Il Tredicesimo Cavaliere

Scienze dello Spazio e altre storie

L’astronave dei cent’anni: nascita di un movimento

Il 2 ottobre scorso si è concluso a Orlando (Florida) il primo congresso pubblico dedicato al volo interstellare. La copertura mediatica in rete è stata buona e perfino testate prestigiose come il New York Times e il Los Angeles Times hanno dedicato ampio spazio all’evento. Noi abbiamo deciso allora di raccogliere quanto più materiale possibile (ma chissà quanto ce n’è sfuggito!) e di rielaborarlo pazientemente per ottenere il colorito collage che offriamo qui ai nostri lettori.

Su, verso le stelle! Marte ai codardi.” – (Richard Obousy – Icarus Interstellar)

Il congresso sembrava piuttosto una convention di fantascienza, anche se con solidi contenuti scientifici e pervasa da un’atmosfera di grande entusiasmo. Era divertente vedere certe facce da scienziato catalogare i concetti della fantascienza: stargates, motori a curvatura, grandi navi generazionali, grovigli biologici e alieni. Volevano ingegnerizzare le idee a cui abbiamo dato corpo nelle nostre storie. Mi sono divertito un sacco! – ha scritto sul suo blog Gregory Benford, autore di fantascienza, mentre il fratello Jim, un noto fisico, coordinava il più importante dei sette “percorsi” in cui era organizzato il congresso, quello dedicato ai sistemi di propulsione. Paul Gilster, editore e principale firma di Centauri Dreams, il blog che da voce alla Tau Zero Foundation, l’ha definito “la Woodstock dei viaggi interstellari”.

I partecipanti rappresentavano un eterogeneo mix di un migliaio tra ingegneri, scienziati, scrittori di fantascienza, studenti e sognatori. Di solito i festival musicali vengono costruiti sui nomi degli ospiti famosi, e infatti la sessione di fisica “esotica” era diretta da una rockstar degli appassionati dello spazio: Marc Millis, presidente della Tau Zero Foundation, famoso per aver persuaso la NASA a organizzare un programma pluriennale dedicato alla fisica d’avanguardia della propulsione, e per essere l’autore di un massiccio volume sullo stesso argomento in cui un capitolo intero è dedicato a come tener lontana la gente fuori di testa. Molti brontolavano che quell’incontro avrebbe dovuto svolgersi al Lunar Hilton, e non lì, in Florida, dando voce al malumore contro la NASA, accusata di essersi trasformata, dopo trent’anni di Shuttle e ISS, da ente di ricerca ed esplorazione in una specie di ufficio postale. Qualsiasi programma spaziale ha bisogno di un sogno, senza sognatori non si va da nessuna parte – così il dottor J. Breeder, autore di uno scioccante studio sull’uso della fionda gravitazionale per raggiungere velocità relativistiche.

Gli organizzatori devono anch’essi pagare un tributo alla fantascienza. Lo ha ammesso David Neyland della DARPA, l’agenzia governativa che fa capo al Pentagono ed è l’organizzatrice, insieme alla NASA, non solo del congresso, ma anche dello studio che l’ha preceduto. E’ inoltre l’erogatrice del premio di 500.000 dollari che verrà assegnato tra pochi giorni al gruppo che fornirà le migliori garanzie di essere in grado, da qui a un secolo, di produrre un piano particolareggiato che preveda effetti collaterali e ricadute non solo tecnologiche del volo interstellare, oltre al progetto vero e proprio dell’astronave che materialmente lo porterà a termine. Neyland considera Jules Verne e Robert Heinlein suoi ispiratori, il primo per aver pubblicato “Dalla Terra alla Luna” poco più di 100 anni prima della missione Apollo 11, il secondo come autore del romanzo “Time for the Stars”, in cui si narra di un’organizzazione chiamata “Long Range Foundation” che si era assunta il compito di ispirare a una nuova generazione di ingegneri e scienziati il sogno del volo interstellare. Ma la DARPA ha anche obiettivi più pragmatici, e si aspetta che un tale sforzo collettivo produca strada facendo una forte ricaduta di nuovi “prodotti” immediatamente fruibili, anche se non di natura materiale. Per esempio un nuovo algoritmo informatico, nuovi principi fisici e matematici, nuove tecniche per le culture idroponiche, nuove architetture filosofiche e religiose e, naturalmente, nuove applicazioni militari. Al termine del congresso, Neyland ha dichiarato di ritenersi molto soddisfatto, e di considerare i suoi obiettivi pienamente raggiunti.

L’agenda del congresso era quanto mai eclettica, per riflettere il numero e la profondità dei problemi sollevati da un tema come quello dei viaggi interstellari. I lavori erano organizzati su sette percorsi: soluzioni per i problemi di tempo e distanza; habitat e scienze ambientali; biologia e medicina dello spazio; educazione e considerazioni sociali, economiche e legali; destinazioni; considerazioni filosofiche e religiose; comunicazione della visione. L’agenda completa è molto interessante e può essere scaricata dal sito ufficiale del congresso. A questo punto anche un reportage mirato solo ai temi più importanti discussi al congresso sarebbe comunque troppo lungo, così questa volta ci occuperemo esclusivamente dell’argomento più importante e gettonato: tempo, distanze e sistemi di propulsione. Agli altri “percorsi”, seppure interessantissimi, ci dedicheremo più in là, magari quando saranno disponibili gli atti del congresso.

Tempo, distanze e sistemi di propulsione : ai fini del volo interstellare, è stato bocciato senza riserve il razzo a propellente chimico, che però rimarrà chissà per quanto tempo ancora l’unico sistema per liberarsi del pozzo gravitazionale terreste e raggiungere l’orbita bassa a 400 km d’altezza, da dove è possibile utilizzare i sistemi di propulsione per lo spazio profondo. Sono stati proposti svariati tipi di propulsori per equipaggiare le navi che faranno servizio nel Sistema Solare e quelle che tenteranno i primi voli interstellari, e alla fine il dibattito si è polarizzato intorno a due categorie: i razzi a propulsione nucleare e le vele solari.

I razzi a propulsione nucleare. Geoff Landiss del Glenn Center della NASA ha dichiarato che il loro programma di sviluppo di un motore a fissione, iniziato negli anni ’60 con il reattore NERVA, e continuato con il Timberwind, è giunto ora al modello di terza generazione, e ha aggiunto: lo spazio è un posto bellissimo per usare il nucleare, perché è già naturalmente radioattivo. Peccato che ancor oggi nessuno sia riuscito a controllare il processo di fusione nucleare: la reazione è sempre di tipo esplosivo. Considerato questo, i fisici hanno proposto una nuova idea, la propulsione nucleare a impulsi, cioè un metodo per sfruttare l’energia prodotta da micro-esplosioni nucleari innescate bombardando con raggi laser delle minuscole palline di materiale da fusione. Questo tipo di innesco è già stato utilizzato con successo per altri studi. Ma parecchi funzionari della NASA sono convinti che qualsiasi proposta di utilizzo del nucleare nello spazio incontrerebbe oggi un’isterica opposizione popolare. Non convinto, Greg Benford ha chiesto ad alcuni di loro se erano stati fatti sondaggi per conoscere esattamente l’opinione del pubblico. Gli hanno risposto di no….

Vele Solari. Le tradizionali vele fotoniche diventano inutilizzabili oltre l’orbita di Giove. A quella distanza, infatti, la luce del Sole è così fioca da non poter trasmettere alla vela nemmeno l’energia necessaria a governare la nave. Ma se, al posto della luce del Sole, per gonfiare la vela si potesse disporre di un gigantesco laser da 1016 watt, e di una vela con una superficie dell’ordine di parecchi chilometri quadrati, allora sussisterebbero le condizioni per inviare un’astronave di 500 tonnellate fino ad Alfa Centauri con un volo di una trentina d’anni. Un’ipotesi del tutto irrealistica dal punto di vista economico, ma sostituendo il laser con fasci di microonde, e diminuendo drasticamente la stazza grazie alle nanotecnologie e sopratutto rinunciando a un equipaggio umano, i costi crollerebbero e si potrebbe puntare alla costruzione di un esploratore robotizzato.

La scienza “esotica”. Richard Obousy di Icarus Interstellar, un gruppo di studiosi che già da un paio d’anni sta autonomamente lavorando al progetto di una nave interstellare, ha affermato che Icarus non dovrebbe avere dimensioni e peso superiori a quelli della Nimitz, una delle più grandi portaerei americane. In effetti siamo capaci di costruire grandi oggetti, ma non di metterli in orbita – ha dichiarato. E questo infatti è il problema: abbiamo una conoscenza approfondita della fisica della fusione nucleare, del laser e delle vele solari, ma anche un forte deficit di competenze ingegneristiche. Questi ostacoli, però, potrebbero  forse essere superati entro la fine del secolo grazie a oculati finanziamenti, ma il problema del volo interstellare rimarrebbe almeno parzialmente irrisolto. Infatti razzi nucleari e vele solari possono garantirci il controllo del Sistema Solare, e aldilà di esso, una lenta esplorazione dei sistemi stellari entro una quindicina di anni luce intorno a noi: questo è quanto si può sperare di ottenere muovendosi a velocità sub-luce. Molti dei convenuti a Orlando cercavano risposte diverse e si sono affollati alle sessioni di ”fisica esotica”, dove uomini come Millis, Kramer, White e altri hanno spiegato in che modo stanno cercando i presupposti teorici per superare, o aggirare, il limite imposto dalla velocità della luce. Per farlo, stanno ripartendo dai concetti base della Fisica, reinterpretandone o addirittura riscrivendone intere parti. E’una sfida intellettuale impervia ma esaltante. Marc Millis ha detto: Non coltivate nessuna aspettativa, il nostro compito è veramente molto duro: ciò che dovete fare è affrontare proprio quelle sfide che mettono a disagio i vostri colleghi. Questi territori di ricerca sono pieni zeppi di gente fuori di testa, bisogna tenerla lontana. Ricordate, la differenza tra loro e voi è che loro sono convinti che l’idea che hanno in mente sia assolutamente corretta, mentre voi siete *quasi* certi che la vostra sia sbagliata.

Per le conclusioni lasciamo volentieri la parola a Paul Gilster:

Quello che io chiamo “il piacere della possibilità estrema” ha animato gli studi sui viaggi interstellari fin dai tempi di Robert Forward. Funziona così: noi sappiamo bene che le distanze tra le stelle sono così grandi da superare ogni immaginazione. Invece la maggior parte del pubblico lo ignora e vede una missione interstellare solo come una tappa successiva all’esplorazione del Sistema Solare esterno. Ma gli scienziati e gli ingegneri che lavorano in questo campo hanno realizzato quanto questi viaggi siano realmente fuori dalla portata dell’attuale tecnologia, perciò non hanno timore di fare congetture fino al limite del plausibile e spesso anche oltre. Leggete da cima a fondo documenti sui viaggi interstellari come quelli presentati al congresso e sarete presi in un brainstorming vivace e contagioso. E’ quel tipo di continua rielaborazione mentale di un’idea che un John Coltrane e un McCoy Tyner fanno con un tema musicale.

E’ bello veder riapparire ancora il congresso tra le notizie diffuse dai media. Forse un giorno questi concetti non sembreranno più così esoterici. Mi  balza agli occhi proprio ora che il mio word processor segnala la parola ”starship” come errore di ortografia. Abbiamo bisogno di mettere radici più profonde nella cultura. Possiamo incominciare facendo quello che Neyland ha detto al New York Times di voler fare, cioè iniziare a proporre alla gente qualcuno di questi difficili problemi, senza dimenticare che la natura ci ha posto di fronte il problema più arduo, in termini di tempi e distanze, che il genere umano abbia mai affrontato. Solo il piacere della possibilità estrema accende lo spirito, quando si è pronti a mettere in discussione qualsiasi cosa e la sfida è immensa.

ROBERTO FLAIBANI

Fonti principali

  1. The Los Angeles Times
    The research-and-development arm of the U.S.military is launching
    a 100 -Year Starship Study to find the technologies necessary for
    interstellar travel. – By Anna Khan
  2. The New York Times
    Not Such a Stretch To Reach for the Stars – By Kenneth Chang
  3. The Space Review
    The journey of 100 years begins with a single Weekend – By Jeff Foust
  4. Centauri Dreams
    The Joy of Extreme Possibility – by Paul Gilster
  5. Slate
    DARPAS’s 100-year starship symposium: alien religion , solar propulsion – By Konstantin Kakaes
  6. The Gregory Benford’s Blog
    The First Hard Science Fiction Convention – By Gregory Benford

Fonti secondarie

Space com – http://www.space.com/13135-100-year-starship-symposium-darpa-nasa.html

Space com – http://www.space.com/13152-aliens-religion-impacts-extraterrestrial-christianity.html

Space com – http://www.space.com/13165-interstellar-travel-starship-destinations.html

Popular Mechanics – http://www.popularmechanics.com/

TOPIX – http://www.topix.com/

Silobreaker -http://www.silobreaker.com/

 Stardrive – http://www.stardrive.org/

 Today in scope – http://todayinscope.com/

 Newsplurk – http://technology.newsplurk.com

 Portal to the Universe – http://www.portaltotheuniverse.org

 Zmescience – http://www.zmescience.com/

 KurzweiL accelerating intellingence – http://www.kurzweilai.net/

 Mail online – http://www.dailymail.co.uk/home/index.html

 International businees times – http://www.ibtimes.com/

 Grand Strategy: The View from Oregon – http://geopolicraticus.wordpress.com/

 Starship Reckless – http://www.starshipnivan.com/blog/?p=5295

 Innovation news daily  – http://www.innovationnewsdaily.com/

 Next big future – http://nextbigfuture.com/

 Smithsonian.com – https://www.smithsonianmag.com/

30 ottobre 2011 Posted by | Astrofisica, Astronautica, Scienze dello Spazio, Volo Interstellare | , , , , , , | 13 commenti

Contattare civiltà aliene: i pro e i contro del METI

Il giornalista di Tau Zero  Larry Klaes si è appassionato al SETI — e alla sua diramazione METI (Messaging to Extraterrestrial Intelligence) — già da molto tempo. Qui fa un passo indietro per esaminare il METI nel suo insieme, offrendoci un esame dei vantaggi che comporta inviare segnali verso le stelle e dei rischi corrispondenti. Sulle  pagine di Centauri Dreams, dal suo esordio on line nel 2004, abbiamo potuto leggere diverse opinioni sull’argomento. Ma forse Larry è riuscito a trovare la chiave che permette di rispondere sia alle argomentazioni dei favorevoli che a quelle dei contrari. C’è qualcosa nella natura umana che rende il METI più o meno inevitabile? (Paul Gilster)

Il SETI – Search for Extraterrestrial Intelligence (Ricerca di Intelligenza Extraterrestre) – è stato gestito da una serie di scienziati, professionisti e dilettanti, a partire dal 1960, o dal 1924 se vogliamo contare una campagna di quell’anno che cercava di captare eventuali messaggi radio lanciati da presunti marziani. L’attività principale del SETI consiste nell’ascolto passivo o nella ricerca di trasmissioni provenienti da civiltà aliene. Gli ultimi programmi del SETI hanno avuto anche l’obiettivo di rilevare le attività tecnologiche di società molto avanzate all’interno della nostra galassia e fuori di essa, o l’eventuale presenza di sonde che si aggirerebbero  furtivamente  nel  Sistema Solare per tenere sotto controllo il genere umano.

Immagine: Il radiotelescopio e radar planetario RT-70 nel Centro per le comunicazioni nello Spazio Profondo di Eupatoria, Ucraina. Fonte: S. Korotkiy.

Il nostro attuale livello di tecnologia spaziale non ci consente di esplorare direttamente neppure il sistema stellare più vicino.  I numerosi, seppure saltuari, programmi del SETI attuati qua e là sul nostro pianeta e addirittura al di là di esso negli ultimi cinquant’anni, trovano giustificazione nella possibilità che una società aliena ci invii deliberatamente  segnali o che noi si riesca per caso a  captare una  loro trasmissione. Considerato infine che la Via Lattea è composta da centinaia di miliardi di sistemi stellari, alcuni scienziati sono diventati fautori di un approccio meno passivo alle indagini per scoprire se la Terra è o non è l’unico pianeta con vita intelligente nel Cosmo.

Battezzato METI (da Messaging to Extraterrestrial Intelligences) ma conosciuto anche come “Active SETI”, questo concetto implica la trasmissione di nostri messaggi e segnali nella galassia, per avvisare le società aliene della presenza degli esseri umani, per aiutarli a trovarci, a rispondere e contraccambiare più facilmente. Come è ovvio, è molto discutibile se il METI sia il modo giusto per l’umanità di trovare intelligenze aliene o se servirà solo a informare una specie malvagia dell’esistenza della Terra come obiettivo di conquista e distruzione. Per chiarire se il METI è la via che permetterà di far diventare l’umanità una parte produttiva e progredita della comunità galattica o l’inizio della nostra rovina, esaminiamone ora i pro e i contro.

La natura dell’universo

La Via Lattea è un’immensa galassia a spirale che contiene 400 miliardi di sistemi solari disseminati su 100.000 anni luce e la maggior parte degli ipotetici residenti stellari di questa isola cosmica si trovano mediamente a molti anni luce di distanza uno dall’altro. Per dare al lettore l’idea della vastità della Via Lattea, se tutta la nostra galassia si riducesse in scala al punto in cui una persona potesse tenere l’intero  Sistema Solare nel palmo della mano, la Via Lattea sarebbe comunque grande come l’America del Nord.

Immagine: Il centro stesso della galassia, a lunghezze d’onda visibili, è completamente coperto dalla striscia di polvere che divide la Via Lattea per gran parte della sua lunghezza. La pista  di polvere è visibile soltanto perché oscura le stelle che si trovano in secondo piano. Incastonate nella polvere si vedono molte regioni dove si formano nuove stelle, che appaiono come nebulose a emissione color rosso vivo. (Fonte: Anglo-Australian Observatory).

Oltre al gran numero di stelle e all’incredibile distanza che le separa, i ricercatori del SETI si devono anche confrontare con il naturale brusio radio di sottofondo del cosmo, che soffoca tutti i segnali artificiali tranne i più forti. E anche la polvere interstellare, che si insinua nella nostra galassia, nasconde molti segnali elettromagnetici e intere regioni della Via Lattea alla nostra vista.
Al momento l’umanità non ha reali capacità di realizzare il volo interstellare. Le poche sonde spaziali che sono state inviate  su rotte dirette al di fuori del nostro sistema solare impiegherebbero 77.000 anni a raggiungere il meno distante dei vicini stellari della Terra, il sistema di Alfa Centauri. Nessuno degli esploratori robotici attualmente attivi funzionerebbe per più di una semplice frazione di tutto questo tempo prima di esalare l’ultimo respiro. Ora è vero che la nostra civiltà sta producendo da oltre un secolo una “bolla” di segnali elettromagnetici artificiali, che ha formato nella galassia una sfera ampia 200 anni luce, con la Terra al centro. Ma la maggior parte di queste trasmissioni erano dirette solo ai residenti del nostro pianeta e perciò spesso avevano come involontario obiettivo, per breve tempo,  zone casuali del cielo. Si trattava in genere di segnali piuttosto deboli, che avrebbero richiesto un ricevitore molto grande e sofisticato per essere rilevati anche solo a pochi anni luce dalla Terra. In breve, l’umanità non occupa un ruolo di spicco nel grande schema cosmico delle cose.

Perché il METI aiuterà l’umanità

Per combattere tutto quello che potrebbe impedire il successo del SETI, noi umani dobbiamo cominciare a trasmettere la nostra parola nello spazio, prendendo come obiettivo specifico particolari sistemi solari e altri luoghi della Via Lattea in cui riteniamo più probabile trovare qualche vicino spaziale. Potremmo usare trasmissioni molto semplici, per esempio un segnale che appaia chiaramente artificiale o una presentazione dettagliata di noi e del nostro mondo. O, in alternativa,  si potrebbero trasmettere, con continuità  e per lunghi periodi, segnali interstellari in grado di coprire la maggior porzione del cielo possibile, dal momento che ignoriamo del tutto la posizione di eventuali società aliene e da quanto tempo potrebbero aver messo in atto i loro personali programmi SETI.

Immagine: Aleksandr Leonidovich Zaitsev, sostenitore del METI e radioastronomo, autore delle ‘Cosmic Calls’ inviate nel 1999 e 2003 da Evpatoria. Fonte: Wikimedia Commons.

Un’intelligenza extraterrestre in grado di trovarci attraverso i nostri programmi METI e di risponderci sarebbe molto probabilmente più avanzata di noi, avrebbe maggiori conoscenze e sarebbe in grado di intraprendere attività attualmente fuori della portata della nostra specie. Potremmo quindi imparare nuove cose in molti campi e progredire sia socialmente che tecnologicamente. Anche le civiltà aliene, a loro volta, potrebbero trarre beneficio dalle informazioni che condivideremmo con loro.

Per quanto riguarda il timore di rendere nota la nostra presenza a specie che potrebbero nuocerci,  Carl Sagan ha affermato una volta  di ritenere molto probabile che le società ostili si distruggano o degenerino prima ancora di scoprire il volo interstellare. Questo significherebbe che gli ETI in grado di individuarci e di mettersi in contatto con noi sarebbero amichevoli o quanto meno neutrali, con l’ulteriore garanzia di sicurezza data dalla loro enorme distanza da noi.

Se ci fossero ETI minacciosi per la nostra esistenza e in grado di viaggiare tra le stelle,  potremmo individuarli attraverso le prove delle loro attività e le loro trasmissioni, o tramite altri ETI al corrente della minaccia. Essi metterebbero in guardia le società con cui sono in contatto contro i pericoli galattici ai quali sono esposte. E, una volta avvisati, potremo avere la possibilità di difenderci o magari di elaborare un piano di salvataggio in collaborazione con questi nostri nuovi alleati, per combattere la minaccia imminente e gettare le basi per future relazioni tra i rispettivi mondi.
I viaggi interstellari, soprattutto quelli che possono raggiungere velocità relativistiche, potrebbero essere ancora più difficili di quanto pensiamo. E certo non sarebbe evidente dalla Terra se ci fossero flotte di grandi navi spaziali che sfrecciano regolarmente attraverso la galassia. L’enorme distanza tra i  vari sistemi stellari quanto meno  dovrebbe offrirci una qualche protezione. E il METI rappresenterebbe il sistema per metterci in contatto con le sofisticate culture della Via Lattea e comunicare, conoscersi, esplorare e commerciare, ciascuna dalla relativa sicurezza del suo mondo natale.

Perché il METI potrebbe distruggere l’umanità

Il principale aspetto negativo del METI è noto anche ai non addetti ai lavori grazie ai mezzi di comunicazione più popolari: segnalare la nostra presenza nella galassia a un’intelligenza aliena avanzata potrebbe indurre quest’ultima a interagire con noi in modi dannosi o distruttivi per la nostra società e la nostra specie. Gli storici e gli altri studiosi citano i molti esempi nella storia dell’umanità in cui l’incontro tra due culture con livelli tecnologici diversi ha portato alla riduzione o alla distruzione della società meno sofisticata, anche se dotata di una popolazione numericamente molto superiore all’altra.

Immagine: Lo scrittore di fantascienza David Brin, uno dei più irriducibili critici del METI. Nel suo articolo  “The Great Silence” del 1983 offre una delle prime analisi del paradosso di Fermi e delle sue implicazioni per il SETI. Fonte: Contrary Brin.

Anche quando l’incontro storico non si è risolto in una conquista o in uno sterminio,  altri fattori hanno comunque contribuito alla fine della popolazione nativa. Un esempio per tutti: in molti casi le malattie sconosciute introdotte tra gli indigeni hanno fatto più vittime delle stesse armi. Le iniziative dei missionari e la loro diffusione casuale hanno alterato le società interessate e, anche se non le hanno eliminate, le hanno assimilate alla cultura dominante al punto da snaturarle quasi completamente.
Sono questi, tra gli altri, gli scenari che vengono evocati e temuti quando si parla di rendere nota la presenza dell’umanità nella galassia. L’affermazione che qualsiasi ETI dotato di sufficienti strumenti astronomici  potrebbe già essere informata dell’esistenza della Terra e dei suoi occupanti attraverso la dispersione elettromagnetica o addirittura le nostre firme biologiche, è stata confutata dal fatto che la maggior parte dei nostri segnali radio televisivi è troppo debole su scala stellare e può essere captata solo da apparecchiature estremamente potenti. Persino gli apparati radar militari e i radartelescopi,  che emettono segnali molto più potenti, non sono diretti verso punti specifici dello spazio al di là del nostro sistema solare, il che riduce la possibilità che vengano notati dagli ETI.
Mentre ci agitiamo al pensiero dei potenziali pericoli provenienti dall’universo, c’è anche la possibilità che i nostri sforzi METI possano causare un danno simile a intelligenze aliene che potrebbero non essere pronte a gestire quello che abbiamo da dire o addirittura la nostra stessa esistenza. Speriamo che un ETI capisca che siamo una società relativamente giovane, ancora alle prese con i suoi problemi interni, con molte questioni ancora da risolvere, e ci lasci in pace finché non saremo abbastanza maturi da poter interagire adeguatamente con altri abitanti della galassia. Ma è comunque possibile che una mente aliena non sia in grado di riconoscerci come una specie ancora ingenua e in via di espansione e sfrutti le nostre debolezze o ci complichi la vita cercando di “aiutarci”.

L’inutilità di combattere la natura umana

C’è una cosa certa, che si ripete già da diverso tempo: benché sarebbe prudente pensarci due volte prima di spedire nella Via Lattea qualsiasi tipo di informazione su di noi, c’è sempre chi sfida le regole anche solo per il gusto di farlo.
Ci sono attualmente cinque sonde spaziali (e l’ultimo stadio dei loro razzi vettori) che  si stanno dirigendo verso la galassia profonda, oltre il nostro sistema solare.

Immagine: la famosa targa installata a bordo di Pioneer 10 e 11. Fonte: Wikipedia.

Quattro di questi veicoli automatici hanno a bordo un set adeguato di informazioni, mentre l’ultimo membro di questo esclusivo club, New Horizons, porta oboli meno sofisticati da offrire all’Universo, con l’eccezione di una parte delle ceneri di Clyde Tombaugh, l’uomo che nel 1930 scoprì Plutone, il pianeta nano di cui  la sonda tenterà un breve flyby nel  2015. Le targhe incise e i cd  realizzati in oro e pieni di informazioni sulla Terra piazzati a bordo rispettivamente delle sonde gemelle Pioneer e Voyager, sono stati voluti e costruiti da persone in gran parte esterne alle istituzioni spaziali, colmando così il vuoto di lungimiranza dimostrato da progettisti e costruttori. Il team del New Horizons, invece, ha evitato accuratamente qualsiasi progetto del genere, trattando gli oggetti  imbarcati sulla sonda come se fossero destinati al cassettone dei ricordi di una piccola città.
Per quanto riguarda il METI nel campo delle onde radio, messaggi intenzionali sono stati inviati verso la galassia a partire dal 1962 con una breve trasmissione in alfabeto Morse da parte dell’Unione Sovietica, quindi nel 1974 con il più noto messaggio di Arecibo, indirizzato verso l’ammasso globulare M13. Da allora sono state messe in atto diverse imprese METI del genere. Un certo numero di esse, tra cui una serie di trasmissioni dal complesso di Eupatoria, in Crimea, erano cose serie, ma altre sono state più che altro delle trovate pubblicitarie. La maggior parte delle persone coinvolte in questi progetti non ha mostrato grande preoccupazione riguardo alle possibili conseguenze del rivelare al cosmo la nostra presenza. Questo atteggiamento è ancora più marcato quando si parla della dispersione elettromagnetica che la nostra civiltà produce ormai da oltre un secolo, per quanto di debole intensità a livello cosmico.
Alcuni gruppi e singoli individui, sentendosi poco o per nulla rappresentati dai messaggi e dalle precedenti imprese METI, hanno lanciato messaggi personali nella galassia, suscitando un gran numero di proteste. Uno dei più noti tra loro è Aleksandr Zaitsev, che ha sfruttato la propria posizione di scienziato capo dell’Institute of Radio Engineering and Electronics della Russian Academy of Science per inviare trasmissioni dettagliate verso diversi sistemi stellari vicini attraverso il radiotelescopio di Eupatoria. Zaitsev continua a effettuare e a sostenere queste azioni METI a dispetto delle proteste che hanno provocato in vari settori. Ad esse Zaitsev controbatte che  tali azioni sono proprio quello di cui l’umanità ha bisogno se vuole sopravvivere e maturare come specie.
In conclusione, anche se dobbiamo essere prudenti sul se e come presentare noi stessi a quel vasto ignoto che  è il resto dell’universo, ci sarà sempre chi sfiderà leggi e regole, che sia per senso del dovere nei confronti dell’intera umanità o semplicemente come atto di ribellione contro la società. La domanda successiva è: esiste qualcuno nella galassia che pensi e agisca allo stesso nostro modo? Una trasmissione di questo genere è già in viaggio verso la  Terra? E, se così fosse, quali sarebbero le conseguenze? Ci farebbe finalmente crescere come specie o causerebbe panico e distruzione? Qualsiasi vostra riflessione su questo importante tema sarà bene accetta.

Titolo originale: “The Pros and Cons of METI”  scritto da Larry Klaes e pubblicato in Centauri Dreams il 6 maggio 2011. Traduzione italiana di Beatrice Parisi e Roberto Flaibani. Questo articolo prosegue una fase di collaborazione con Centauri Dreams, che ci auguriamo lunga e fruttuosa.

6 ottobre 2011 Posted by | Radioastronomia, Scienze dello Spazio, SETI | , , , | 2 commenti