendere i rispettivi archivi vicendevolmente accessibili, perciò vedrete tra breve i migliori articoli del Tredicesimo apparire, tradotti in inglese, su The Earthian Hivemind, e viceversa. Cominciamo noi proponendovi questo pezzo sulla stupefacente Mappa dei corpi solidi del Sistema Solare (RF)

Questo XKCD è davvero un sito meraviglioso (se ancora non lo conoscete andateci subito, non ve ne pentirete). Ogni tanto qualcuna delle loro realizzazioni grafiche appare dotata di una particolare potenza concettuale, come questa mappa “vecchio stile” che mette insieme tutti i corpi solidi del Sistema Solare.

Non ci sorprende che il nostro pianeta risulti primo, in fondo stiamo parlando di pianeti solidi, ricordatelo, perciò niente giganti gassosi o ghiacciati. Mentre Venere, gemello minore della Terra, è secondo per un soffio. Ganimede, nel sistema di Giove, è la luna più grande del Sistema Solare, e con i suoi 5262 chilometri di diametro è più grande anche di Mercurio e all’incirca della taglia di Marte. La nostra Luna, seppure più piccola di altre, raggiunge comunque una stazza considerevole, specie se paragonata per dimensioni alla Terra (e questo ha provocato la presentazione di una serie di ipotesi riguardo alla sua formazione). Altre lune sono altrettanto impressionanti per diverse ragioni, come il bellissimo Titano (un’altra bella fetta della mappa) o la strana Miranda (vedere questo articolo se si vuole saperne di più).

Nella parte bassa della mappa c’è una sorta di regione residuale, che raccoglie tutto il resto del materiale solido del Sistema, come le lune minori, le comete e così via. Alcune delle lune minori sono davvero piccole, e non solo le grandi lune possono avere le loro lunette (e le maltrattano pure, come Giapeto che potrebbe aver usato la propria per creare le sue montagne), ma possono anche altri piccoli corpi celesti come gli asteroidi. Un esempio? L’asteroide Ida, diametro massimo 30 chilometri, ha una lunetta in orbita intorno a se: è lunga quasi un chilometro e mezzo e la chiamano Dactyl. E’ così minuscola che solo la sonda Galileo nel 1993, sfilandole accanto a 9600 chilometri di distanza, fu in grado di scoprirla.

Qualche altra cifra può interessare: il Sole da solo si aggiudica il 99% della massa del nostro sistema planetario. Dei rimanenti corpi celesti, Giove è di gran lunga il maggiore (il suo raggio è pari al 10% di quello del Sole). Potrebbe contenere circa 1321 Terre e pare che nel corso della sua evoluzione abbia inghiottito un rivale più piccolo, il che giustificherebbe la sua stazza.

solar_system_no_sunPer concludere, solo una breve nota finale. La sonda “New Horizons” raggiungerà Plutone all’inizio dell’estate e a lugliio sarà alla distanza minima prevista dal pianeta nano. Voglio calcare la mano sull’aggettivo “piccolo” mentre voi osservate la mappa. Il diametro di Plutone è pari a soli 2368 chilometri, circa la metà della distanza che separa la California dal Maine. Ma non mi sento di raccomandarvela come scampagnata in macchina.

traduzione di ROBERTO FLAIBANI

editing STEPHEN P. BIANCHINI

DONATELLA LEVI

Titolo originale “Solid Bodies in the Solar System – a great map”

pubblicato il 3 gennaio 2015 da The Earthian Hivemind.

Creedits: XKCD, NASA-JPL

23 febbraio 2015 Posted by | Astrofisica, Planetologia, Scienze dello Spazio | , , , , , , , | Lascia un commento

Quei visionari dello spazio che cambiarono il mondo… (prima parte)

La Corsa allo Spazio è nata grazie a due ingegneri visionari e geniali, von Braun e Korolev, che sapevano come influenzare le burocrazie e i leader dei propri paesi. Questo articolo racconta del perfetto gioco di squadra eseguito dai due, senza ma incontrarsi né scambiarsi una parola. E così la Terra entrò in una nuova era. (RF)

vonbraunSaturn5Nel mezzo della guerra più distruttiva della storia, Wernher von Braun fu incaricato di farla diventare anche peggiore costruendo un missile balistico da far piovere su Londra: il razzo V-2. Sfortunatamente per i suoi capi, le ambizioni di von Braun erano un tantino differenti. Egli riconobbe che il razzo aveva la potenzialità di raggiungere l’orbita terrestre trasportandovi il  primo satellite artificiale della storia, ma ogni volta che propose questa idea, i suoi superiori delle SS dichiararono (in toni via via più minacciosi) che il Führer voleva un’arma, non un giocattolo fantascientifico.

(Foto 1 – von Braun e il Saturno 5)

L’astuta insubordinazione di von Braun, cioè sottrarre risorse dal bilancio delle armi principali per proseguire la ricerca sui voli spaziali, facendo comunque abbastanza progressi con la V-2 da rimanere credibile di fronte ai suoi superiori, fu un atto di alto funambolismo. Ogni giorno rischiava sempre più la vita, e presto divenne chiaro che le SS intendevano uccidere alla fine gli scienziati della V-2 per impedire che gli americani o i russi ne acquisissero le competenze. Solo intuendo il momento giusto e fuggendo con dei documenti falsi, von Braun riuscì a consegnarsi agli americani insieme a un certo numero di membri della sua équipe.

vonbraun3foto 2 – von Braun a una riunione di ufficiali)

Sotto un vessillo votato alla distruzione, con i più stretti ordini di concentrarsi solo sulle applicazioni militari, un solo uomo riuscì in un modo o nell’altro a costruire, nel giro di pochi anni, le fondamenta per decenni di pacifica esplorazione spaziale, sopravvivendo per spiegare le sue ragioni alla storia. Il sogno di von Braun non ebbe il minimo impatto sulla pazzia del Terzo Reich, ma formò una spora virulenta che sarebbe sopravvissuta per infettare con la sua tecnologia ambedue le superpotenze.

Dal momento in cui gli Stati Uniti e l’URSS entrarono in possesso del materiale V-2, entrambi gli stati videro solo l’arma strategica che i Nazisti volevano sviluppare, e per più di un decennio non ne colsero, o ignorarono, il potenziale più profondo.  Di fronte alla possibilità di lasciare la Terra, il pensiero banale dei militari e dei burocrati poté soltanto concepirne un ritorno esplosivo sulle teste dei propri nemici.

Korolev+Sputnik

(foto 3  – Sergei Korolev con la sua prima creazione: lo Sputnik)

Von Braun, che allora lavorava per gli Stati Uniti, non era più costretto a nascondere le sue ambizioni più alte ma stava ben attento a non inimicarsi i suoi nuovi ospiti militari apparendo troppo entusiasta per idee che essi non avevano ancora compreso. Loro lo vedevano come uno strano secchione dalle fissazioni eccentriche che, se adeguatamente manipolato, poteva dar loro un vantaggio strategico sugli armamenti sovietici; e lui, a sua volta, li vedeva come sempliciotti da parrocchia che dovevano essere condotti per mano fino a comprendere ciò che era del tutto ovvio rispetto alla tecnologia in loro possesso. Lo scienziato tedesco veniva trattato con sufficienza per i suoi sogni, ma questi erano tollerati come manie personali.

Gagarin+Korolev(foto 4: – Korolev con Gagarin)

Nel frattempo i sovietici furono costretti a setacciare il loro vasto e segreto impero alla ricerca di qualcuno che avesse le competenze necessarie per capire e replicare il lavoro di Von Braun, e il migliore che trovarono fu Sergei Korolev – un uomo che aveva passato molti degli ultimi anni faticando nei gulag siberiani per colpa di false accuse. Negli ultimi anni del programma V-2 l’indole e l’esperienza di Korolev furono stranamente simmetriche a quelle di von Braun. Il suo governo chiedeva missili intercontinentali, minacciando le più severe conseguenze personali se avesse fallito, e non comprese, ignorò o guardò con sospetto qualsiasi idea non ortodossa, come il volo spaziale.

Korolev tenne un basso profilo finché non fu in grado di mostrare risultati, si costruì una credibilità e un’influenza nel governo, e ricercò sinergie tra ciò che l’Armata Rossa pretendeva e i razzi spaziali che egli voleva costruire. Il suo ruolo nel programma missilistico sovietico divenne così centrale e il suo talento così apprezzato che la sua stessa identità divenne un segreto di stato al massimo livello e lui sarebbe stato conosciuto fino alla sua morte semplicemente come il “Capo Progetto”.

Fu solo grazie a questa posizione privilegiata che egli riuscì faticosamente a sussurrare con discrezione alle orecchie dell’alto comando sovietico il suggerimento di usare le loro armi per il volo spaziale. I sovietici avevano a portata di mano un momento storico, disse loro, se solo il Politburo lo avesse permesso, un momento che avrebbe scatenato l’invidia e il desiderio di emulazione del mondo intero, senza il rimorso  di aver fatto qualcosa di ingiusto o di guerrafondaio. In caso di fallimento tutto quello che rischiavano era un banale imbarazzo, ma se invece avessero avuto successo il mondo sarebbe stato pervaso da un’incredula ammirazione.

korolevpostale

(foto 5: Korolev in un francobollo commemorativo)

Grazie a un misto di argomenti razionali e di quelli che oggi potremmo chiamare “giochetti mentali da cavaliere Jedi”, riuscì alla fine a convincerli, insinuando che gli americani stavano per lanciare (ma non era vero) e persuadendo i suoi superiori che erano stati loro a concepire la brillante idea del lancio nello spazio, mentre lui la stava soltanto realizzando. I suoi detrattori nell’Ufficio Razzi, che volevano concentrarsi sulla versione militare della missilistica, furono a poco a poco dipinti come dissidenti del Programma, piuttosto che come i suoi difensori dall’agenda estremista di Korolev. Improvvisamente una superpotenza totalitarista grande quanto un continente si impegnò nel volo spaziale, laddove dove prima d’allora vi si era dedicato solo un manipolo di visionari.

Rispetto a Korolev, Von Braun aveva molto meno accesso ai centri decisionali del potere, così le sue idee vennero trattate come opinioni interessate e non come suggerimenti urgenti e documentati. Inoltre, negli Stati Uniti l’immagine prevalente che si aveva dell’Unione Sovietica era quella di uno stato tecnologicamente arretrato. L’idea che Buck Rogers potesse indossare la Stella Rossa non trovava posto nell’immaginario americano, perciò il lancio dello Sputnik fu ancora più scioccante di quanto ci si possa oggi rendere conto. Fu così che il volo spaziale si trasformò da concetto vagamente interessante, ma di scarsa importanza, a urgente necessità nazionale, e Von Braun da dissidente a saggio.

vonbraunKennedy

(foto 6: von Braun a braccetto con Kennedy)

La strana simmetria tra von Braun e Korolev si ripeté di nuovo quando von Braun, dall’alto della sua nuova credibilità, convinse i leader americani che non sarebbe bastato semplicemente uguagliare gli obiettivi dei sovietici mano a mano che li raggiungevano, ma occorreva piuttosto che gli Stati Uniti li superassero drasticamente nel più breve tempo possibile. Le menti più fredde e pragmatiche obiettarono sulla necessità stessa di andare nello spazio, proprio come fanno oggi, ma furono del tutto ignorate nell’entusiasmo contagioso del momento. Altri, più modestamente, pensavano che sarebbe bastato lanciare il proprio satellite per salvare le apparenze, salvo poi lasciar perdere tutta la faccenda.

A von Braun, tuttavia, non importava affatto l’agitazione geopolitica del momento, o chi uguagliasse cosa, o quali vantaggi temporanei  si potessero ottenere. Lui voleva semplicemente promuovere il volo spaziale e, come Korolev sapeva suonare le menti del Politburo come strumenti musicali, così lui sfruttò ogni posizione di potere alla sua portata per far sì che ciò si realizzasse. Il giorno prima dello Sputnik le sue considerazioni in favore di un satellite americano erano ritenute premature e irrealistiche; il giorno dopo, le sue argomentazioni per portare l’Uomo sulla Luna venivano considerate serie e credibili.

vonbraun2(foto 7: von Braun illustra il progetto di una stazione spaziale)

Da quell’improvviso scossone avvenuto negli Stati Uniti, Korolev poté  trovare giustificazioni per le sue posizioni, spingendo i sovietici verso nuovi e più grandi impegni. Senza mai essersi incontrati  o aver scambiato una singola parola, von Braun e Korolev sfruttarono l’inimicizia tra i rispettivi governi a vantaggio del proprio sogno comune. Nacque così la Corsa allo Spazio, non  per una naturale tendenza delle due superpotenze, che avrebbero forse preferito tenere un comportamento cauto e pragmatico, ma grazie a ingegneri visionari che sapevano come mettere fuori gioco le burocrazie e fare il lavaggio del  cervello ai propri leader.

Mentre tutto questo accadeva, il solipsismo per il quale “ci sono cose migliori da fare quaggiù”  – quello che come tema dominante rende la maggior parte della storia monotona e priva di importanza – venne sopraffatto e ignorato, riducendosi a patetico rumore di fondo incapace di ostacolare in modo significativo la Corsa allo Spazio. Coloro che erano contrari, seppure numerosi, non venivano considerati ragionevoli o persuasivi, le loro opinioni suonavano pusillanimi ed egocentriche, se non piene di risentimento per qualcosa di così importante da far sembrare le loro preoccupazioni futili e fugaci. Chi invece era favorevole poteva vedere, forse per la prima volta nella vita, una visione dell’Umanità positiva e unificante, nella rincorsa pacifica di una frontiera estrema da parte di nemici mortali.

I semplici sogni innocenti di un bambino che guarda in su verso  le stelle avevano sopravanzato  la corsa verso l’ Armageddon nucleare nel momento più alto di pericolo globale. È perlomeno ragionevole chiedersi se la Corsa allo Spazio sia stata davvero il motivo per il quale la terza  guerra mondiale non è scoppiata. A partire da quel nuovo, elevato punto di vista, la visione di von Braun e Korolev pervase ogni recesso dei programmi spaziali delle due nazioni, e da allora decenni di scarsi finanziamenti e risultati di poco conto non sono riusciti a far rientrare il genio nella bottiglia.

vonbraunmarte(foto 8: progetti futuri….)

Né la fine del programma Apollo, né la mancanza di ricadute di qualche valore nei decenni successivi, nemmeno il totale collasso della stessa Unione Sovietica, sono riusciti a cancellare i programmi di volo spaziale delle due superpotenze, o ad annullare la convinzione generale che tali attività siano parte del carattere fondamentale di una grande nazione. Nel caso dell’Unione Sovietica, il programma spaziale è stato letteralmente più duraturo della nazione che lo aveva creato, dimostrando di avere radici in qualcosa di ben più profondo di un credo politico o del nazionalismo.

(continua….)

traduzione ed editing:

ROBERTO FLAIBANI

DONATELLA LEVI

Titolo originale: “The strange contagion of a dream” di Brian Altmeyer

pubblicato il 6 ottobre 2014 da The Space Review

27 gennaio 2015 Posted by | Astronautica, Epistemologia, News | , , , , , , , , | 2 commenti

Saranno questi i nuovi Shuttle?

Negli ultimi anni il settore aerospaziale sembra aver abbandonato l’uso degli spazioplani, come nel caso del pensionamento dello Space Shuttle. In realtà ciò è vero solo in parte, infatti sia la Russia che gli Stati Uniti hanno in progetto di sviluppare una nuova generazione di Shutlle. Di seguito parleremo della navetta russa Kliper e le navette della serie X-37 costruite negli Stati Uniti.

1Lo spazioplano Kliper

Kliper è uno spazioplano prodotto dall’ Agenzia Spaziale Russa Roskosmos, il cui principale appaltatore è RKK Energia in collaborazione con l’ESA(Agenzia Spaziale Europea), che si occupa dell’aviotronica e dei sistemi di pilotaggio e la JAXA (Agenzia Spaziale Giapponese) per lo sviluppo dell’elettronica di bordo. Il progetto della navetta iniziò nel 2005 ma subì ritardi a causa delle modifiche al progetto e successivi problemi di fondi da parte della RKK Energia. Per questi motivi, l’Agenzia Spaziale Russa ha cercato di coinvolgere nel progetto anche l’Agenzia Spaziale Europea, la quale è la principale utilizzatrice dei mezzi spaziali russi. Non esiste una stima precisa di costi, in quanto le variazioni al progetto originale hanno determinato una fluttuazione compresa tra 15 e 16 milioni di dollari.

Inizialmente il primo test di volo sarebbe dovuto avvenire nel 2011, mentre il volo inaugurale l’anno seguente. L’Agenzia Spaziale Russa ha fatto tesoro dell’esperienza maturata nello sviluppo degli spazioplani, come il MIG-105 e il Buran, cercando di creare una navetta completamente riutilizzabile per il trasporto di passeggeri e rifornimenti. La navetta ha lo spazio sufficiente per 6 persone e 500 kg di carico, è provvista di uno scudo termico in piastrelle come lo Shuttle e il Buran. Sarà in grado di planare come un aliante al rientro nell’atmosfera terrestre, per poi atterrare su una pista di aerei usando un carrello d’atterraggio. Kliper sarà sprovvisto di motori e si affiderà solo al razzo Soyuz per la sua messa in orbita. Per dare alla navetta una grande flessibilità operativa, la si è dotata di un sistema di aggancio sulla coda per connetterla a moduli di trasporto o a moduli provvisti di motori oppure a moduli vitali per possibili missioni prolungate nello spazio o, in alternativa, ad una possibile combinazione di più soluzioni. Quest’ultimo aspetto è tenuto in grande considerazione dai progettisti del Kliper, poiché il mezzo potrà essere impiegato in missioni orbitali lunari e marziane. I profili delle future missioni del Kliper saranno i più disparati ma, nell’immediato, dovrebbe essere impiegato nel connetere la Stazione Spaziale Internazionale (ISS) alla Terra, sostituendo le Soyuz.

Per tali missioni, inoltre,  è stato progettato un modulo di connessione, Parom, anche questo riutilizzabile perché verrà lasciato in orbita bassa al rientro della navetta, per essere riagganciato nella missione successiva verso la ISS. Se il progetto Kliper andrà in porto, sarà necessario lanciarlo con un razzo vettore, come tutti i veicoli diretti nell’orbita bassa. La Roskosmos ha previsto di utilizzare gli attuali razzi Soyuz 2-3, apprezzati per la loro grande affidabilità (valutata attorno al 100%) e per ragioni logistiche inerenti al modo di lanciare la futura navetta: questa sarà sistemata sulla sommità del razzo proprio come le navette Soyuz, in una configurazione particolarmente cara agli ingegneri russi per ragioni di sicurezza e di affidabilità.

2Confronto tra la Soyuz e Kliper

Le Soyuz sono attualmente le uniche navette a solcare i cieli poiché, dopo il pensionamento della flotta Shuttle, non esistono più altri sistemi di trasporto verso la ISS. Nonostante Kliper miri a sostituire le vecchie Soyuz, alcune soluzioni tecniche di queste continueranno a sopravvivere nella nuova navetta riutilizzabile. La Soyuz è lanciata da un razzo che porta lo stesso nome della navetta ed è disposta sua sommità di questo. Analogamente anche Kliper sarà disposto sullo stesso razzo della Soyuz e nella medesima posizione. La soluzione ha due vantaggi in termini di costi e di progettazione: si riducono i costi e tempi utilizzando un sistema già ampiamente collaudato e sicuro. Entrambe le navette hanno la stessa capacità di carico di 500 kg. Inoltre Kliper sarà dotata di una toilette di bordo, già presente nello spazio angusto della Soyuz. La principale differenza tra i due velivoli risiederà nella completa riutilizzazione della Kliper unita alla capacità di trasportare fino a sei persona alla volta invece di trre. Attualmente, il progetto è stato bloccato dal governo russo nonostante la grande risonanza mediatica di cui aveva goduto. Non si parla di una vera e propria cancellazione ma sta di fatto che le difficoltà progettuali, unite all’aumento dei costi, hanno pesato sulle prospettive future. Sembra che la Roskosmos stia portando avanti lo sviluppo della capsula PPTS (Prospective Piloted System), con una capacità di carico e di trasporto di persone pari alla navetta spaziale Kliper. La PPTS può avere varie configurazioni: una per il trasporto fino a 6 persone verso la ISS, e una per il trasporto di quattro persone adatto per l’orbita lunare e altre missioni in orbita terrestre.

3X – 37

L’altro spazioplano di cui parleremo sarà l’X-37, sviluppato negli Usa dall’aeronautica militare (USAF), dalla DARPA (l’agenzia del Pentagono per l’alta tecnologia), dalla NASA e dalla principale contraente per lo sviluppo, la Boeing. Mentre Kliper era ancora in fase di progetto, già l’X-37A compiva dei test di volo tra l’anno 2005 e 2006. Il primo volo orbitale avverrà con una nuova versione denominata X-37B. Il suo primo lancio, OTV-1, partì da Cape Canaveral il 22 aprile 2010 fino al novembre dello stesso anno con l’atterraggio nella base militare di Vandemberg. La missione successiva, OTV-2, durò dal 5 marzo 2012 con il lancio da Cape Canaveral ,al 16 giugno 2012 con atterraggio nella base di Vendemrberg. L’ultimo volo, OTV-3, partì da Cape Canaveral l’11 dicembre 2012 e atterrò sempre a Vandemberg il 12 ottobre 2012 stabilendo il record di permanenza nello spazio di un velivolo automatizzato per un totale di 670 giorni. Ufficialmente lo scopo della OTV-3 era di controllare i seguenti sistemi:

  • navigazione

  • guida e controllo

  • protezione termica

  • aviotronica di bordo

  • reazione dei componenti soggetti alle alte temperature

  • isolamento riutilizzabili

  • parti elettroniche leggere per il controllo del volo

  • paracadute orbitale

  • fase di rientro e atterraggio su pista

Vista la genericità dei profili delle missioni, si è ipotizzato che queste navette fossero legate principalmente a impieghi militari. I costi di sviluppo iniziali erano di 301 milioni di dollari nel 2002, anno in cui la Boeing si è aggiudicata la commessa. Per ora i possibili impieghi futuri della navetta sembrano essere di ricognizione e di sorveglianza ma è stato annunciato lo sviluppo della navetta X-37C: una versione adatta al trasporto di astronauti alla stazione spaziale internazionale.

5Confronto tra X-37 e Space Shuttle

La navetta X-37 è una versione ridotta dello Space Shuttle, pertanto ne condivide lo scudo termico in piastrelle e un carrello retrattile per gli atterraggi in aeroporto. La principale differenza con lo Space Shuttle risiede nelle dimensioni più ridotte dell’X-37 e un sistema di aggancio sulla coda per il trasporto di moduli specifici nelle diverse missioni. Come per Kliper, l’X-37 è progettato con il criterio della massima efficienza, traducendosi nella ricerca della massima flessibilità operativa che permetterebbe una riduzione dei costi. In altri termini, un velivolo più piccolo può essere lanciato su razzi meno potenti, necessitando di minor carburante e semplificando le procedure di lancio. Inoltre la creazione di moduli specifici e intercambiabili permetterà di riutilizzare la stessa navetta per più missioni, limitando tutta la costosa trafila della progettazione e dei successivi test solo al modulo specifico. Attualmente l’X-37B è stato equipaggiato da un modulo motori, contenente un Aerojet 2-3 alimentato ad idrazina.

Conclusioni

Da questa breve disamina sui futuri progetti degli spazioplani, emerge ancora un interesse attorno a questo genere di navette nonostante il pensionamento della flotta Space Shuttle e il trionfo dei capsule Soyuz. Non è un caso che i nuovi spazioplani siano sviluppati da ingegneri russi e statunitensi, che hanno fatto tesoro dell’esperienza maturata attraverso il MIG-105 per i primi e l’X-20 Dyna – Soar per i secondi. Questi progetti anticiparono lo sviluppo di più maturi programmi: Space Shuttle negli Usa e Buran nell’Unione Sovietica. La cosa interessante è che il primo spazioplano a compiere un volo orbitale con atterraggio completamente automatizzato fu il Buran, la cui tecnologia è oggi impiegata nei droni, nell’X-37B e nell’ipotetica navetta Kliper. Il programma statunitense Costellation e quello russo PPTS sembrano suggerire una riscoperta delle capsule spaziali, seppur potenziate per dimensioni e tecnologia. È curioso constatare che gli USA sembrano aver messo da parte il programma Costellation a vantaggio dell’X-37, mentre i russi, al contrario, hanno sospeso Kliper per PPTS. Il futuro è ancora incerto e forse l’entrata in scena i nuovi Global Competitor (specialmente tra i paesi BRICS) e delle compagnie private, potrebbero riservare interessanti sorprese.

LUCA di BITONTO

Bibliografia

 

3 dicembre 2014 Posted by | Astrofisica, Astronautica, News, Scienze dello Spazio | , , , , , , | Lascia un commento

L’acqua e la Luna

Una moderna sonda spaziale rimodula la nostra visione della Luna

Sebbene la Luna sia l’unico corpo di cui abbiamo campioni (almeno campioni che siano stati portati deliberatamente sulla Terra – meteoriti da Marte e asteroidi non contano qui), è rimasto, stranamente, tuttora sconosciuto. Dopo un iniziale significativo interesse riservato ad essa nel programma spaziale degli USA, la Luna apparentemente è diventata un oggetto di secondo piano e l’attenzione si è spostata su Marte e sui corpi più esterni del Sistema solare. Comunque, negli ultimi anni la stessa Luna ha provveduto da sola a tornare a essere un oggetto interessante da osservare. Noi siamo abituati a pensare al nostro satellite come “secco”, “secca come un osso” la definisce a volte la gente. I campioni prelevati durante le missioni Apollo insinuavano la presenza di qualcosa legato all’acqua, ma era stata valutata essere per lo più acqua di origine terrestre. Tuttavia, i risultati sono stati “grondanti” (gioco di parole!) nel corso dei decenni e hanno fornito sempre più prove riguardo alla presenza di acqua su tutta la Luna: recenti rilevazioni, non di una ma di diverse sonde, mostrano che la Luna non ne è priva. Naturalmente non si può dire che sia bagnata, ma di certo non è secca!

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(immagine: Nel 2009, lo spettrometro Moon Mineralogy Mapper (M3), a bordo del Chandrayaan1 messo in orbita dall’India, ha rilevato quantità percettibili di acqua sulla superficie lunare. In questo mosaico derivato dai dati M3, il blu indicala presenza di acqua, il verde mostra le superfici luminose e il rosso i minerali di ferro.).

 Iniziali indizi sulla presenza di acqua sulla Luna provengono da tre ricerche degli anni ’90.

I dati raccolti dalla sonda Galileo, che sorvolò in flyby la Luna nel 1991 e nel 1992, mostrarono una debole formazione nella parte visibile dello spettro, prodotta da alterazioni ad opera dell’acqua, più evidente alle alte latitudini che a quelle basse. Nel 1994 le misurazioni effettuate dal radar bistatico Clementina (in cui i segnali radio catturati dalla sonda spaziale erano riflessi dalle regioni polari della Luna) suggerirono ghiaccio di acqua ai poli, sebbene questo dato fosse dibattuto. Finalmente, nel 1998 i dati raccolti dallo spettrometro a neutroni Lunar Prospector mostrarono segni evidenti di eccesso di idrogeno nelle zone polari della Luna, che gli scienziati interpretarono come presenza di acqua in quelle aree.

Riguardo a questo aspetto non ci furono scoperte rilevanti durante la prima parte del nuovo millennio, finché nel tardo 2008 non arrivò la sonda Chandrayaan-1, messa in orbita dall’India. Moon Minarolgy Mapper (M3), strumento di bordo della sonda, rilevò per la prima volta sulla superficie lunare la presenza dello spettro infrarosso del H2O (o dell’OH che può essere considerato un suo precursore). Esso è ben conosciuto ed è usato comunemente quale strumento di studio, per esempio, per la superficie ghiacciata di altre lune dei pianeti più esterni del Sistema solare. Il team M3 verificò questi risultati confrontandoli con i dati raccolti dagli strumenti IR della sonda Cassini (lanciata nel 1999) e dalla sonda Deep Impact, in orbita flyby intorno alla Luna nel giugno 2009. Le caratteristiche spettrali sembrarono essere reali e indicare che l’acqua era presente sul lato della Luna rivolto verso il Sole, con maggior abbondanza alle alte latitudini, più fredde, e vicino al terminatore (p.e. nella prima parte o nell’ultima parte del giorno).

Nel frattempo, nel giugno 2009 è stato lanciato il Lunar Reconnaissance Orbiter (LRO), che è entrato in orbita intorno alla Luna nell’autunno dello stesso anno. Nell’esperimento Lunar Crater Observation and Sensing Satellite (LCROSS) lo stadio superiore del razzo Centaurus, che lanciò LRO/LCROS, era diretto ad impattare il satellite in un cratere del polo sud. I dati raccolti dalle polveri di materiale creatisi nell’impatto mostrarono segni evidenti della presenza di H2O. Indizi ancora più evidenti vennero dallo strumento di bordo di LRO, il Lyman Alpha Mapping Project (LAMP), che usa un complesso metodo di misurazione nelle aree permanentemente in ombra (PSRs). Queste regioni polari non sono mai esposte alla luce del Sole; come risultato, la temperatura in esse è costante e fredda, 40 Kelvin (-233° Celsius, -387 gradi Fahrenheit), molto fredda, abbastanza da generare acqua e tenerla stabile. Dal momento che i tradizionali metodi di riflessione spettroscopica non lavorano bene in queste aree di costante oscurità, dove nessuna radiazione solare viene riflessa, il LAMP utilizza le sorgenti ultraviolette provenienti dalle stelle e dall’idrogeno interplanetario, poi misura la luce UV riflessa nello strumento dalle regioni PSRs. Utilizzando tali rilevazioni, LAMP ha messo in evidenza la presenza di acqua in quelle aere. I dati raccolti dal LAMP nel lato della Luna esposto al Sole indicano la presenza di acqua anche nelle regioni a bassa latitudine, supportando i precedenti risultati di M3, ma usando una parte completamente diversa dello spettro per condurre le misurazioni. Anche se di giorno la temperatura alle basse latitudini della Luna può arrivare a 400 Kelvin (127° Celsius, 261 gradi Fahrenheit) – temperatura troppo alta perché l’H2O resti stabile – l’acqua sembra formarsi là e rimanere stabile nelle prime ed ultime ore del giorno, quando la temperatura diminuisce.

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(Immagine: Lo strumento Lyman Alpha Mapping Project (LAMP) a bordo del Lunar Reconnaissance Orbiter (LRO) ha trovato ulteriore presenza di acqua ai poli della Luna. Il LAMP ha effettuato misurazioni all’interno delle regioni permanentemente in ombra, zone buie abbastanza da nascondere l’acqua e fredde altrettanto da renderla stabile. La tessitura della superficie nelle zone sempre in ombra non è stata ancora ben compresa e complica ulteriormente la comprensione dei dati raccolti là dal LAMP

Origini dell’acqua lunare

Da dove proviene tutta questa acqua? Noi sappiamo che sulla Luna c’è H2O primordiale, lasciata dai primi processi di formazione. Questo è stato dimostrato dai campioni prelevati dal primitivo mantello lunare. C’è anche H2O che è stata portata dalle comete nel corso di milioni di anni. Altra  H2O proviene dal vento solare, questa già ipotizzata negli anni ’50. Gli ioni di idrogeno portati dal vento solare reagiscono con l’ossido di ferro producendo minerali e cristalli lunari e liberando piccole quantità di vapor acqueo e ferro metallico.

Il vento solare è anche riconosciuto quale agente erosivo della superficie lunare, dal momento che essa, non protetta da una spessa atmosfera o da una magnetosfera, si modifica con il tempo proprio ad opera di questo e dei micrometeoroidi. Tale erosione nasconde la Luna alle lunghezze d’onda del visibile vicine all’infrarosso a causa del ferro nanofasico (di dimensioni al di sotto dei 100 nanometri), che si forma durante il processo. La fascia spettrale dell’ultravioletto si presenta come un range particolarmente favorevole per l’osservazione degli effetti dell’erosione, perché le lunghezze d’onda corte rilevano principalmente le superfici di pochi micron dei granuli, dove i margini erosivi sono collocati. Nell’UV il ferro nanofasico è piuttosto brillante così le regioni più giovani e meno alterate sono previste essere più scure. Un buon test di collegamento tra brillantezza degli UV ed erosione si presenta nei vortici lunari. Queste regioni, un po’ anomale da un punto di vista magnetico, sono ritenute essere otticamente immature ed appaiono localmente protette dal flusso del vento solare, in quanto in esse il suolo non è stato esposto e modificato/maturato quanto quello delle zone circostanti. In effetti, tali vortici sono risultati essere relativamente scuri alle lunghezze d’onda vicino all’UV (come visto usando dati in colore dalla fotocamera di LRO, LROC), in accordo con una superficie relativamente più giovane. Se il bombardamento del vento solare porta alla produzione di H2O e anche di ferro nanofase, non dovrebbero anche le regioni relativamente giovani/immature essere meno idratate? Senza dubbio i vortici lunari si sono mostrati essere meno idratati delle regioni circostanti.

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immagine a sinistra: Shackleton, un cratere di 21 chilometri (13 miglia), è una zona permanentemente in ombra nel polo sud della Luna. Grazie alla riflessione di raggi laser da parte della superficie lunare, LRO ha permesso agli scienziati di costruire modelli 3-D dell’interno di crateri simili ad esso. Il LAMP utilizza la luce di altre stelle per illuminare la parti interne.

Immagine a destra: Un visibile indizio di erosione meteorica sulla superficie lunare può essere trovato nelle formazioni a vortice. Queste immagini della fotocamera LRO mostrano un’anomalia magnetica crostale, chiamata Reiner Gamma Swirl. A sinistra è riportata un’immagine alla lunghezza d’onda del visibile a destra all’ultravioletto. L’inversione dello spettro tra visibile e UV è probabilmente dovuta ad una relativa mancanza di ferro nanofasico all’interno della zona dei vortici, così che in confronto alle sue zone circostanti il vortice risulta brillante nel visibile e scuro nell’UV.

Ancora di più da sapere

L’acqua lunare non è ancora completamente compresa. Qual è la distribuzione ed l’abbondanza dell’acqua polare, superficiale ed interna? C’è anche la questione della scala temporale della produzione di H2O/OH. È creata a livello giornaliero? Può anche darsi che il vento solare abbia prodotto H2O/OH nella regolite lunare per così tanti millenni che molta di essa sia stata immagazzinata sotto lo strato visibile e “percola” in alto quando la temperatura è quella giusta. Alle latitudini più alte, laddove la temperatura è più bassa, l’H2O potrebbe formarsi ed essere stabile direttamente sulla superficie. È importante, comunque, ricordare che non stiamo parlando di grandi quantità di acqua: circa lo 0,5% in peso alle latitudini più basse e 1-2 % nelle PSRs. Tuttavia è importante per capire bene la storia e l’evoluzione della nostra Luna quanto quella di altri corpi. Per esempio, ora si sa che anche nella zona polare di Mercurio c’è H2O: dobbiamo, pertanto, rinnovare il nostro studio della Luna.

LRO è ancora in orbita e continua a mappare la superficie del satellite e a indagare riguardo alla presenza di acqua su entrambe le facce e sulle PSR. Il Lunar Atmosphere and Dust Environment Explorer (LADEE) della NASA sarà messo in orbita nell’ultima parte di quest’anno per effettuare delle rilevazioni nell’atmosfera lunare e conoscere meglio le interazioni del vento solare con la superficie. Misurazioni di laboratorio di campioni dell’Apollo con moderne strumentazioni hanno dato l’avvio ad ulteriori ipotesi, portandoci ad una conoscenza completamente nuova del nostro satellite. Le riprese ad alta risoluzione della Luna fornite da LRO sono assolutamente straordinarie: sorprendenti tanto quanto le immagini impressionanti di molti corpi celesti più lontani, come Encelado.

Finalmente, stiamo per conoscere il nostro più vicino “vicino di casa”… è arrivato il momento!

traduzione di SIMONETTA ERCOLI

Titolo originale: Lunar Water and Weathering – Modern Spacecraft Reshape Our View on the Moon di Amanda Hendrix. L’articolo è stato pubblicato nel numero di giugno 2013 di The Planetary Report.

23 settembre 2013 Posted by | Astrofisica, Astronautica, Carnevale della Chimica, Planetologia, Scienze dello Spazio | , , , , , | Lascia un commento

HIGH FRONTIER, fabbrica di scenari futuri

Year2061(doppio click per ingrandire)

Nel dicembre scorso avemmo il piacere di presentare un gioco di simulazione dotato di caratteristiche sorprendenti e inconsuete, che fu subito premiato da un forte interesse da parte dei lettori. Il titolo dell’articolo era “HIGH FRONTIER, l’esplorazione simulata dl Sistema Solare” e detiene ancora il primato come articolo più letto in una singola giornata. Oggi ritorniamo a occuparci di HIGH FRONTIER, e probabilmente lo faremo ancora in futuro da angolazioni diverse, per presentarvi i risultati di un esperimento di simulazione ludica giocata e commentata. Le due partite di cui vi parleremo sono state giocate via email tramite il sito “Calvinus – Boardgames Design Lab”, creato e animato da Luca Cammisa, 41 anni, un passato come sviluppatore di giochi per computer. La prima delle due partite, a cui ci riferiremo da qui in poi, reca, dietro nostra richiesta, una scheda dove ogni giocatore presenta un proprio curriculum ludico essenziale, un’analisi dell’andamento generale della partita e una serie di valutazioni tattico-strategiche.

 Apprendiamo così che Samuel Williams, membro della Columbus Area Board Game Society, uno dei più famosi club americani , e cresciuto a suon di Axis and Allies, Diplomacy e Battlestar Galactica, tiene i giapponesi della Shimizu in questa partita di HF. Dopo un inizio difficile, è riuscito a imbroccare un buon business tecnologico che gli ha permesso di industrializzare la Luna e Dresda, un grosso asteroide, e terminare la partita al secondo posto.

 Francisco Colmenares, sviluppatore di software residente a Toronto, tiene l’ESA, apprezza i giochi GMT e gli archeologici Avalon Hill, e ammette di non essere soddisfatto della sua prestazione in questa partita, dove si è classificato solo terzo, o penultimo (a seconda della prospettiva con la quale si vedono i casi della vita). Ad essergli fatale nel gioco, per sua stessa ammissione, è stata una incertezza nella strategia: costruire l’Ascensore Spaziale o massimizzare la produzione industriale? Preso in questo dilemma, Francisco ha perso ottime occasioni pe accumulare punti vittoria e ha concluso in modo deludente la partita. Rimangono da assegnare il primo e l’ultimo posto, ma noi ci fermiamo qui, per non togliere ai lettori il piacere della sorpresa.

 A questo punto non ci rimane che darvi il link per il report vero e proprio della partita. Si tratta di un buon esempio di gusto estetico abbinato alla competenza professionale che Luca Commisa dimostra costruendo il diario della partita turno per turno ma senza interruzione. Un documento che si dipana via via come un rotolo di pergamena alternando estratti della mappa, carte tecnologia, inserti di testo allo scopo di costruire scenari futuribili dell’esplorazione e dell’industrializzazione del Sistema Solare.

ROBERTO FLAIBANI

Partita uno (commentata)

Partita due (non commentata)

13 Maggio 2013 Posted by | Fantascienza, Giochi, News | , , , , , | Lascia un commento

Marte, ultima missione?

20121209_Mars_Mariner_4_f840Nel marzo 2011, su richiesta della NASA, il National Research Council (NRC) presenta il documento chiamato “Visions and Voyages for Planetary Science in the Decade 2013 – 2022”. Si tratta di un’indagine che viene realizzata anche per altre branche scientifiche e gode di grande prestigio dentro la comunità scientifica americana e fuori di essa, sopratutto presso il Congresso e la Casa Bianca. Viene considerata, infatti, come la reale espressione del pensiero e delle aspettative degli scienziati, al di là di ogni considerazione d’ordine politico o amministrativo. Per quanto riguarda l’esplorazione di Marte, il NRC ritiene che, dopo 40 anni di missioni d’ogni genere indirizzate a quel pianeta, la mole dei dati raccolti sia già oggi enorme. Solo una missione dedicata alla raccolta di campioni del terreno, e al loro successivo trasferimento sulla Terra per un’analisi approfondita (ancora impossibile in situ), porterebbe a progressi significativi e meriterebbe l’assegnazione di un budget generoso, intorno al miliardo e mezzo di dollari. Tale missione viene chiamata, per semplicità, Mars Sample Return (MSR), e nel caso non fosse realizzabile per un motivo qualsiasi, gli autori del rapporto propongono drasticamente la totale rinuncia ad altre missioni scientifiche di alto profilo su Marte e lo storno di eventuali fondi residui a favore dell’ “Europa Orbiter”, la seconda voce in ordine d’importanza nei desiderata degli scienziati. Dopo un paio d’anni di tira e molla, in cui sono intervenute varie commissioni di controllo, il Ministro degli Esteri Hillary Clinton in difesa dei delusissimi ex-soci europei, e lo stesso Presidente Obama, pare proprio che la missione si farà, ed esattamente alle condizioni richieste dagli scienziati. In questo senso infatti si è espresso John Grunsfeld, autorevole dirigente NASA, il 4 dicembre scorso a San Francisco nel corso della conferenza annuale della American Geophysical Union, ribadendo che il MSR-rover sarà un clone del Curiosity e che la missione sarà lanciata nel 2020. Mars Sample Return ha vinto non solo per l’indubbia qualità del suo progetto scientifico, ma anche perchè consente di mettere la parola fine al rapporto di collaborazione con gli Europei nella corsa a Marte, divenuto troppo costoso e impegnativo. Tutto ciò in attesa della finestra di lancio del 2035, che potrebbe essere quella del più grande evento mediatico del secolo: lo sbarco dei primi astronauti sul Pianeta Rosso.

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L’aspirapolvere spaziale

La Honeybee Robotics non è un nome sconosciuto tra le migliaia di società piccole e grandi che costituiscono l’indotto della NASA. E’ nota infatti per aver costruito il Rock Abrasion Tool, montato sui rover destinati a Marte, la paletta per Phoenix Lander e strumentazione varia per Curiosity. Grazie a un piccolo finanziamento di trentamila dollari ricevuto dalla Planetary Society, gli ingegneri della Honeybee hanno cominciato a sviluppare il loro progetto di un dispositivo pneumatico a basso costo, chiamato PlanetVac, per la raccolta, stivaggio e conservazione, anche per lunghi periodi di tempo, di campioni geologici raccolti su vari corpi celesti. Per esempio il sistema, grazie alle condizioni di bassa gravità e pressione atmosferica presenti su Marte, e a maggior ragione sulla Luna o gli asteroidi, è in grado di aspirare la regolite presente sulla superficie, trasportandola attaverso una rete di tubi che corre dai punti di contatto col terreno, salendo lungo le gambe del lander, fino alla stiva. La regolite si muove all’interno delle cavità spinta da una serie programmata di sbuffi di gas. Il sistema è efficiente perché con lo sbuffo di un solo grammo di gas si riesce a stivare fino a cinque kg di regolite, ed è sicuro perché non ci sono parti mobili e la ridondanza è garantita replicando la rete tubolare per ognuna delle quattro gambe di sostegno. PlanetVac è facilmente adattabile a unità semoventi come rover o hopper.

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Credits: Honeybee Robotics, NASA, Planetary Society, The Space Review

Fonti:

Visions and Voyages for Planetary Science 2013 – 2022
http://solarsystem.nasa.gov/multimedia/download-detail.cfm?DL_ID=742
The Space Review, The resurrection of Mars Sample Return http://www.thespacereview.com/article/2202/1
The Space Review, Tough decisions ahead for planetary exploration
http://www.thespacereview.com/article/1815/1
The Planetary Society – PlanetVac: Sucking Up Planetary Regolith
http://www.planetary.org/blogs/bruce-betts/20121030_PlanetVac-Intro-Blog.html

27 dicembre 2012 Posted by | Astronautica, Planetologia, Scienze dello Spazio | , , , , , , , | 1 commento

I primi passi verso l’industrializzazione dello Spazio

Con questo articolo Canio Di Turi fa il suo ingresso nella redazione del Tredicesimo Cavaliere e nella cosidetta blogsfera. Canio ha dalla sua due armi potenti: un solido curriculum universitario in Ingegneria Aerospaziale, e un’età inferiore alla metà dell’età media dell’attuale redazione. Non mi pare poco, e di più su Canio non voglio dire, anche se argomenti ce ne sarebbero parecchi, per esempio la sua passione per la scherma, che coltiva fin da bambino. Ma sarà lui stesso a parlarne, se vorrà, nella sua futura pagina personale. Nell’articolo seguente, che vale anche come introduzione alla sua tesi di laurea triennale, Canio affronta un tema cruciale per l’astronautica, ossia lo sfruttamento delle abbondanti risorse che lo Spazio ci offre.

Il metodo più diretto per ridurre il costo di una missione spaziale consiste nel ridurre la massa iniziale lanciata dalla Terra, che è costituita dalla struttura del vettore, dal carico utile e, per la maggior parte, dal propellente contenuto nel vettore stesso. Nelle missioni pilotate, in cui è previsto anche il ritorno di parte del vettore, sarà necessario portare una maggiore quantità di propellente, che costituirà gran parte della massa di carico utile nel viaggio di andata. Se il combustibile e l’ossidante per la fase di ritorno della missione potessero essere prodotti sul corpo celeste di destinazione, allora la massa totale al momento del lancio da Terra si potrebbe ridurre significativamente.

fig.1 – 2008 -L’astronauta operaio: Garrett Reisman impegnato nella manutenzione dei pannelli solari della Stazione Spaziale Internazionale. Credits: NASA/JPL and “The Year in Space”

Il concetto di in situ propellant production (ISPP) fa parte di una più grande categoria: in situ resources utilization (ISRU). Tale approccio prevede l’utilizzo di risorse locali per provvedere alle più varie necessità, quali il supporto vitale di un’eventuale missione pilotata, la fornitura di energia per gli impianti di un avanposto, e appunto la produzione di propellente. Si potrebbe infatti pensare di ottenere l’ossigeno per permettere la sopravvivenza di un equipaggio di astronauti su un certo pianeta, oppure di produrre ossidanti e/o combustibili, sempre tramite il trattamento di risorse locali. Ecco quindi che l’approccio ISRU/ISPP diventa una chiave indispensabile per effettuare viaggi di ritorno, o anche per consentire spostamenti sul corpo celeste di arrivo.

È ovvio però che per poter parlare di ISRU, e quindi di ISPP, è necessario avere una conoscenza approfondita del luogo di arrivo e permanenza, nonché dei corpi celesti che possano fare da tappe intermedie di un’eventuale missione spaziale. Non sono solo gli elementi reperibili in situ (come ad esempio l’anidride carbonica nell’atmosfera marziana) a determinare se l’approccio ISPP può essere praticabile o meno: bisogna tenere in conto anche l’intensità del campo gravitazionale del corpo celeste, le condizioni in cui si trovano gli elementi chiave (dispersi nell’atmosfera, nel sottosuolo, ghiacciati ai poli, ecc.); la quantità di energia solare disponibile, che diminuisce con l’allontanarsi dal Sole. Il primo esempio di ISRU è proprio l’energia solare che è utilizzata in diverse applicazioni, tra le quali l’alimentazione delle batterie, dei rover e altre apparecchiature, il riscaldamento e la propulsione elettrica.

Numerosi studi sono stati effettuati sull’ISRU/ISPP fino a oggi e, anche se ancora in via del tutto teorica, hanno dimostrato che questo tipo di strategia potrà sia ridurre la massa iniziale di lancio, e con essa i costi e i rischi associati alle missioni robotiche e pilotate, sia migliorare o estendere gli obiettivi scientifici e il raggio delle esplorazioni.

Marte e l’anidride carbonica

fig.2 – un particolare della superficie di Marte, fotografato dal Mars Reconnaissance Orbiter. Credits: NASA/JPL and “TheYear In Space”

L’atmosfera marziana è costituita per la maggior parte di anidride carbonica (95.5%), quindi di azoto (2.7%) e argon (1.6%). Il restante 0.2% è costituito prevalentemente da ossigeno (0.15%), vapore acqueo e monossido di carbonio.

Sembrerebbe dunque naturale tentare di trasformare la grande quantità di anidride carbonica in qualcosa di più utile, per esempio del propellente: combinandola infatti con l’idrogeno è possibile produrre metano/ossigeno (dove la prima voce indica il combustibile e la seconda l’ossidante). In alternativa è possibile ottenere monossido di carbonio/ossigeno, senza bisogno in tal caso dell’idrogeno, che se trasportato dalla Terra comporterebbe difficoltà di immagazzinamento dovute alle basse temperature necessarie e agli enormi volumi dei serbatoi, considerata la sua bassa densità. In alternativa è anche possibile sfruttare la CO2 marziana direttamente come ossidante per motori a combustibile metallico (Magnesio o Alluminio).

Altra risorsa di cui tener conto è l’acqua, la cui presenza è ormai accertata ai poli, nella regolite (la miscela di polveri sottili e di detriti rocciosi prodotta dagli impatti dei meteoriti) e nel sottosuolo. Purtroppo però il suo utilizzo comporterebbe gravi problemi, in quanto bisognerebbe trasportare gli impianti necessari all’estrazione e le tubazioni dalla Terra. Queste ultime sono necessarie soprattutto se si atterra lontano dai poli, l’unico luogo dove l’acqua, sotto forma di ghiaccio, è presente in superficie. Sarebbe invece del tutto inefficiente prelevare l’acqua dall’atmosfera, perchè è presente in piccolissima percentuale e la pressione atmosferica sul pianeta è molto bassa (circa 8-13.3 millibar). In queste condizioni servirebbe moltissima energia per trasformare una piccolissima parte di vapore acqueo.

Nell’ipotesi di poter disporre di idrogeno, i vari tipi di propellente ottenibili troverebbero differenti applicazioni, e, a seconda della missione, sarebbe possibile selezionare di volta in volta l’opzione più vantaggiosa, sia dal punto di vista propulsivo che da quello economico. La più utile è di sicuro la propulsione dei veicoli destinati a uscire dal campo gravitazionale di Marte, e in genere metano e metanolo sono i combustibili migliori per i vettori.

Per quanto riguarda i propellenti con impulso specifico più basso, un utilizzo interessante può essere l’alimentazione degli hopper (l’alternativa ai rover), veicoli che, in modo simile alle cavallette da cui prendono il nome, saltano da un punto all’altro del pianeta, percorrendo distanze variabili dalle centinaia di metri ai chilometri, grazie all’uso di motori a razzo alimentabili con monossido di carbonio/ossigeno (CO/O2). Per ottenere questo tipo di propellente non è necessario nessun rifornimento dalla Terra, anzi, secondo alcuni, l’hopper dovrebbe avere direttamente con sé un impianto di produzione di propellente e delle celle solari per alimentarlo (il peso dell’impianto costituirebbe circa la metà del peso del razzo a vuoto). Ovviamente più propellente sarà disponibile al momento del lancio più il salto dell’hopper sarà lungo, ma più tempo ci vorrà per ricostituire le scorte.

Inoltre, portando dalla Terra una riserva di metalli polverizzati, o riuscendo ad estrarli in situ, è possibile utilizzare dei motori CO2-breathing, consentendo quindi l’uso di aerei. Quest’ultima opzione però ha lo svantaggio che la bassa pressione di Marte porta a scarsa spinta, o, in modo equivalente, a largo consumo di combustibile o a grandi dimensioni di presa d’aria e ugello. Altrimenti si può aumentare la spinta dei motori a razzo: esperimenti recenti dimostrano che delle particelle di magnesio bruciano nella CO2 anche a pressioni basse come 10 millibar, rendendo possibile l’uso di motori ramjet su Marte come ausiliari degli endoreattori.

Altri esperimenti sono stati condotti per calcolare le prestazioni di turbojet che hanno evidenziato come tali motori richiedano prese d’aria e ugelli molto grandi, unitamente al fatto che la presenza di compressore e turbina aumenterebbe il peso. Inoltre la turbina subirebbe presto l’accumularsi di carbonio sulle pale, il che ne diminuirebbe l’efficienza fino all’arresto del motore. Ciò porta a scartare l’opzione di motori turbojet sul pianeta rosso.

Ghiaccio lunare

fig.3 -Come potrebbe essere una  futura base sulla Luna

Il grande vantaggio della Luna come sede di risorse naturali consiste nella sua vicinanza e dal fatto che è il corpo celeste che conosciamo meglio. La Luna o in alcuni casi lo spazio circumlunare (vedi Le geometrie invisibili del Sistema Solare), potrebbero ospitare in un futuro prossimo un avanposto da dove osservare l’universo (vedi PAC), e imparare a vivere e lavorare nello Spazio. In seguito, il nostro satellite potrebbe ospitare una base permanente dove costruire gli impanti per lo sfruttamento delle risorse disponibili in situ e fornire servizi alle futture missioni interplanetarie.

La Luna è ricca di risorse: è stata infatti accertata la presenza di ghiaccio ai poli in quantità notevole (oltre 3×1010 tonnellate per ciascun polo) nelle zone in ombra permanente. La regolite è la seconda fonte di minerali lunari: essa infatti è ricca di ossidi di ferro, presenti questi ultimi specialmente nell’ilmenite, che costituisce il 15-33% della regolite lunare. Inoltre nella regolite si trovano una grande varietà di minerali metallici, soprattutto sotto forma di silicati e ossidi di ferro, e anche acqua per meno dell’uno percento.

Data l’accertata presenza di acqua, la scelta più naturale è sottoporla a elettrolisi per ottenere il propellente H2/O2 liquido. Per quanto riguarda la regolite è possibile estrarre solamente ossigeno dall’ilmenite. Bisognerebbe dunque portare dalla Terra l’idrogeno o qualsiasi altro combustibile che bruci con l’ossigeno e non abbia un impulso specifico troppo basso, operazione questa non vantaggiosa; mentre è possibile estrarre ghiaccio tramite diversi procedimenti, quindi riscaldarlo ed elettrolizzarlo, ottenendo sempre idrogeno/ossigeno.

D’altra parte, se si estraessero dalla regolite i vari metalli (tra i quali ferro, titanio, alluminio, magnesio e silicio), questi potrebbero essere utilizzati come combustibile insieme all’ossigeno. Purtroppo però il trattamento della regolite al fine di ottenere i metalli non è semplice: la regolite è un composto omogeneo di diversi metalli, quindi una prima difficoltà si riscontra nell’ottenere un’efficiente separazione del metallo che interessa. Nonostante sia a disposizione la tecnologia necessaria (alcuni metodi sono più conosciuti ed efficienti di altri) l’assenza di atmosfera lunare crea difficoltà di lubrificazione e raffreddamento dei macchinari, che quindi diventano più costosi dei loro corrispettivi terrestri perchè richiedono una progettazione ad hoc. Tali dispositivi peraltro consumano parecchia energia per estrarre il metallo dalla regolite, in particolare nel caso del titanio. Infine sono stati effettuati esperimenti in laboratorio per calcolare gli impulsi specifici dei propellenti metallo/ossigeno, quando interamente prodotti in situ. I risultati però sono stati deludenti: l’impulso specifico massimo è pari a circa 300 secondi per il gruppo alluminio/ossigeno.

Come nel caso di Marte, il propellente fabbricato sulla Luna potrebbe essere utile per uso locale, o per rifornire vettori per il ritorno, consentendo quindi di partire dalla Terra con un peso minore.

I ghiacci di Europa, gli idrocarburi di Titano, asteroidi, comete

fig.4 – Titano, polo nord: i famosi laghi di metano, fotografati dalla sonda Cassini – Huygens. Credits to Wikipedia

Nel Sistema Solare sono numerosi i corpi celesti adatti all’approccio ISPP, citerò i più importanti. Dei 63 satelliti di Giove, Europa è il sesto per vicinanza al pianeta, e presenta una superficie costituita da ghiaccio, duro come il granito a causa delle bassissime temperature, che possono arrivare anche a -220 C. Titano, satellite di Saturno, presenta un’atmosfera più densa del nostro pianeta, con una pressione superficiale di circa 1,5 bar, composta di azoto (98.5%) e, più importante, di idrocarburi: metano ed etilene (1.5%) e ci sono tracce di idrocarburi più pesanti. Sono state fotografate infatti vere e proprie nuvole di metano sul satellite, e ciotoli di acqua ghiacciata erosi da pioggia di metano sulla sua superficie (missione Cassini-Huygens). Titano è composto da roccia e ghiaccio e presenta nei crateri generati dagli impatti di asteroidi dei laghi di idrocarburi, prevalentemente metano, la cui presenza è stata segnalata nel 2007.

Qualche volta comete ricche di ghiaccio e metano allo stato solido, passano nei pressi della Terra, e numerosi sono gli asteroidi che circolano nel nostro Sistema Solare, sulla cui superficie è presente la regolite, ricca di materie prime. Anche questi piccoli corpi potrebbero essere industrializzati e poi usati come tappe intermedie per spedizioni a lungo raggio.

È noto infine che lo Spazio non è completamente vuoto. Specialmente quando si è nell’orbita bassa di un pianeta si possono trovare numerosi elementi chimici, anche se molto rarefatti. Prendendo in considerazione la Terra per esempio, in un’orbita a 300 km di altitudine è possibile trovare piccole quantità di idrogeno, elio, ossigeno atomico e molecolare, azoto e argon. Si potrebbe pensare dunque a un largo collettore conico che raccoglie, a mo’ di presa d’aria, questi residui mentre descrive la sua orbita attorno alla Terra: così facendo si potrebbero recuperare chili di ossigeno atomico ogni giorno!

Fonte: La Sapienza, Università di Roma – Facoltà di Ingegneria. Tesi di laurea  in Ingegneria Aerospaziale:  “Impiego di propellenti raccolti in situ nell’esplorazione spaziale” di Canio Di Turi.

Questo articolo segna la nostra partecipazione al Carnevale della Fisica #23

28 settembre 2011 Posted by | Astrofisica, Astronautica, Carnevale della Fisica, Planetologia, Scienze dello Spazio | , , , , , | 5 commenti

Le geometrie invisibili del Sistema Solare

Nel sistema Terra – Luna esistono cinque punti chiamati L1, L2, L3, L4, L5, ma più noti col nome di punti di librazione o di Lagrange. Il nome indica la caratteristica che li rende interessanti: in quei cinque punti, infatti, le forze gravitazionali e rotatorie esistenti tra la Terra (corpo principale), la Luna (corpo secondario) e un terzo corpo si bilanciano, in modo che quest’ultimo possa “librarsi” immobile nello spazio rispetto ai primi due. Il terzo corpo deve avere massa trascurabile su scala planetaria, quindi può benissimo essere un’astronave, una stazione spaziale o anche un asteroide. Si tratta di una versione semplificata del “prolema dei tre corpi”, che si ripropone ovunque, per esempio tra il Sole e ciascuno dei suoi pianeti, e tra un pianeta e ciascuno dei suoi satelliti. E’ più facile mantenere in librazione un oggetto facendogli seguire un’orbita ad aureola intorno al punto L (halo orbit), che ha una ulteriore funzione stabilizzatrice, e riduce ancora il già basso dispendio di carburante necessario a mantenere la posizione. Questo è il motivo principale per cui tali punti sono considerati locazioni privilegiate nello spazio. Ma non il solo. Nell’articolo precedente “Il Grande Risiko Lunare è incominciato” abbiamo analizzato L2 e il suo valore strategico, ora ci occuperemo degli altri punti di librazione.

Prossima destinazione: L1

L1 si trova a circa 60.000 km sopra al centro della faccia visibile della Luna, una posizione ideale per ospitare una infrastruttura abitabile dove svolgere una quantità di utili operazioni, tra cui l’assemblaggio delle future missioni verso i NEO e Marte, e il coordinamento delle attività sulla superfice della Luna. Da L1, infatti, è possibile interagire in telepresenza (cioè in tempo reale) con dei robot operanti sulla superfice della Luna, mentre ciò non è fattibile dalla Terra a causa del ritardo-luce di circa 3 secondi, dovuto alla maggiore distanza che intercorre tra i due corpi celesti, mentre è ormai un fatto assodato che lavorare in telepresenza in ambienti estremi è più efficiente e meno costoso che eseguire un intervento umano diretto. Ma considerato il fatto che passare da LEO a GEO costa più di un viaggio L1 – GEO – L1 in termini di consumo di carburante, si apre la possibilità di eseguire svariate operazioni in orbita geostazionaria venendo proprio da L1: in GEO infatti orbitano in gran numero satelliti molto sofisticati per le telecomunicazioni, la meteorologia, lo spionaggio, che rappresentano investimenti per milardi di euro. Manutenzione, riparazione dei guasti, riciclo dei componenti ed eliminazione dei rottami sono operazioni che potrebbero essere eseguite periodicamente da veicoli pilotati, o da robot, magari guidati in telepresenza da un operatore a terra.

Dalla fine degli anni ’90 la progettazione di una infrastruttura da posizionare in orbita halo intorno a L1 è all’attenzione di coloro che si occupano di pianificare il volo umano nello spazio, e di mettere a frutto l’eredità della ISS. Il primo progetto, elaborato dalla NASA e chiamato  TransHab, viene presentato nel 2001, è  bocciato dal governo americano e subito acquistato dalla Bigelow Aerospace, una società che si occupa di turismo spaziale, ma serve se non altro a fare scelte definitive in merito a tecnologie e materiali, e ad alcune specifiche tecniche. In pratica si vuole una stazione di transito, in grado di rimanere operativa per almeno 15 anni, e di ospitare gruppi di 3-4 astronauti per periodi di qualche settimana, ma capace di condurre automaticamente una vasta serie di compiti. Infine, per contenere il peso, la parte abitabile della struttura verrebbe costruita utilzzando una resistentissima fibra gonfiabile. Nel 2004 l’amministrazione Bush presenta la sua “Visione per l’Esplorazione dello Spazio”, da cui prende vita il programma Constellation, che rimette, dopo 40 anni, la Luna al centro della strategia spaziale americana. Nel 2006 il neonato FISO (Future In-Space Operations) trasforma il TransHab alla luce della nuova architettura Constellation, chiamandolo “Gateway 2006”, ma la NASA lo boccia temendo di distrarre fondi dal progetto di esplorazione del polo sud lunare e del Bacino di Aitken. Ma nel 2009 il “Comitato per il riesame dei piani per il volo umano nello Spazio” presieduto da Norman Augustine elabora una nuova strategia chiamata “Percorso Flessibile” che tenta di armonizzare varie proposte in un unico progetto propedeutico alla missione verso Marte e promuove finalmente la costruzione di “Gateway 2010”, una nuova versione ridotta dell’originario TransHab, sempre su proposta FISO. Le principali specifiche tecniche sono riassunte nella tabella che appare all’inizio del paragrafo, dove i dati di TransHab figurano in seconda colonna, in terza quelli di Gateway 2006 e in quarta quelli di Gateway 2010, a cui si riferisce anche l’immagine qui sotto.

L1, L3: potenziare la Difesa Planetaria contro gli asteroidi pericolosi

La rete di rilevamento e controllo dei NEO, nota col nome di Spaceguard e parte del nascente sistema Difesa Planetaria, ha avuto un preoccupante “lato cieco” nel suo campo di osservazione fino al 2010. Ciò dipende dalle caratteristiche delle traiettorie seguite dai NEO per avvicinarsi al nostro pianeta. Infatti, se la traiettoria di un NEO in avvicinamento è esterna all’orbita della Terra, l’oggetto sarà visbile nel cielo notturno e il suo corso prevedibile con largo preavviso. Se, al contrario, la traiettoria di avvicinamento è interna, l’oggetto apparirà, per così dire, nel cielo diurno, cioè sarà del tutto invisibile ai telescopi ottici basati a terra, mentre rimarranno operativi solo i radar e i radar-telescopi, che però possono garantire solo brevi tempi di preavviso. Questa preoccupante situazione è stata affrontata nel 2010, quando a Spaceguard è stata assegnata una parte del tempo di lavoro di alcuni telescopi spaziali, per i quali, dato che operano fuori dall’atmosfera, il cielo è sempre nero senza distinzione tra cielo diurno e notturno. Ma si tratta d una soluzione di ripiego: tra gli addetti ai lavori si auspica il lancio di un vero e proprio “cacciatore di asteroidi”, uno strumento specializzato che potrebbe essere vantaggiosamente posto in orbita halo intorno a L1, da dove si può ottenere la scansione completa dello spazio interno all’orbita terrestre.

Se L1 ospiterà il quartier generale di Spaceguard, allora L3 potrebbe ospitare il braccio armato del sistema di Difesa Planetaria: batterie di missili intercettori capaci di deviare asteroidi di piccole dimensioni, ma non per questo innocui. Il progetto è stato presentato in ambito IAA dal dott. Claudio Maccone, ne abbiamo parlato in “Difesa Planetaria: come deviare un asteroide in rotta di collisione.

L1, L2 e la Superautostrada Interplanetaria

L1 e L2 sono di diretto interesse per capire la cosidetta Superautostrada Interplanetaria, perché rappresentano accessi speciali per destinazioni lontane. Il moto di un’astronave nelle vicinanze di questi punti è influenzato da una delicata interazione tra la sua velocità e il campo gravitazionale locale. Un’astronave può entrare in orbita intorno a L1 o L2 (o a qualsiasi altro punto di librazione), sebbene questi siano meri punti nello spazio ai quali non corrisponde nessun corpo celeste.

Dalle orbite attorno ai punti di librazione hanno origine superfici a forma di tubo. Per esempio, un’astronave con la appropriata velocità iniziale può essere lanciata lungo un traiettoria che la porterà in orbita attorno al punto di librazione SEL2 del sistema Sole-Terra (la traiettoria è segnata in verde nella figura qui accanto). L’insieme di tutte le traiettorie simili a questa forma un unico tubo della Superautostrada Interplanetaria. La proprietà fisica importante dei tubi è che qualsiasi cosa si sposti da un’orbita intorno a un pianeta a un’orbita di allontanamento da esso, deve percorrere quel determinato tubo. Un’astronave che percorre una traiettoria dentro questo tubo passerà attraverso SEL2 dirigendosi verso l’esterno del sistema solare (in blu nella figura), mentre una che percorre un’orbita esterna quel tubo si dirigerà verso il Sole (in rosso nella figura). Da notare che i tubi esistono sempre in coppia: per ogni tubo composto da traiettorie di avvicinamento ne esiste uno composto da traiettorie di allontanamento.

Le astronavi possono viaggiare lungo i tubi ma possono anche cambiare rotta entrando in un altro tubo, grazie a una piccola manovra effettuabile con un comune motore a razzo. Ma c’è un modo per farlo senza alcun dispendio di carburante, usando i naturali punti di scambio della Superautostrada Interplanetaria. Una traiettoria che va da un tubo a un altro senza usare carburante viene definitta “eteroclinica”, a significare che può condurre da un’orbita a un’altra naturalmente. Nella pratica, per entrare in una traiettoria eteroclinica, l’astronave usa abitualmente un po’ di carburante per eseguire piccole correzioni di rotta rese indispensabili dalla nostra imperfetta conoscenza della sua posizione e velocità. Esistono anche traiettorie eterocliniche che connettono tubi di due differenti sistemi e le intersezioni funzionano nei due sensi. Le intersezioni eterocliniche possono sembrare difficili da individuare perché richiedono una perfetta scelta dei tempi: quando sei nel tubo di partenza, devi trovarti al posto giusto al momento giusto ( e alla giusta velocità ) per poter saltare dentro un tubo di avvicinamento. Ma esistono procedure di calcolo per trovare tali traiettorie perfettamente calibrate, e il risultato può essere spettacolare.

Il sistema gioviamo è un buon posto per mettere alla prova queste idee perché ci sono quattro lune di grandi dimensioni che orbitano attorno a Giove: Io , Europa, Ganimede, Callisto, proprio come un piccolo sistema solare. Le lune si muovono lungo le loro orbite a differente velocità portando con se i propri tubi, ed è possibile programmare una rotta che porti l’astronave a orbitare intorno a ciascuna delle quattro lune “saltando” di tubo in tubo, e consumando una quantità irrisoria di carburante. Questo nuovo approccio alla progettazione delle missioni spaziali ha comunque il suo lato debole: le rotte eterocliniche devono essere percorse a velocità molto basse e spesso sono tutt’altro che dirette. I tempi di percorrenza si allungano a dismisura e ciò limita molto il campo di applicazione di questo metodo.

L4, L5: fantastici habitat spaziali

I cilindri di O’Neill, gigantesche strutture capaci di ospitare intere biosfere e migliaia di uomini, avrebbero dovuto librarsi in orbita halo proprio intorno a questi due punti. Non cercherò di descriverli, ci sono riusciti bene Arthur C. Clarke in Incontro con Rama e Wikipedia, e questo breve video vale più di mille parole….

FONTI

  • da  THE SPACE REVIEW:

K. Murphy: ML-1, the next logical destination

H.Thronson, D. Lester, T. Talay: Human operations beyond LEO by the end of the decade, an affordable near-term stepping stone

H.Thronson, T. Talay: “Gateway” architectures: a major “flexible path” step to the Moon and Mars after the International Space Station?

  • Da WHY DO MATH?

Shane Ross: Space travel, mathematics uncovers an interplanetary superhighway

  • il video “A 3D view of Rama object” è di
  • the Future In-Space Operations (FISO) working group

29 luglio 2011 Posted by | Astronautica, Difesa Planetaria, Scienze dello Spazio | , , , , , , , | 15 commenti