Il Tredicesimo Cavaliere

Scienze dello Spazio e altre storie

Mathematical SETI, non solo radiotelescopi

Prefazione foto 1-bisSul finire dell’agosto 2012, appare per la prima volta, in lingua inglese ad opera dell’editore Springer, il volume “Mathematical SETI”, dove Claudio Maccone raccoglie e aggiorna il suo ventennale lavoro sull’algoritmo per le telecomunicazioni KLT, la missione FOCAL, il progetto PAC, e finalmente la sua ultima fatica, la completa revisione delle basi matematiche del SETI e la conseguente rivalutazione degli aspetti sociologici della nuova Formula di Drake. Un libro difficile, a detta dell’autore stesso, diretto agli scienziati, ai ricercatori, difficilmente reperibile al di fuori dell’ambito accademico. Forse per fare ammenda col vasto pubblico degli space enthusiast, Maccone ha voluto scrivere una lunga prefazione, dove, con un linguaggio non specialistico, tenta di spiegare i concetti più importanti del suo lavoro. Vi presentiamo qui la traduzione della prima parte, dedicata agli aspetti matematico-sociologici del SETI. (RF)

copertina libroSETI (Search for Extra Terrestrial Intelligence), la moderna ricerca di un’intelligenza extraterrestre, iniziò nel 1959 con la pubblicazione dell’articolo pionieristico “Searching for Interstellar Communications”, di Giuseppe Cocconi (1914-2008) e Philip Morrison (1915-2005), pubblicato su Nature, Vol. 184, n° 4690, pp. 844-846, 19 settembre 1959. Appena un anno dopo, nel 1960, Frank Drake iniziò il radio SETI sperimentale con il progetto Ozma, in cui per la prima volta cercò di captare possibili segnali extraterrestri vicino alla frequenza radio di 1420 megahertz, la riga di emissione dell’idrogeno neutro. Vide così la luce il moderno radio SETI, tuttora in piena attività grazie agli enormi progressi compiuti nel settore delle strumentazioni elettroniche e degli algoritmi matematici elaborati dai computer per rilevare i segnali alieni. Solo qualche anno dopo, nell’incontro su SETI presso L’Osservatorio Nazionale di Radio Astronomia di Green Bank, West Virginia, Frank Drake offrì un altro contributo fondamentale, conosciuto attualmente sotto il nome di “equazione di Drake”. Tale equazione viene descritta nel Capitolo 1 del libro, insieme alla sua estensione per l’equazione che comprende probabilità e statistiche, scoperta da questo autore nel 2007 e presentata per la prima volta nel 2008. Quest’analisi occupa i primi 11 capitoli di questo libro.

PARTE I – STATISTICHE SETI. Questa prima parte del libro è composta da 11 capitoli.

Capitolo 1 – L’equazione statistica di Drake. Questo capitolo mostra come la classica equazione di Drake, il prodotto di sette numeri positivi, possa essere sostituita dal prodotto di sette variabili positive casuali, che prende il nome di “equazione statistica di Drake”. Questa modalità è scientificamente più consistente in quanto ogni valore in entrata (input) della classica equazione di Drake è accompagnato ora dal segno che contraddistingue l’approssimazione (~)In altre parole, gli input puramente numerici della classica equazione di Drake diventano ora i valori medi delle corrispondenti variabili casuali, ai quali dovrà essere addizionata o sottratta una certa deviazione standard (che dovrà essere trovata sperimentalmente), come è d’uso in ogni serio articolo scientifico. Le conseguenze matematiche di questa trasformazione vengono spiegate, dimostrando che la nuova variabile casuale N, relativa al numero di civilizzazioni della Galassia in grado di comunicare, deve seguire la distribuzione di probabilità lognormale qualora si permetta che il numero dei fattori nell’equazione di Drake aumenti a piacere. Questo risultato offre la possibilità di inserire nell’equazione di Drake un numero sempre maggiore di fattori, consentendole di essere più rappresentativa della realtà fisica: per esempio, la fine di una civiltà in seguito all’impatto di un asteroide era assente nella formulazione di Drake del 1961, probabilmente perché fu solamente nel 1980 che la scomparsa dei dinosauri come conseguenza dell’impatto di un asteroide fu accettata dalla comunità scientifica. Il Capitolo 1 ricava anche un’altra distribuzione di probabilità chiamata “distribuzione di Maccone” da Paul Davies e altri), che fornisce la funzione di densità di probabilità (pdf) della distanza tra due qualsiasi civiltà vicine nella Galassia. Questo è di importanza capitale per SETI, in quanto spiega come difficilmente si possa sperare di localizzare forme di civiltà aliene a una distanza inferiore a 500 anni luce. La spiegazione più naturale per l’apparente fallimento di 50 anni di ricerca SETI (1960-2010) è che il motivo per cui non le abbiamo individuate dipende semplicemente dal fatto che i nostri attuali radiotelescopi non arrivano a una distanza sufficiente, poiché si possono spingere al massimo a distanze di 100-200 anni luce.

Capitolo 2 – Lasciare che sia Maxima a fare i calcoli. Questo capitolo introduce gli studenti e i giovani ricercatori al piacere di poter fare a meno dei calcoli scritti ricorrendo a Maxima, un programma di algebra liberamente scaricabile. In pratica il lettore troverà in appendice ai vari capitoli tutti quei codici Maxima che l’autore ha dovuto ricavare da solo per dimostrare le diverse equazioni fornite per la prima volta nel libro. Si tratta di un’assoluta novità per il genere di libri fortemente matematici come questo: non soltanto non ci vergogniamo di dimostrare ai nostri lettori la bellezza di SETI, dell’astrofisica e dell’elaborazione dei segnali, ma insegniamo loro come ricavare importanti nuovi risultati grazie a Maxima e Mathcad. Un paio di esempi come dimostrazione: nelle Appendici 2.A e 2.B deriviamo le proprietà statistiche della distribuzione lognormale, di importanza centrale per l’equazione statistica di Drake illustrata nel Capitolo 1, e, come dimostrazione delle notevoli capacità di Maxima nel calcolo tensoriale, ricaviamo l’universo chiuso di Einstein del 1917 (fondamentale per la cosmologia), le equazioni di Friedman del 1924, e il conseguente numero di protoni dell’universo, il famoso 1080 ricavato da Dirac nel 1937 (cosmologia di Dirac).

Capitolo 3 – Quanti pianeti per l’uomo e per gli alieni? Questo capitolo presenta al lettore l’equazione di Dole (1964). Da un punto di vista matematico quest’equazione è uguale a quella di Drake, ma si applica al numero di pianeti abitabili della Galassia, piuttosto che al numero di civiltà della Galassia in grado di comunicare. Estendendo dunque il nostro studio alla classica equazione di Dole del 1964 arriviamo alla conclusione che nella Galassia dovrebbero esistere all’incirca 100 milioni di pianeti abitabili dall’uomo, più una deviazione standard di 200 milioni. Non male per la futura espansione del genere umano nella Galassia, sempre che si sopravviva ai molti pericoli che dovremo affrontare nei secoli a venire, quali le avversità fisiche e l’opposizione da parte degli alieni. Avendo trovato nel Capitolo 1 la distribuzione di probabilità della distanza fra due civiltà aliene, nel Capitolo 3 scopriamo che la stessa distribuzione di probabilità si applica alla distanza tra due pianeti vicini abitabili – dopo aver cambiato i numeri (ma non le equazioni), ovviamente.

Capitolo 4 – Paradosso statistico di Fermi e viaggi intergalattici. Questo capitolo affronta il tema della possibile espansione nella Galassia di una civiltà, umana o aliena che sia. L’idea centrale è che la quantità di tempo richiesta per l’espansione nello spazio sia determinata sostanzialmente da due fattori: (1) la velocità dei veicoli spaziali utilizzati per saltare da un pianeta abitabile al successivo; (2) il tempo necessario per colonizzare un nuovo pianeta da zero trasformandolo in una base da cui partire per i successivi viaggi spaziali. Assumiamo che la prima variabile (la velocità della nave spaziale) sia essenzialmente deterministica, e non richieda un’elaborazione statistica. Assumiamo anche, però, che la seconda variabile (il tempo di colonizzazione) segua la distribuzione lognormale, di nuovo come conseguenza del fatto che il numero dei fattori sconosciuti è così grande da avvicinarsi all’infinito. Viene qui usato il Teorema Centrale del Limite della statistica, come si è fatto rispettivamente nel Capitolo 1 per trovare la distribuzione di N e nel Capitolo 3 quella di NHab. Partendo da questi presupposti, il modello statistico per la crescita dei coralli nel mare applicato all’espansione di una civiltà nella Galassia ci permette di determinare la distribuzione di probabilità del tempo complessivo necessario a una data civiltà per espandersi attraverso l’intera Galassia. I calcoli diventano piuttosto complicati, e soltanto un uso assennato di Maxima ci ha permesso di trovare le distribuzioni di probabilità pertinenti. Si tratta ovviamente di un ampliamento statistico del famoso paradosso di Fermi, fino ad ora affrontato dagli altri autori in contesti banalmente deterministici.

Capitolo 5 – Quanto a lungo può vivere una civiltà? Questo capitolo cerca di affrontare il valore totalmente sconosciuto dell’ultimo termine dell’equazione di Drake: quanto a lungo potrebbe sopravvivere una civiltà tecnologica? Poiché nessuno lo sa – dato che siamo noi stessi siamo l’unico esempio a disposizione – in questo capitolo la discussione si limita alle variazioni del numero N a seconda che si tratti di civiltà di lunga piuttosto che di breve durata. Gli esempi numerici offerti in questo capitolo sono l’estensione statistica dei corrispondenti valori deterministici dati da Carl Sagan nel suo libro (e serie TV) Cosmos (1980).

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Prefazione foto 3

Capitolo 6 – Modelli matematici che abbracciano tutta la vita, tramite funzioni b-lognormali finite. Questo capitolo contiene del materiale profondamente innovativo, considerato dall’autore uno dei migliori modelli matematici concepiti da lui fino ad ora, nei suoi 64 anni di vita. L’idea è la seguente. Tutti gli esseri viventi sono nati, ciascuno al suo momento (t = b = birth (nascita)), poi sono cresciuti durante l’adolescenza (t = a = adolescenza), poi hanno raggiunto il loro punto più alto nel picco (t = p = picco), seguito dalla senilità (t = s = senilità), e infine dal decesso (t = d = death (morte)). Esiste una funzione finita della densità di probabilità che ha un simile comportamento nel tempo? Sì, esiste, e si chiama b-lognormale. Cos’è una b-lognormale? E’ semplicemente una ordinaria lognormale (μ,σ) che comincia per un valore positivo del tempo, cioè t = b > 0 piuttosto che t = 0. La sua equazione richiede lo scivolamento del valore d’inizio verso un nuovo istante positivo t = b > 0, che noi chiamiamo b-lognormale, perché questa funzione della densità di probabilità sembra non avere ancora un nome. Ma gli altri quattro punti nel tempo menzionati sopra hanno invece un immediato significato matematico: (1) il tempo dell’adolescenza (t = a) è l’ascissa del punto di flessione ascendente; (2) il picco (t = P) è ovviamente l’ascissa del punto massimo; (3) il tempo della senilità (t = s) è l’ascissa del punto di flessione discendente; (4) il tempo della morte (t = d) è l’ascissa del punto in cui la tangente alla senilità incrocia l’asse del tempo, e questo trucchetto matematico ci permette di sbarazzarci dell’estremità finita a destra, rimpiazzandola con un ovvio punto finito. Tali sono, quindi, le b-lognormali. Ora, il Capitolo 6 è interamente dedicato a scoprire nuove equazioni matematiche che esprimano i due parametri sconosciuti (μ,σ) come funzioni di qualcuno dei valori di input noti, come il momento della nascita (t = b), più due delle quattro variabili di input rimanenti (a, p, s, d). L’autore è stato in grado di scoprire alcune equazioni finite di questo tipo, e probabilmente ne esistono ancora altre sconosciute, ma quello che è stato in grado di scoprire è stato sufficiente per scrivere i Capitoli 7 e 8, di centrale importanza rispettivamente per la “storia matematica” e per la “evoluzione matematica darwiniana”. In chiusura l’autore deriva un’espressione per la funzione di densità di probabilità finita delle b-lognormali per normalizzare di nuovo a 1, invece della costante ordinaria di normalizzazione delle lognomrali ordinarie.L’insieme di questi nuovi risultati è un importante passo in avanti che ci permette di rimpiazzare la montagna di parole utilizzate al giorno d’oggi per descrivere l’evoluzione darwiniana e la storia matematica con un semplice insieme di distribuzioni statistiche in accordo con l’equazione statistica di Drake e SETI.

Capitolo 7 – Civiltà storiche come b-lognormali finite. Applichiamo i risultati del Capitolo 6 alla storia matematica. Calcoliamo e confrontiamo le b-lognormali finite di otto civiltà che hanno influito maggiormente sulla storia del mondo negli ultimi 3.000 anni: la Grecia antica (600 a.C.-30. a.C.), la Roma antica (753 a. C.–476 d. C.), l’Italia rinascimentale (1250–1600), il Portogallo (1419–1974), la Spagna (1492–1898), la Francia (1524–1962), la Gran Bretagna (1588–1974), e gli Stati Uniti (1898–c. 2050). Si potrà obiettare che tutte queste civiltà appartengono al cosiddetto mondo occidentale, ciò nonostante è in Occidente che negli ultimi 3.000 anni troviamo le civiltà più avanzate. È altamente probabile che in futuro l’Asia sostituisca l’Occidente alla guida dell’umanità, ma allo stato attuale, nel 2012, si tratta di un’eventualità ancora incerta. Così queste otto [funzioni] b-lognormali sono confrontate sullo stesso grafico dove emerge chiaramente una sorta di “inviluppo superiore”: si tratta di una curva esponenziale che, più o meno, abbraccia tutte le b-lognormali come luogo geometrico dei loro picchi! Il risultato principale è in questo caso il fatto che nel b-lognormali diventano sempre più strette con il passare del tempo (cioè, i loro picchi diventano sempre più elevati) e questo rivela il progresso (cioè, un crescente grado di civilizzazione). Per rendere questo risultato quantitativo, piuttosto che solamente qualitativo, abbiamo bisogno di una nuova unità di misura per la “quantità di evoluzione” raggiunta da una data civiltà in un dato momento, proprio come i metri misurano la lunghezza, i secondi misurano il tempo, i coulomb misurano la carica elettrica, eccetera. Chiamiamo questa nuova unità di evoluzione “darwin”, e la introduciamo nel capitolo successivo, che si occupa dell’evoluzione darwiniana. Il motivo per cui lo facciamo è perché nella scienza “misurare vuol dire capire”.

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Prefazione foto 4

Capitolo 8 – Un modello matematico per l’evoluzione e SETI. L’“inviluppo esponenziale” che era appena accennato nel precedente capitolo, ora si delinea chiaramente come il collegamento tra l’evoluzione darwiniana e la famiglia di b-lognormali vincolata tra l’esponenziale e l’asse temporale. Innanzitutto definiamo l’evoluzione darwiniana semplicemente come la crescita esponenziale del numero di specie viventi sulla Terra che ha caratterizzato gli ultimi 3,5 miliardi di anni di vita sulla terra. In altre parole, presumiamo che 3,5 miliardi di anni fa apparve il primo e unico organismo vivente (RNA?) e tracciamo una curva esponenziale che collega quel punto alle attuali circa 500.000 specie viventi. Questa curva esponenziale è dunque il luogo geometrico dei massimi della famiglia, con un solo parametro, di b-lognormali (il parametro variabile della famiglia è il tempo b di nascita di una qualsiasi nuova specie) tenendo conto della cladistica (cioè la moderna teoria dell’evoluzione che si basa rigorosamente su quando una nuova specie appare nel corso dell’evoluzione, e non su asserzioni tassonomiche rudimentali e semplicistiche). Detto ancora in altro modo, ogni nuova specie è una curva esponenziale, in leggero aumento o diminuzione nel tempo, che si diparte dall’ “esponenziale principale” (l’inviluppo complessivo) quando una nuova specie ha origine. Come ulteriore nuovo risultato, ricaviamo anche la distribuzione di probabilità “NoEv” o “Non Evoluzione” per una data specie, vale a dire la funzione della densità di probabilità (pdf) che si applica quando una data specie non subisce alcun cambiamento per un lunghissimo tempo (cioè quando i suoi membri nascono, crescono, si accoppiano, invecchiano e muoiono per milioni o miliardi di anni senza che il loro numero aumenti o diminuisca in modo significativo). Stranamente questa nuovissima distribuzione di probabilità risultante dalla nostra teoria non è più un lognormale o un b-lognormale. È qualcosa di nuovo, come una legge statica dell’evoluzione, e il fatto che l’articolo che affronta appunto la tematica “NoEv” sia stato pubblicato in una rivista come OLEB (Origine della Vita ed Evoluzione delle Biosfere) significa che non stiamo parlando di assurdità.

Capitolo 9 – Statistiche sociali secondo l’equazione statistica di Drake. Questo capitolo si occupa di una nuova possibilità risultante dall’equazione statistica di Drake, ovverossia come derivare matematicamente nuovi risultati statistici relativi ad argomenti precedentemente sconosciuti da dati statistici già noti. L’argomento sconosciuto in questo caso è la “componente sociale” dell’equazione di Drake (cioè il prodotto dei suoi ultimi tre termini fi·fc·fL). Questi tre termini corrispondono rispettivamente a: (1) fi la probabilità che su un pianeta già brulicante di vita possa nascere la vita intelligente (cioè superiore alle scimmie), come è accaduto nel caso della storica evoluzione dell’umanità sin dalla sua apparizione sulla Terra circa 7 milioni di anni fa fino alla scoperta delle onde radio, le quali rendono possibile la comunicazione tra civiltà aliene diverse nella Galassia (l’esistenza delle onde radio fu compresa matematicamente per la prima volta nel 1864 da James Clerk Maxwell come soluzioni sinusoidali per le sue appena scoperte equazioni di Maxwell); (2) fc corrisponde alla fase in cui una civiltà è in grado di comunicare utilizzando strumenti radio, laser o persino neutrini, fase che per gli esseri umani è storicamente iniziata nel 1864 e continua tutt’oggi; (3) fL corrisponde alla durata di vita complessiva di una civiltà, dal suo inizio fino alla sua fine (ad esempio come risultato dell’impatto di un asteroide, della vicina esplosione di una supernova, di una stella o di un pianeta vaganti che alterano la stabilità gravitazionale del sistema stellare interessato, o anche a causa di guerre nucleari tra gli alieni), di cui non sappiamo assolutamente nulla. Detto questo, il Capitolo 9 suggerisce che potremmo sapere qualcosa (vale a dire una distribuzione statistica) relativa alla “componente sociale” fi . fc . fL riscrivendola come il rapporto fi .fc . fL = N/(Ns . fp . ne . fl) = N/NHab Poiché le distribuzioni di probabilità di N e NHab sono entrambe note (lognormali rispettivamente delle equazioni di Drake e di Dole) tutto si riduce a calcolare la nuova distribuzione di probabilità del rapporto fra due lognormali, che non è un lognormale ma un’altra distribuzione più generale ricavata da noi nel Capitolo 9.

Capitolo 10 – Equazioni cubiche di ripresa storica. Carl Sagan nel suo libro (e serie TV) Cosmos illustra con chiarezza i mille anni di progresso perduti dall’umanità tra la caduta dell’Impero Romano d’Occidente (476 d. C.) e la fase di ripresa del Rinascimento Italiano (circa 1400 d. C.). Nel Capitolo 10 trasformiamo tutto ciò in una semplice (forse semplicistica) curva matematica: una cubica (cioè un’equazione algebrica di terzo grado come funzione del tempo). Mostriamo come i suoi valori numerici corrispondano abbastanza bene al progresso storico nei seguenti campi: (1) astronomia dal 1000 a. C. al 2000 d. C., (2) SETI tra il 1450 e il 2000, (3) ricerca di esopianeti tra il 1950 e il 2010, (4) unificazione dell’Europa tra il 1750 e il 2010, (5) aspettativa di vita umana tra il 10000 a. C. e il 2000 d. C. estrapolata fino al 3000 d. C. e il 10000 d. C. Tutti questi risultati sono presentati come semplici modelli matematici di ciò che appare essere una “legge della ripresa storica” delle civiltà umane, che si potrebbe forse estendere anche ad altre civiltà aliene… naturalmente solo se SETI ha successo.

Capitolo 11- L’evoluzione esponenziale nel tempo come moto geometrico browniano. L’equazione statistica di Drake, descritta nel capitolo 1 e successivi, è statica (non cambia nel tempo). Fu solo l’8 gennaio 2012 che questo autore si rese conto che la sua equazione di Drake statistica statica altro non era che una istantanea di un processo probabilistico molto importante chiamato “moto geometrico browniano” (GBM), che assomigliava piuttosto a un film che a una istantanea. Ma GBM è un processo probabilistico molto importante, probabilmente il più importante di tutti: in effetti è stato dimostrato nel 1973 che si tratta dell’equazione chiave nel modello matematico “Black-Scholes”, oggi usato quotidianamente nella matematica finanziaria. Robert C.Merton fu il primo a pubblicare una relazione scientifica che espandeva la comprensione matematica del modello “option-pricing” e coniò il termine “modello Black-Scholes di option-pricing”. Merton e Scholes ricevettero il premio Nobel per l’economia nel 1997 e per quanto non designabile per il premio perchè deceduto nel 1995, Black fu menzionato dall’Accademia Svedese per il suo contributo. Detto questo, noi dimostriamo nel capitolo 11 che il GBM è in realtà lo stesso numero N(t), che aumenta esponenzialmente, delle civiltà in grado di comunicare nella Galassia, soggetto comunque all’incertezza. In altre parole: come l’intelligenza e la tecnologia continuano a evolvere, il sopracitato numero N(t) di civiltà exterrestri nella Galassia aumenta esponenzialmente, ma col rischio che alcune civiltà possano sparire improvvisamente a causa di un impatto asteroidale, l’esplosione di una supernova vicina, pianeti o stelle vagabondi che distruggono la stabilità gravitazionale del sistema stellare al quale si avvicinano, o perfino a causa di guerre nucleari tra extraterrestri. Perciò, il valor medio di N(t) cresce esponenzialmente nel come N(t) = N0eµt , ma N(t) stesso è un processo casuale con massimi e minimi, dato in sostanza da: formula corta

cioè un GBN, essendo B(t) il moto Browniano standard (0, 1). Fin qui tutto bene, ma dopo questa scoperta siamo andati avanti: abbiamo scoperto la funzione della densità di probabilità (pdf) del processo stocastico della distanza (“processo Maccone”?) data da:

formula lunga

Questa ovviamente si riduce alla distribuzione di distanza “Maccone” tra due qualsiasi civiltà ET discussa nel Capitolo 1 per il caso statico, il che è anche la distribuzione della distanza tra due pianeti abitabili vicini (con quantità diverse) come dimostrato nel Capitolo 3. Perciò, in conclusione, crediamo che il Capitolo 11 sia il capitolo più importante di questo libro perché apre la strada a future considerazioni statistiche riguardo agli ET e le loro distanze nella Galassia.

Traduzione DONATELLA LEVI

Editing FABRIZIO BERNARDINI

23 aprile 2013 Posted by | Astrofisica, Astronautica, missione FOCAL, Radioastronomia, Scienze dello Spazio, SETI, Volo Interstellare | , , , , , , , , | 3 commenti

Fisico, matematico, visionario

Avesse avuto due vite, una l’avrebbe dedicata alla matematica, l’altra all’astrofisica. Dovendo accontentarsi, s’è votato a entrambe con tantissima passione e, ça va sans dire, pochissimo tempo libero.

 Il dott. Claudio Maccone, nel corso del Congresso Internazionale di Astronautica svoltosi recentemente a Napoli, è stato eletto Presidente del Comitato Permanente SETI in seno alla IAA. Sostituisce Seth Shostak, presidente per due mandati, ed è il primo italiano, anzi il primo non-americano a ricoprire tale carica.

 Laureato in fisica e matematica col massimo dei voti, Maccone nel 1980 ha ottenuto un dottorato in matematica al King’s College di Londra, con una tesi sulla Trasformata di Karhunen-Loeve (KLT). Si tratta di un algoritmo in uso nelle telecomunicazioni, estremamente utile in ambito SETI, perché rende possibile evidenziare con grande accuratezza eventuali segnali captati da un radiotelescopio, isolandoli dal rumore cosmico di fondo e da qualsiasi disturbo elettromagnetico. Ancora oggi, però, la quasi totalità dei ricercatori SETI sta utilizzando, per l’analisi dei dati, l’antiquata Trasformata Veloce di Fourier (FFT), che prende in esame solo dati in banda stretta e a grande velocità. KLT invece garantisce maggior sensibilità e lavora in banda larga, ma richiede tempi di elaborazione molto più lunghi. Maccone è oggi uno dei più convinti sostenitori dell’implementazione della KLT ovunqe si faccia SETI.

 A partire dal 1985, Maccone ha lavorato a lungo presso l’azienda aerospaziale Aeritalia (oggi Thales Alenia Space) alla progettazione di satelliti artificiali, come il QUASAT e il Tethered Satellite. Nel 1993 propone provocatoriamente all’ESA di realizzare la cosidetta missione FOCAL, ambizioso progetto per lo studio e l’utilizzo della cosidetta Lente Gravitazionale del Sole, un fenomeno naturale di grande potenza. In pratica, la gravità solare deflette e mette a fuoco la luce dei corpi celesti occultati dal Sole, ottenendo, nel fuoco, magnificazioni di enorme entità. Il fuoco si trova però alla distanza di 550 Unità Astronomiche (UA), ben oltre i confini del Sistema Solare. Si tratta quindi di un’impresa lunga e rischiosa, ai limiti dell’attuale tecnologia, che però darebbe all’Uomo il controllo su uno strumento di straordinaria potenza.

 Nel 2010 la IAA lo chiama a ricoprire l’incarico di Direttore Tecnico per l’Esplorazione Scientifica dello Spazio. Inoltre è responsabile del progetto “Lunar Farside Radio Lab/PAC Project”, e in questa veste nel giugno 2010 ha elevato formale richiesta all’ONU, perchè un’area situata sulla faccia nascosta della Luna, denominata Cerchio Antipodale Protetto (PAC), venga permanentemente mantenuta nello stato di radio-quiete in cui si trova attualmente. Infatti il corpo stesso della Luna esercita un effetto schermante contro l’inquinamento elettromagnetico proveniene dalla Terra, e in futuro ciò permetterà di disporre del PAC come località ideale dove costruire grandi radiotelescopi.

 Numerosi i riconoscimenti ricevuti, tra cui il prestigioso “Giordano Bruno Award” con la suggestiva e significativa menzione: “ […] Dr. Maccone is, significantly, the first Italian to win the Bruno award, which was established in 1995 and is dedicated to the memory of Giordano Bruno, the Italian monk burned at the stake in 1600 for postulating the multiplicity of inhabited worlds”.

 Instancabile anche nella sua attività divulgativa, il nostro ha scritto oltre 70 articoli tecnici e scientifici, perlopiù pubblicati nella rivista “Acta Astronautica”, nonché quattro libri in lingua inglese, due per IPI Press: Telecommunications, KLT and Relativity e The Sun as a Gravitational Lens: Proposed Space Missions, e due per Springer: Deep Space Flight and Communications (2009), e Mathematical SETI (2012).

 Nel suo ultimo libro, in uscita proprio in questi giorni, Maccone riprende e aggiorna i suoi temi più conosciuti, ossia la missione FOCAL e l’algoritmo KLT, ma sopratutto presenta un progetto molto ambizioso al quale sta lavorando da anni, cioè la revisione dell’intero impianto matematico del SETI. Maccone ha riformulato in chiave statistica sia la famosa equazione di Drake, che fornisce il numero di civiltà extraterrestri presenti nella Galassia, sia quella di Dole, che fornisce il numero dei pianeti abitabili. Un primo, importante risultato è la scoperta di una nuova curva di distribuzione che il noto fisico Paul Davies ha battezzato “La distribuzione di Maccone”, dalla quale si evince che la probabilità di trovare una civiltà aliena a una distanza dal Sole inferiore a 500 anni-luce è virtualmente pari a zero. Ma i nostri attuali radiotelescopi sono in grado di rilevare eventuali segnali d’origine artificiale a una distanza massima di 200 anni-luce: ecco perché il SETI non ha potuto registrare, fino a oggi, alcun risultato positivo.

 “Si tratta di un libro dedicato a un pubblico di esperti, non è assolutamene un’opera a carattere divulgativo – dice lo stesso Maccone – ma è qualcosa di cui la comunità scientifica internazionale ha davvero bisogno. E’ un tentativo di connettere discipline scientifiche considerate fino a oggi indipendenti tra di loro: l’astronomia, l’evoluzione della vita sulla Terra e altrove nell’Universo, l’astronautica (sopratutto per quanto riguarda i viaggi interstellari a velocità relativistiche), e la storia matematica. Combinare tutto questo in una sorta di descrizione matematica unificata, era qualcosa che andava fatto.”

 Claudio Maccone viene considerato oggi uno dei più importanti scienziati SETI a livello mondiale. In suo onore, l’International Astronomical Union (IAU) ha battezzato col suo nome l’asteroide 11264.

ROBERTO FLAIBANI

 

13 ottobre 2012 Posted by | Astrofisica, Astronautica, missione FOCAL, Scienze dello Spazio, SETI | , , , , , , , | 8 commenti

Viaggio al fuoco della Lente Gravitazionale del Sole

Comunicato Stampa n.9

Il dott. Gregory Matloff è Professore Emerito al Dipartimento di Fisica del New York City College of Technology, CUNY, a Brooklyn, New York, USA. E’ inoltre membro dell’Accademia Internazionale di Astronautica (IAA) e della British Interplanetary Society (BIS). Greg ha pubblicato più di 100 relazioni scientifiche e tecniche, mentre come autore o co-autore ha firmato 9 libri di astronomia e astronautica, incluso The Starflight Handbook (Wiley, 1989) e Solar Sails (Springer 2008). Tra il 1999 e il 2007 ha collaborato con il Marshall Space Flight Center della NASA come consulente per la propulsione spaziale e la Difesa Planetaria dall’impatto di asteroidi. Il dott. Matloff interverrà mercoledì 26 alle 12:00 con una relazione dal titolo “A Solar/Nuclear Mission to the Sun’s Inner Gravity Focus”, dove si prospetta la possibilità di raggiungere il fuoco della Lente Gravitazionale del Sole con una sonda automatica a propulsione mista nucleare/solare. Si tratta dell’ormai nota missione FOCAL, proposta dal nostro dott. Claudio Maccone.

La Lente Gravitazionale è un fenomeno naturale di grande potenza che ha effetto sull’intero spettro elettromagnetico. La Lente Gravitazionale del nostro sole  (GLS) potrebbe diventare in futuro lo strumento principe per l’osservazione astronomica e le telecomunicazioni interstellari. Da molti anni a questa parte, il dottor Claudio Maccone è il massimo studioso di questo fenomeno e propugnatore della missione FOCAL, che ha come primo obiettivo di raggiungere il cosidetto fuoco del “sole nudo”,  situato a 550 Unità Astronomiche (UA) dal Sole, ben oltre l’orbita di Plutone (40 UA). Da lì la sonda continuerà ad allontanarsi lungo l’asse focale fino alla distanza di 1000 UA, sfruttando per le sue osservazioni le prestazioni della GLS. Niente di costruito dall’Uomo è mai arrivato così lontano, nemmeno l’intramontabile Voyager 1, che ha da poco superato le 110 UA. Ma varrebbe davvero la pena di andarci, perchè le prestazioni promesse dalla GLS sono assolutamente eccezionali. La Natura ci offre, a poco più di tre giorni-luce dalla Terra (a tanto equivale, infatti, la distanza di 550 UA) uno strumento d’indagine di ineguagliabile potenza.  In questi ultimi anni la comunità scientifica ha finalmente dato segno di aver preso coscienza delle potenzialità della GLS e del valore dal lavoro di Maccone, tant’è che FOCAL viene ora considerata la più importante tra le cosiddette missioni antesignane del volo interstellare.

Joseph Breeden ha ottenuto il dottorato di ricerca dall’università dell’Illinois per il suo lavoro sulla Teoria del Caos in Astrofisica, con ricerche specifiche sulle dinamiche caotiche degli ammassi globulari di stelle. Nella sua carriera ha utilizzato le dinamiche non-lineari e l’analisi dei dati per molte applicazioni scientifiche e finanziarie inclusa la “dendrocronologia” (l’analisi dei cerchi di accrescimento annuale degli alberi), le proiezioni sul numero dei partecipanti per il SETI@home, le previsioni sulla crisi dei mutui negli Stati Uniti e le previsioni sull’andamento dei raccolti. Nel 2010 ha pubblicato il libro intitolato Reinventing Retail Lending Analytics e oggi guida la Prescient Models. L’intervento di Joe Breeden si terrà mercoledì 26 alle 12:20 e avrà per titolo: “Gravity Assist via Near-Sun Chaotic Trajectories of Binary Objects”

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Con il patrocinio di: Segreteria di Stato per il Turiso e lo Sport; Segreteria di Stato per la Cultura; Università degli Studi – Repubblica di San Marino. INAF – Istituto Nazionale di Astrofisica.  COSPAR – Committee on Space Research.

Organizzatori: San Marino Scienza.  CVB – Convention & Visitors Bureau – San Marino.  IAA – International Academy of Astronautics.

Collaboratori scientifici: UAI – Unione Astrofili Italiani. Radiotelescopi di Medicina. SETI ITALIA – Team G. Cocconi. IARA – Italian Amateur Radio Astronomy. FOAM13 – Fondazione Osservatorio Astronomico Messier 13.  Carnevale della Fisica.  Scientificando. Associazione Culturale Chimicare. Carnevale della Chimica. Il Tredicesimo Cavaliere.

Sponsor: Banca Agricola Commerciale – San Marino.  Asset Banca – San Marino.

17 settembre 2012 Posted by | 4th Symposium IAA - SETI, Astrofisica, Astronautica, missione FOCAL, Radioastronomia, Scienze dello Spazio, SETI, Volo Interstellare | , , , , , , , , | 3 commenti

Progetto di un veicolo spaziale per la missione FOCAL

Il progetto del primo studente laureato della Fondazione Tau Zero è stato completato. Berkeley Davis, un luogotenente in seconda presso l’U.S. Air Force Institute of Technology di Dayton, Ohio, ha completato la sua tesi di dottorato avente per orgomento una sonda per lo spazio profondo in grado di portare a termine la missione FOCAL proposta dal dott. Claudio Maccone. Coloro che non hanno familiarità con la missione FOCAL, sappiano che si tratta di un  progetto per sfruttare l’effetto di lente gravitazionale del Sole, che inizia a circa 550 U.A. di distanza da esso e che secondo Maccone offrirà un forte ingrandimento per lo studio di soggetti come la CMB (radiazione cosmica di fondo nelle microonde). Per maggiori informazioni consultare gli archivi di Centauri Dreams. (Paul Gilster)

Origine del soggetto: Maccone, Deep Space Flight and Communications: Exploiting The Sun as a Gravitational Lens (Springer, 2009).

Analisi del veicolo e della missione Davis, Berkrley. R.(2012) Gravitational Lens: The Space Probe Design (Thesis) AFIT/GA/ENY/12-M06, Air Force Institute of Technology.

Per fornire una base di riferimento realistica di cosa sia possibile fare, allo studente è stato richiesto di contenere il suo progetto nell’ambito della tecnologia attualmente disponibile. La missione implica il trasporto di un radiotelescopio di 12 m di diametro a 550 Unità Astronomiche (UA) e proseguire oltre, per esaminare l’effetto di lente gravitazionale del nostro sole. La missione secondaria, che si svolge prima di raggiungere quel punto, è dedicata alla misura dei campi magnetici, delle particelle e delle polveri durante l’attraversamento del nostro sistema solare e la transizione attraverso il limite del sistema solare (the termination shock, the heliosheath, eliopausa) e nel vero spazio interstellare. In breve, si considera che questa missione possa essere compiuta con la tecnologia attualmente esistente a un costo compreso tra 3 e 5 miliardi di dollari (stima 2011), e che il veicolo spaziale impiegherebbe circa 34 anni per raggiungere il limite del nostro sistema solare, circa 110 anni per raggiungere il punto di missione primario a 550 UA, e continuerebbe successivamente per quasi 80 anni la raccolta dei dati fino a raggiungere circa 1000 UA, dove avrebbe probabilmente superato la previsione di due secoli di vita operativa.

Considerando questi obiettivi e limitazioni, lo studente ha progettato un veicolo a due stadi, che viene messo in orbita da un lanciatore “Delta IV-H/Star48/Star37”. Il primo stadio, che porta una schiera di pannelli solari per una potenza di 22 kW, monta quattro propulsori ionici tipo “NEXT” per portare il veicolo dall’orbita terrestre fino a Giove mediante una spinta praticamente costante in una traiettoria a spirale, per una durata di 17 anni. Una volta arrivato a Giove, lo stadio di spinta viene sganciato, e lo stadio principale completa la manovra di fionda gravitazionale intorno al pianeta gassoso. Anche lo stadio principale è dotato di quattro propulsori ionici “NEXT”alimentati da 20 generatori termici a radioisotopi (RTG) con una potenza di circa 4.4 kW, in questo momento della missione. Il veicolo accelera con continuità per altri 17 anni fino ad esaurimento del combustibile e a una distanza di circa 90 UA. In questo momento la sua velocità è di 6.7 UA/anno, che è quasi il doppio della velocità del Voyager (3.6 UA/anno). Per i successivi venti anni circa compie un volo inerziale sul confine tra il nostro sistema solare ed il vero spazio interstellare, raccogliendo dati per la missione secondaria. Infine dopo piu di 55 anni, raggiunge la distanza di 550 UA, il punto piu vicino nel quale l’effetto della lente gravitazionale idealmente inizia. A questo punto la sua velocità è diminuita a 6.2UA/anno. Occorrono altri 12 anni per raggiungere 625 UA, che rappresenta il punto realisticamente più vicino (non influenzato dai disturbi dovuti alla corona solare, nde) per osservare un segnale nel punto focale. Il veicolo continuerà ad allontanarsi dal Sole per i successivi 60 anni e sarà in grado di raccogliere dati (osservazioni del nostro sole come lente gravitazionale) fino a quando supererà la distanza di 1000 UA dal Sole, circa 180 anni dopo il lancio. Stime provvisorie sul numero dei cicli dei sistemi di controllo dell’assetto, dei calcolatori di bordo, ecc, indicano che questo veicolo possa effettivamente funzionare per due secoli. Nella tesi sono segnalate le seguenti raccomandazioni:

  • dato che allo stato attuale la produzione di energia per i veicoli spaziali è il fattore tecnologico maggiormente limitante, essa deve essere considerata di primaria importanza nei prossimi programmi di ricerca sulle missioni interstellari

  • per compiere questo tipo di missioni che impiegano la tecnologia RTG, deve essere completamente riattivata la produzione di Plutonio-238

  • la durata delle missioni è piu estesa dei test di durata a terra, perciò devono essere create nuove tecniche di collaudo per garantire che il veicolo sarà ancora in funzione al momento in cui avrà raggiunto la posizione per la sua missione interstellare.

Nota: La missione utilizza circa il 10% della produzione totale annua di Xeno, e questo Xeno non sarà riutilizzabile sulla Terra. Questo studio è solo un primo approccio al problema, e le sue conclusioni non devono essere considerate definitive. 

Informazioni aggiuntive

 

Stadio di spinta

  • 4 Propulsori ionici = 225 kg (615 W – 7.2 kW ciascuno)

  • Serbatoio dello Xeno = 309 kg

  • Carico dello Xeno = 2996 kg

  • Pannelli solari 900 kg, 22kW

  • Spinta dall’orbita bassa terrestre  fino a Giove, distacco presso Giove

 Stadio principale

  • 4 Propulsori ionici = 225 kg (615 W – 7.2 kW ciascuno)

  • Serbatoio dello Xeno = 217 kg

  • Carico delloXeno = 1888 kg

  • Energia RTG: 20 generatori termici da sorgente di calore da radioisotopi per uso generale. Ciscuno pesa 58 kg, potenza iniziale di 246 W ed emivita di 90 anni

  • 12 propulsori di assetto = 0,8 kg ciascuno

  • Serbatoi del propellente per il controllo di assetto = 12 kg

  • Propellente per il controllo di assetto = 151 kg

  • Carico utile (strumenti scientifici) 51kg, 40W

    • Radiotelescopio 12m (con la doppia funzione di antenna di comunicazione ad alto guadagno)

    • Magnetometri

    • Rivelatori di particelle

    • Rivelatori di polveri

    • I propulsori funzionano da Giove fino alla distanza di 90 UA dove si esauriscono. Volo inerziale da 90 UA in avanti, con trasmissione dati a 100 kBit/sec fino a 1000UA.

      traduzione di PIERFELICE GABRIELLI

      Titolo originale: “Interstellar (Precursor) Mission & Vehicle Design“, scritto da Marc Millis e pubblicato il 30 marzo 2012 da Centauri Dreams

21 luglio 2012 Posted by | Astrofisica, Astronautica, missione FOCAL, Scienze dello Spazio, Volo Interstellare | , , , , | 1 commento

Piccoli velieri aprono la via verso le stelle

Il volo interstellare è un obiettivo del tutto irraggiungibile con l’attuale tecnologia, ma invece sono realizzabili, prima della fine del secolo, tre missioni precorritrici che, utilizzando la vela solare fotonica e sfruttando le ultime scoperte nelle nanotecnologie, nella scienza dei materiali e nella robotica, condurranno le nostre sonde ben oltre i confini del Sistema Solare.  In questo articolo Louis Friedman,  Tom Heinsheimer e Darren Garber tracciano il percorso che, si spera, ci condurrà nel prossimo secolo al primo volo interstellare (RF).

Cosmos-1

Sembra un po’ assurdo che il Pentagono, e precisamente  la DARPA, abbia iniziato un programma, chiamato 100 Year Startship (100YSS) e dedicato al volo interstellare, un’idea nata dalla mente di David Neyland, uno dei dirigenti della DARPA, e di Peter Worden, direttore del Ames Research Center della NASA. I due si erano ispirati al romanzo di Robert Heinlein “Time For the Stars”, dove alcuni imprenditori creavano la “Long Range Foundation”, che investiva nei viaggi spaziali per stimolare l’innovazione scientifica e tecnologica. La DARPA vuole stimolare queste innovazioni e ha registrato l’acronimo 100YSS  con l’intenzione di darlo in licenza al vincitore di una gara  per la creazione di una organizzazione non governativa, finanziata privatamente e dedicata al volo interstellare. La gara è stata vinta dal gruppo Jemison, guidato dall’ex-astronauta Mae Jemison.

L’idea che sta alla base del 100YSS è stata discussa per la prima volta  nel gennaio 2011, durante una riunione di pianificazione strategica a numero chiuso, e ancora, nove mesi dopo, in un congresso tenutosi a Orlando, Florida. I tre autori di questo articolo, che avevano seguito lo sviluppo del progetto dalla riunione iniziale fino al congresso, hanno raccomandato ai congressisti di considerare che i futuri protagonisti del volo interstellare avrebbero potuto più facilmente essere  dei surrogati umani, aggiornati ai massimi livelli della robotica, della biologia e dell’informatica, che non veri essere umani, difficilmente disponibili per viaggi così lunghi. J.Craig Venter, scienziato e imprenditore di ampie vedute nel campo della sintesi del DNA, aveva suggerito che la missione interstellare poteva includere il trasporto di  molecole del DNA programmate per interagire con il pianeta di destinazione, e in grado di spedire indietro informazioni in modi che noi possiamo solo cominciare a immaginare.

L’esplorazione umana di altri sistemi stellari avrà luogo solo se lasceremo a casa gli esseri umani. Minuscole navi spaziali compiranno i viaggi interstellari, e non veicoli di dimensioni mostruose, con motori nucleari, ad antimateria o a curvatura.
Si consideri quanto insignificante è stato lo sviluppo della tecnologia del volo umano nello spazio negli ultimi 50 anni , specialmente se paragonato alla tecnologia spaziale robotica, che si è evoluta in modo esplosivo in quanto a intelligenza, capacità di raccogliere i dati,  durata di funzionamento, con i relativi miglioramenti in termini di distanza percorsa e di valore scientifico. Gli esseri umani non hanno ancora viaggiato oltre la Luna  e le idee per estendere il volo spaziale umano piu lontano nel Sistema Solare sono le stesse degli anni 60, e richiedono enormi missili, un sacco di carburante, elaborati e pesanti sistemi di supporto vitale, lunghi periodi di volo.
Al contrario, il livello delle tecnologie robotizzate è cresciuto rapidamente, seguendo un percorso in qualche modo congruente con la Legge di Moore (che descrive l’avanzamento a velocità esponenziale nell’elettronica  e nella elaborazione dei dati, raddoppiando le prestazioni ogni 18 mesi), con il risultato che le nostre sonde automatiche hanno raggiunto i confini del Sistema Solare e la loro strumentazione è grandemente migliorata riducendo il volume, la massa e il consumo di energia. In questo articolo descriviamo un approccio progressivo al volo interstellare che utilizza questi avanzamenti nella tecnologia robotica e di conseguenza sarà veloce, economico e tecnicamente fattibile, senza che siano richiesti “miracoli” nel campo della propulsione.

Il piccolo veliero

Il volo interstellare puo essere messo in pratica in un solo secolo, e le missioni a esso antesignane che verranno lanciate nei prossimi decenni possono servire come pietre miliari sulla strada che porta alle stelle. La decisione critica è quella di servirsi dell’effetto fionda  generato dal pozzo gravitazionale del Sole per ottenere l’accelerazione necessaria  per far uscire ad alta velocità dal Sistema Solare una piccola astronave a vela fotonica. Tali minuscole astronavi, con la tecnologia odierna, avrebbero un limitato carico utile e scarse capacità di comunicazione, ma la situazione sta cambiando rapidamente grazie anche allo sviluppo della LightSail della Planetary Society. Già ora, secondo uno studio del JPL, si si sta pensando a possibili missioni interplanetarie basate sul concetto di LightSail per il programma “Innovative Advanced Concepts” della NASA. (nell’immagine a fianco, la copertina di “Solar Sails” di Vulpetti, Johnson e Matloff, ed. Copernicus, eccellente esempio di divulgazione scientifica).

Raggiungere le stelle con una LightSail a propulsione laser è un concetto elaborato da Robert Forward negli anni 80, l’unico metodo pratico per raggiungere le stelle conosciuto all’epoca. Seguendo questo approccio, raggi laser o fasci di microonde messi a fuoco su distanze interstellari fornirebbero la spinta continua necessaria una volta che la luce del Sole fosse diventata inutilizzabile come fonte di propulsione (l’emissione solare diventa troppo debole al di là dell’orbita di Giove). Questo metodo richiederebbe la costruzione di una grande piattaforma laser nel Sistema Solare.  In questo articolo vogliamo suggerire che una semplice vela solare a propulsione fotonica può essere usata sia per ottenere avanzamenti tecnologici nel campo del volo interstellare, sia per raggiungere i necessari obiettivi intermedi.

La prima applicazione proposta per la vela solare fotonica si rifà a un’idea di Jerome Wright degli anni 70 per una missione di rendezvous con la cometa di Halley. L’aspetto straordinario di questa idea nacque dalla necessità di compensare la direzione e la velocità di un oggetto che stava cadendo nel Sistema Solare interno lungo una traiettoria retrograda, cioè in direzione opposta al movimento orbitale dei pianeti. Mettere l’astronave su questa traiettoria richiedeva una manovra del tipo “fermate il mondo, voglio scendere”.  Raggiungere il momento angolare inverso sarebbe stato possibile utilizzando l’accelerazione continua fornita dalla luce solare, più un trucchetto di meccanica celeste. La fionda gravitazionale richiesta per ottenere un aumento di velocità (ovvero un cambiamento dell’energia orbitale della sonda, detta anche momento angolare) è più efficiente se si esegue nel punto della traiettoria più vicino al Sole (perielio): tanto minore è il perielio tanto maggiore è l’energia ottenuta dall’astronave. La strategia per il rendezvous con Halley richiedeva parecchie orbite intorno al Sole e l’aggiustamento del momento angolare della sonda fino a che il suo valore veniva invertito e combaciava con il movimento retrogrado della cometa.

Anche per il volo interstellare useremo una strategia di volo radente al Sole (fionda gravitazionale a basso perielio) per ottenere un grande guadagno di energia. Oltre a questo vantaggio dato dalla meccanica celeste, l’astronave guadagnerà altra energia dispiegando la vela nelle vicinanze del Sole. Questo incremento d’energia aumenterà le dimensioni dell’orbita dell’ astronave spostando l’afelio oltre i pianeti esterni. In questo modo l’afelio potrebbe essere esteso all’infinito e l’astronave assumere una traiettoria iperbolica (invece che ellittica) che la farebbe uscire dal Sistema Solare.

Per raggiungere alte velocità di fuga, abbiamo bisogno di un grande valore del rapporto  tra l’area della vela e la massa dell’astronave (A/m). Una grande vela raccoglie un sacco di fotoni e ciascuno di essi trasmette la sua energia alla nave spaziale. Quanto più la massa della astronave è piccola tanto più grande sarà l’accelerazione risultante. Un altro fattore chiave, come si notava precedentemente, è la vicinanza al Sole. La distanza del perielio dal Sole è limitata dalle proprietà termiche dell’astronave e della vela. Una vela posta a 1 UA, la distanza tra la Terra e il Sole, deve resistere a una temperatura  di circa 45 C°, ma a 0,3 UA la temperatura sale fino a 305 C°. Ma se vogliamo andare più vicino al Sole, il mylar di cui è composta la vela non pùo funzionare, invece lo possono fare certe plastiche speciali. Materiali avanzatissimi, fatti di nanotubi e fibre di carbonio, oppure dotati di substrati in alluminio in grado di evaporare, rilasciando una nube ultra sottile di molecole che trasmette la sua energia alla vela, possono anch’essi rendere possibili voli radenti al Sole, quindi la ricerca di un sistema di propulsione interstellare deve includere la ricerca dei migliori materiali per le vele.

Quanto lontano e quanto veloce?

La distanza del pianeta più lontano, Nettuno, è pari a circa 30 UA. La cosidetta Cintura di Kuiper, composta di oggetti ghiacciati, di cui molti sono pianeti nani o comete inattive, si estende dai 50 ai 500 UA circa. Il confine del Sistema Solare viene di solito considerato essere l’eliopausa, un’area larga e irregolare dove il vento solare lascia il passo a un analogo flusso di particelle provenienti da altre stelle. L’eliopausa si trova approssimativamente a 150 UA dal Sole. Nessuna astronave terrestre ha mai raggiunto una simile distanza, sebbene il Voyager 1, la sonda piu veloce lanciata fino ad oggi, stia per raggiungere la fine della Heliosheath, la regione dove il vento solare interagisce con la radiazione cosmica. Voyager 1 raggiungerà presto l’eliopausa, coprendo circa 3,7 UA all’anno, cioè un anno luce in 17.000 anni. Il sistema stellare più vicino è Alpha Centauri, che dista 4,3 anni luce dal Sole, pari a  271.000 UA.

Per determinare quanto lontano una nano-astronave dotata di una vela solare può arrivare in un determinato tempo, abbiamo eseguito un’analisi parametrica del rapporto area/massa e dei passaggi più vicini al Sole (distanza del perielio). Abbiamo considerato il rapporto A/m da circa 1m2/kg (pari approssimativamente al valore della sonda giapponese Ikaros) fino a circa 1000m2/kg.  (In confronto , il valore proposto per la sonda destinata al rendezvous con la cometa di Halley era pari a 700m2/kg). La vela solare della Planetary Society è circa 7m2/kg. Per i lettori interessati ai dettagli tecnici, noi definiamo “caratteristica” l’accelerazione dell’astronave che si verifica a 1 UA. Come primo passo, potenziando progressivamente l’astronave LightSail, possiamo considerare un rapporto area/massa di circa 100m2/kg, cioè una vela di 100 per 100 metri e una astronave di 100 kg di massa, equivalente a una grossa lavatrice. Comunque , il vero futuro per il volo interstellare richiederà un astronave di massa pari a un ordine di grandezza più piccolo rispetto a una vela di tale dimensione, producendo un valore A/m di circa 1000m2/kg. Alcuni analisti di missione cinesi hanno proposto recentemente un’astronave a vela solare di 550m2/kg da usare per la deflessione degli asteroidi.

Per il massimo avvicinamento al Sole , consideriamo un valore del perielio intorno a 0,1- 0,2 UA, veramente molto vicino! Negli anno 70, nello studio per la missione alla cometa di Halley si consideravano valori intorno a 0,25 UA. Studi più recenti della NASA suggeriscono che i progressi nella scienza dei materiali permetteranno di sopravvivere ad avvicinamenti anche maggiori. La vela solare viene dispiegata dopo il lancio e la nave spaziale comincia a girare intorno al Sole in una rotta a spirale. Al perielio, la rotta della Vela Solare viene modificata per raggiungere il massimo afelio e l’astronave continua a orbitare intorno al Sole finche non riesce a sfuggire alla sua attrazione. Una volta che l’astronave è giunta oltre l’orbita di Giove  la vela può essere sganciata. Il grafico delle prestazioni della vela mostra quanto lontano un astronave a Vela Solare puù arrivare in 50 anni in funzione del rapporto A/m e del perielio.

Fino alla Lente Gravitazionale

In 50 anni la nostra astronave da A/m =100, seguendo una traiettoria che passa entro 0,2 UA dal Sole, arriva fino a 450 UA, vicino al bordo esterno della Cintura di Kuiper. Se il perielio fosse 0,15 UA, percorrerebbe 500 UA e se fosse 0,1 UA l’astronave arriverebbe a 900 UA! Il vantaggio di un perielio più ravvicinato diventa ancora maggiore con l’aumento del rapporto A/m. Proponiamo tre missioni da considerare come pietre miliari antesignane del volo interstellare, che riflettono il costante miglioramento nella progettazione dell’astronave e l’aumento delle dimensioni della vela:

  • 2018 – 2030 – 2037
    Cintura di Kuiper (50 UA)
    Eliopausa (150 UA)

  • 2025 – 2066 – 2072
    Fuoco della Lente Gravitazionale (550 UA)
    Asse della Lente Gravitazionale (1.000 UA)

  • 2035 – 2085
    Nube di Oort (5.000 – 50.000 UA)

In termini di valore scientifico, un volo attraverso la Cintura di Kuiper sarà basato sulla miriade di scoperte effettuate dalle missioni New Horizons, e ne saranno necessarie parecchie per determinare le caratteristiche fisiche dell’Eliopausa.
La terza missione prevede numerosi obiettivi intermedi, studiati dall’astronave stessa.

(Qui a  sinistra appare la copertina del libro di Claudio Maccone che offre l’analisi più approfondita della missione al fuoco della lente gravitazionale del Sole). Delle tre pietre miliari sulla strada che porta al volo interstellare, la missione al fuoco della lente gravitazionale è particolarmente interessante. E’ il luogo dove la luce delle stelle fisse è messa a fuoco dal pozzo gravitazionale del Sole (come previsto da Albert Einstein nella Teoria della Relatività Generale), quindi dovrebbe essere un buon posto dal quale osservare gli esopianeti. Teoricamente tale fuoco non sarebbe puntiforme, ma coinciderebbe con l’asse focale, a cominciare da 550 UA (fuoco del Sole nudo, ndt), sebbene gli effetti perturbatori della corona solare apparentemente lo spingano indietro fino 700 UA (e anche oltre, perchè il fuoco si estende all’infinito). Nella figura qui sotto noi usiamo 600 UA come valore nominale. Un’astronave da A/m =100 con un perielio di 0,15 UA raggiunge questa distanza in 55 anni, uscendo dal Sistema Solare a una velocità di circa 19,4 UA l’anno. Se il perielio fosse pari a 0,2 UA, il tempo di volo aumenterebbe di circa il 25%. Al contrario, se il perielio fosse inferiore a 0,1 UA, allora la durata del volo sarebbe dimezzata. In questo caso noi potremmo raggiungere il fuoco della lente gravitazionale a 600 UA in 25 -30 anni.

Le pietre miliari che abbiamo proposto, indicano delle possibili missioni per il progetto 100YSS, antesignane del volo interstellare vero e proprio. Nel frattempo le vele solari diventeranno più sottili e la loro superficie più grande, dall’attuale 5x5m fino a 30x30m. I bracci estendibili diventeranno più leggeri e robusti, probabilmente  usando, negli stadi più avanzati, materiali ai nanotubi di carbonio. Mano a mano che la tecnologia avanza, la massa in relazione alla superficie della vela decresce e si passa dal livello di nano-astronave a quello di pico-astronave, cioè meno di 1 kg. Satelliti di questa stazza sono già in corso di studio e progettazione presso la Aerospace Corporation. Queste missioni antesignane del volo interstellare che proponiamo qui, seppure teoriche, sono realistiche. Col raddopio delle nostre capacità ogni 10 anni, possiamo spingerci sempre più lontano, al di fuori del Sistema Solare. Questa prospettiva suggerisce una specie di Legge di Moore per il volo spaziale, basata non sul valore di mercato, ma sulla comprensione del nostro posto nell’universo.

Previsioni a lungo termine

Le tre missioni appena proposte si devono considerare precorritrici del volo interstellare sia come pietre miliari che indicano obiettivi specifici per arrivare più lontano e più velocemente, sia come più alti livelli nella tecnologia delle vele che un giorno o l’altro ci condurrà fino alle stelle. Oggigiorno, raggiungere la significativa distanza di 1 anno luce, per non parlare di Alpha Centauri che dista 4,3 anni luce, sembra aldilà della capacità della vela solare fotonica, senza intervento di laser o altri raggi portanti. Comunque la nanotecnologia, la scienza dei materiali, e la robotica stanno avanzando cosi velocemente che questo obiettivo non deve essere lasciato da parte  né il suo studio rimandato ad altra data. C’è molto lavoro da fare per sviluppare la nanoastronave. Dobbiamo poter comunicare con essa  ed è necessario che l’energia per alimentare la strumentazione venga prodotta a bordo. Non abbiamo ancora risposte esaustive per queste necessità, sebbene siano già  disponibili soluzioni parziali nel campo dei LED, delle comunicazioni ottiche, dei generatori miniaturizzati a radio isotopi, e nanobot che usano precessi chimici e biologici. Anche senza sapere che forma prenderanno, noi scommettiamo che questi miglioramenti tecnologici rappresenteranno il modo migliore per estendere la presenza umana aldilà del Sistema Solare.

Il richiamo del volo interstellare non deve essere sottovalutato sia che la vita extra terrestre venga trovata nel nostro Sistema Solare o meno, gli Uomini vogliono capire qual’è il loro posto nell’universo. La straordinaria varietà di esopianeti ha stimolato il desiderio di trovare ed esplorare mondi abitabili che potrebbero ospitare forme di vita evolutesi independentemente da quelle terrestri.
La vastità dello spazio intimidisce, e il volo interstellare può sembrare tanto lontano dalle possibilità della nostra generazione quanto lo era il volo aerodinamico da quella di Da Vinci. Pensare in piccolo comunque può portare la vastita dell’universo alla nostra portata e la nanoastronave può estendere virtualmente la conoscenza umana in altri Sistemi Solari.

traduzione di ROBERTO FLAIBANI

Titolo originale: “Stepping Lightly to the Stars“, pubblicato su The Planetary Report vol.32, #1

Autori: Louis Friedman,  Tom Heinsheimer e Darren Garber

25 giugno 2012 Posted by | Astrofisica, Astronautica, Scienze dello Spazio, Volo Interstellare | , , , , , , , , | Lascia un commento

In memoria di un pioniere dell’astronautica

Il fisico Les Shepherd ha lasciato amici in tutta la comunità astronautica. Claudio Maccone, che ha lavorato con Shepherd in numerose occasioni, si è subito offerto di comunicarci il suo ricordo di quest’uomo eccezionale, che ha aiutato con i suoi standard di eccellenza e il suo costante supporto molti giovani scienziati agli inizi della loro carriera nelle scienze dello spazio (Paul Gilster).

Un giovanotto (44 anni, vale a dire “giovane” secondo gli standard dell’IAA, l’Accademia Internazionale di Astronautica) si unisce al Comitato per l’Esplorazione dello Spazio Interstellare (ISEC) dell’IAA guidato dal Les Shepherd e Giovanni Vulpetti.

Questo accadde  a Washington, al World Space Congress, conosciuto anche come il 43° International Astronautical Congress (IAC), (28 agosto-5 settembre 1992).

Allora lavoravo a Torino presso l’Alenia Spazio SpA, e avevo questo amore segreto per le future missioni spaziali interstellari (“segreto” in quanto nella mia società ovviamente nessuno era interessato). Mi consultai quindi con il mio vecchio amico e “maestro” (è più grande di me) Giovanni Vulpetti, che lavorava alla Telespazio di Roma in una posizione simile a quella da me occupata alla Alena Spazio di Torino. In Italia le due società spaziali erano allora rivali, in concorrenza per i fondi sia dell’ESA che dell’ASI, e a volte anche per quelli della NASA, e questo rendeva le nostre conversazioni “rischiose”. Giovanni disse: “Se vieni a Washington a tue spese (Alenia non mi avrebbe mai finanziato una missione legata all’esplorazione interstellare) ti presenterò a Leslie Shepherd,  fisico di altissimo livello e Presidente dell’ISEC. All’epoca avevo appena organizzato presso il Politecnico di Torino la prima conferenza mai tenuta sulla missione spaziale “FOCAL verso le 550 AU”  (18 giugno 1992) (fig. 1) e così decisi di provare.

Mi recai a Washington, dove incontrai per la prima volta Les Shepherd. Era un aristocratico della fisica, sapete, ma con un senso dell’umorismo tipicamente britannico. Dopo che Giovanni ci ebbe presentati, a un certo punto l’orgoglio mi spinse a dirgli che avevo ottenuto il mio Ph.D. presso il Dipartimento di Matematica del King’s College, Università di Londra.

Il dr. Leslie Shepherd rispose: “Ti perdono. Io ho ottenuto il mio Ph.D. presso lo University College di Gower Street!”, e naturalmente questo mi tappò la bocca, poiché mi ero completamente dimenticato la secolare rivalità tra i due più famosi college dell’Università di Londra. Più tardi devo avere pensato qualcosa come: “Accidenti…, l’ho appena conosciuto e ho subito rovinato la mia reputazione di fronte a questo Aristocratico Britannico della Scienza”. Ma questo non accadde, grazie all’apertura mentale di Les e di Giovanni. Anzi, all’epoca del Congresso dell’IAF tenutosi  nel 1997 a Torino (la mia città) ero già arrivato ad occupare la posizione di Segretario dell’ISEC, di cui Les Shepherd era Presidente e Giovanni Vulpetti Vicepresidente. Sfortunatamente, durante la ristrutturazione dell’IAA avvenuta intorno al 2000  l’ISEC venne alla fine smantellata , e dovette essere ….  “reinventata” sotto altre forme.

Fig. 1: la prima conferenza mai tenuta sulla missione spaziale “FOCAL verso le 550 AU”, Politecnico di Torino, 18 giugno 1992.

L’equazione relativistica del razzo sviluppata da Jakob Ackeret: qualcosa che Les e io avevamo in comune…

Quando ero uno studente di fisica a Torino (1967-72) dovevo superare un esame chiamato “Meccanica Superiore”. Si trattava naturalmente della meccanica classica (rispetto alla meccanica quantistica) ed il libro di testo era quello su cui intere generazioni di fisici avevano imparato l’argomento, “Meccanica Classica”, di Herbert Goldstein. Alla pagina 213, l’esercizio 10 era il mio preferito: l’equazione relativistica del razzo sviluppata dall’ingegnere aeronautico svizzero Jakob Ackeret (1898-1981) da lui pubblicata in tedesco nell’aprile del 1946 negli Helvetica Physica Acta. Les Shepherd una volta mi disse che anche lui aveva ammirato quell’equazione dal primo momento che l’aveva vista, poiché essa indicava chiaramente che la relatività (speciale) di Einstein non riguardava solamente i fisici delle particelle, ma poteva essere anche applicata al volo interstellare relativistico! Non solo, ma Les mi disse che era stato lui a far tradurre l’articolo di Ackeret dal tedesco in inglese, facendolo quindi pubblicare sul Journal of the British Interplanetary Society, Vol 6 (1947), pagg. 116-123. Grazie, Les!

Aneddoto # 1: quanto poteva essere testardo un aristocratico britannico nel rifiutare un articolo che non gli piaceva.

Dopo il 1992 Les, Giovanni e io fummo coinvolti nella selezione dei testi da accettare per la Sezione ISEC del Congresso dell’IAF (come allora si chiamava l’attuale IAC). Ricordo (doveva trattarsi del Paris Spring Meeting del 1994) che eravamo incerti se accettare o rifiutare un articolo per l’IAF che si doveva tenere a Gerusalemme tra il 9 e il 14 ottobre di quell’anno (all’epoca la mia posizione in Alenia era migliorata e così potevo finalmente partecipare all’IAF di Gerusalemme a spese della società: fantastico!). Devo confessare che cercavo sempre di accettare gli articoli anche se non mi piacevano. Questo si doveva a un mio “pregiudizio” che, a volte, i giovani non hanno le risorse economiche per potersi registrare e poi recare alle grandi conferenze, e ricevono il finanziamento dalle loro società soltanto se il loro articolo viene accettato.

Les e io stavamo dunque educatamente discutendo un caso simile, e io ero convinto che sarei riuscito a convincerlo ad accettare l’articolo usando le “educate tecniche britanniche di persuasione” che avevo appreso al King’s College di Londra durante il mio Ph.D.  Beh, mi ero sbagliato. “Mi hai dato un sacco di buone ragioni” – disse Les (ricordo ancora le sue parole) – per rifiutare questo articolo”, e riuscì a controbattere tutti i miei argomenti uno ad uno, finché alla fine l’articolo fu in effetti rifiutato. Mamma mia…. sapete, quella era la generazione dei Difensori dell’Impero Britannico che avevano vinto la Seconda Guerra Mondiale….

Aneddoto # 2: come un aristocratico britannico poteva essere abbastanza amichevole da “insegnare” le parole di Fred Astaire ad un nuovo arrivato italiano…

Prima di andare avanti, per favore cliccate qui e ascoltate questa canzone. Beh, questo è il famoso Fred Astaire nel film “Follow the Fleet” (1936), la canzone è “We saw the Sea”. Les Shepherd aveva all’epoca 18 anni, per cui è abbastanza naturale che avesse imparato a memoria le parole della canzone. Ma non è così naturale che potesse insegnarle molti anni dopo ad un italiano appena arrivato che stava imparando l’inglese, come me.  Per comprendere meglio la situazione dovete tenere presente che Internet non è diffuso da molto tempo. Dunque, una volta verso la fine degli anni ’90 Les e io stavamo parlando e credo di avergli detto che, per migliorare il mio inglese colloquiale, mi piaceva guardare in TV i film anglo-americani, poiché le canzoni non potevano essere tradotte in italiano e quindi erano quelle originali. Aggiunsi poi che amavo particolarmente quella che avete appena ascoltato. Bene, avevo appena finito di parlare, quando Les mi insegnò immediatamente le parole. Le sapeva tutte a memoria, cosa per me incredibile! Che grande Amico è stato!

Aneddoto # 3: come un aristocratico britannico e sua moglie siano stati così gentili da perdonare a persone di un ceto sociale inferiore la loro mancanza di cultura…..

Per finire un racconto che riguarda Les Shepherd, sua moglie e mia madre. Non mi vergogno affatto di confessare che provengo da una famiglia del ceto popolare: mio padre era un operaio della Pirelli, mia madre una sarta, e non parlavano alcuna lingua straniera. Ma ero il loro unico figlio, mi amavano e hanno sempre appoggiato in tutti i modi la mia fame di conoscenza, fino a farmi arrivare al King’s College di Londra per il mio Ph.D in matematica.

Ma torniamo a Les e a sua moglie. Un giorno dovettero chiamarmi per qualche ragione al telefono dall’Inghilterra. Io non mi trovavo a casa, stavo lavorando all’Alenia, e al telefono rispose mia madre. Udì una signora che parlava inglese, e non riusciva a capirla. A un certo punto, tuttavia, mia madre udì questa parola italiana “Pastore… Pastore… Pastore” e intanto al telefono la signora continuava a parlare in inglese. Quando tornai a casa dopo il lavoro, mia madre mi riferì la strana telefonata, che rimase un mistero anche per me. Fino a quando non  ho incontrato gli Shepherd alcuni mesi dopo, e la signora mi disse: “Sai, abbiamo cercato di chiamarti al telefono, ma tua madre non ha capito e ha messo giù – Sheperd in italiano vuol dire Pastore!

Traduzione di Donatella Levi

Titolo originale “Remembering an Astronautical Pioneer“ di Claudio Maccone
pubblicato su Centauri Dreams il 29 febbraio 2012

12 marzo 2012 Posted by | Astronautica, Scienze dello Spazio, Volo Interstellare | , , , | Lascia un commento

Che fine hanno fatto i soldi del Pentagono?

Il fatto che il Pentagono finanzi i viaggi interstellari è, già di per se,  una notizia straordinaria. Ma c’è di più:  un gruppo di scienziati giovani e disinvolti, il rilancio di una vecchia gloria dell’astronautica, fughe di notizie, documenti che appaiono e scompaiono….. ma che cos’è, una spy – story?  No, sono i primi  vagiti del neonato movimento per il volo interstellare. Poveri noi.

Scenario, personaggi e interpreti.

Nel 2009 prende vita Project Icarus, frutto della collaborazione tra due ONG dello Spazio: la British Interplanetary Society (BIS), prestigiosa associazione attiva fin dagli anni ’30, che ha contato tra i suoi iscritti Sir Arthur C. Clarke, e l’americana Tau Zero Foundation (TZF), col suo presidente Marc Millis, ex dirigente NASA, Paul Gilster e il suo blog Centauri Dreams, e l’italiano Claudio Maccone, padre della missione Focal, il più importante tra i progetti antesignani al volo interstellare. Lo scopo di Project Icarus è quello di aggiornare e approfondire in cinque anni un progetto precedente, portato a termine dalla sola BIS negli anni ’70 e chiamato Project Daedalus, il cui obiettivo era di effettuare la progettazione di massima di una sonda interstellare robotizzata capace di raggiungere un sistema stellare vicino al nostro e di rimandare indietro i dati raccolti, il tutto in un periodo di tempo non più lungo di una vita umana.

I paesi occidentali sono in piena crisi economica e ne risentono anche i programmi spaziali: il presidente Obama chiede al mondo scientifico di rinunciare spontaneamente alle missioni più costose, rimanda ancora lo sbarco su Marte,  e si dichiara favorevole a una missione verso un asteroide, pensando, senza dirlo, al fly-by di Apophis nel 2029. Cresce il malcontento e c’è perfino chi accusa la NASA, dopo decenni passati a occuparsi di Shuttle e a costruire la ISS, di aver dimenticato la sua vocazione all’eplorazione per trasformarsi in una sorta di agenzia di recapito pacchi!

C’è bisogno di segnali forti, di una nuova strategia a lunga scadenza. Sarà la DARPA, l’agenzia per l’alta tecnologia del Pentagono, nella persona di David Neyland, a farsi interprete di questo sentimento, coinvolgendo l’Ames Research Center della NASA e un folto gruppo di privati (imprenditori dell’alta tecnologia, rappresentanti di varie ONG dello Spazio, perfino un paio di scrittori  di fantascienza)  in uno studio sul volo interstellare, che presuppone un ambiziosissimo approccio multidisciplinare proiettato cento anni nel futuro, e forse oltre, chiamato 100 Year Starship Study (100yss). Lo studio si è concluso con una fragorosa manifestazione finale, il 100yss Public Symposium, definita da molti “la Woodstock dell’interstellare”, svoltasi a Orlando, in Florida, alla fine di  settembre 2011. La DARPA, inoltre, mette in palio un premio di 500.000 dollari, da devolvere all’ente che dimostri di essere in grado, meglio di ogni altro, di dar vita a una organizzazione capace di acquisire, da qui a un secolo, il bagaglio di conoscenze di base e relative tecnologie e quant’altro è necessario, secondo il citato approccio multidisciplinare, al fine di costruire un’astronave in grado di effettuare un volo interstellare.

Cronaca recente

Il vincitore del premio, dice la DARPA, sarà scelto tra gli enti rappresentati come relatori alla manifestazione di Orlando (regolari “call for papers” erano stati emanati in  precedenza), e la sua identità resa nota il giorno 11/11/11.

(nella foto: Kelvin Long)Approfittiamone per fare un balzo temporale all’indietro e annotare la prima stranezza. All’inizio di agosto era apparsa su Centauri Dreams la lieta notizia che, grazie all’intraprendenza dei suoi dirigenti Kelvin Long, Richard Obousy e Andreas Tziolas, dal Project Icarus aveva preso vita una nuova, più grande associazione no-profit, Icarus Interstellar, che non solo avrebbe garantito lo svolgimento del progetto originale fino alla sua naturale scadenza del 2014, ma avrebbe organizzato e supportato numerosi altri progetti ed eventi. Fin qui tutto bene, se non che i tre di cui sopra decidono di presentare la nuova sigla a Orlando in piena competizione per il premio DARPA con  chiunque, perfino con i padri fondatori BIS e TZF! Tradimento? No, pare che la logica sia un’altra: i tre staff sono già molto sovrapposti, nel senso che molti collaboratori ricoprono incarichi in più di una delle organizzazioni, e si vorrebbe offrire al selezionatore la possibilità di scegliere tra diversi approcci al volo interstellare invece che fare blocco su di un’unica formula. Castelli in aria? Bizantinismi? Lo vedremo.

(nella foto: Richard Obousy) Intanto la fatidica data del 11/11/11 è passata e DARPA non ha fatto sapere nulla sull’identità del vincitore. Si vocifera che il processo di selezione si stia rivelando più complicato del previsto e che l’annuncio potrebbe essere rinviato di parecchie settimane. Raffreddati i bollenti spiriti, ci stiamo ormai preparando a una lunga attesa, quando i tre iperattivi di Icarus rimettono improvvisamente la palla in gioco con una mossa audace che potrebbe avere esiti imprevisti. Il 10 dicembre, infatti, il quarto numero della newsletter di Icarus presenta orgogliosamente la nascita di una alleanza con due nuove organizzazioni: Foundation  for Enterprise Development (FED) e Dorothy Jemison Foundation for Excellence (DJF).

(nella foto: Andreas Tziolas) In effetti le competenze della FED nel mondo imprenditoriale, nel lavoro cooperativo e nell’amministrazione e gestione aziendale sono preziose per un ente che nasce ora con l’obiettivo di durare almeno 100 anni. Altrettanto si può dire per DJF e le sue competenze nell’insegnamento, la didattica,  la psicologia infantille e dell’adolescenza. Ma queste potenti alleanze hanno un prezzo. Se da una parte Icarus mantiene il  controllo su tutti gli aspetti tecnico-scientifici dell’impresa, dall’altra deve però rinunciare alla leadership: l’immagine pubblica di Mae Jemison, presidente della DJF, è infatti così vivida da surclassare completamente  quella dei tre direttori di Icarus, per quanto dinamici e simpatici possano essere.

(nella foto: Mae Jemison) Ma chi è Mae Jemison? E’ la prima donna afro-americana ad aver volato nello spazio (Shuttle Endeavour – 1992). Laureata in Ingegneria e Chimica alla Stanford  University e ottenuto un dottorato in medicina alla Cornell, passa due anni e mezzo in Africa Occidentale con il Peace Corps. Oltre all’inglese parla russo, giapponese e swahili. Dimostra capacità imprenditoriali creando diverse società e fondazioni dedicate allo sviluppo scientifico e tecnologico dei paesi del terzo mondo, promuovendo modelli di sviluppo sostenibili, sempre con molta attenzione ai problemi dell’ambiente, e trova perfino il tempo per apparire in un episodio di Star Trek – The Next Generation.

Da allora fino al 31 dicembre non succede nulla. Ma il giorno dopo, domenica primo gennaio, Centauri Dreams esce con un breve comunicato in cui ci  si congratula con i  tre di Icarus e la Jemison per la vittoria, ma dopo poche ore, e purtroppo prima che noi si riesca a leggerlo per intero, il documento viene ritirato e cancellato dal web! Ne rimane solo una traccia sul nostro feed reader, abbastanza comunque per chiedere  chiarimenti, e Paul Gilster ci spiega di aver ritirato l’articolo su richiesta dei vincitori, che hanno bisogno di tempo per presentarsi con un comunicato stampa congiunto. Tanta generosità viene mal ripagata perchè lo scoop lo fa Sharon Weinberger di BBC News quattro giorni dopo, basandosi su una fotocopia della notifica di vittoria inviata dalla DARPA alla Jemison a riscontro della sua proposta intitolata “An Inclusive Audacious Journey Transforms  Life Here on Earth & Beyond“. Subito dopo la BBC, danno la notizia anche Popular Science e Discovery News.

Epilogo

Ma in tutto questo rincorrersi di dichiarazioni ufficiali e ufficiose, notifiche originali e loro fotocopie, articoli che appaiono e scompaiono, la DARPA che fa? Assolutamente nulla: i portavoce si nascondono dietro un muro di no comment, e l’agenzia semplicemente ignora la fuga di notizie, giustificando il suo silenzio con il rispetto delle procedure burocratiche previste in questi casi. Quindi non saranno rilasciate notizie di nessun genere fino a che l’iter non sarà concluso.

(nella foto: Marc Millis) Marc Millis, presidente della Tau Zero Foundation, che al 100yss Symposium veniva dato in pole position, sa come uscire di scena con eleganza. Così commenta, infatti, su TDZ Friday: “Per l’esperienza che ho della burocrazia federale, tutto ciò è molto strano …….. Un tale livello di segretezza lascia intendere un messaggio sbagliato, dà l’impressione che ci sia qualcosa da nascondere. Io comunque non mi propongo affatto di scavare più a fondo in questa stramberia e non ho nessuna intenzione di contestare la decisione della DARPA, tanto per essere chiaro ed esplicito.” E fa sapere di considerare un’eventuale apertura delle ostilità tra TZF e i vincitori “un disservizio per la comunità” e anzi di essere in attesa, nei prossimi mesi, di qualche proposta di collaborazione da parte di Jemison e soci.

(nella foto: Paul Gilster) Paul Gilster, anch’egli socio fondatore di TZF, dirige dal 2005 Centauri Dreams, un blog diventato ormai  una vera e propria icona del movimento per il volo interstellare. Informatissimo, imparziale, elegante nella forma, arriva a pubblicare anche una decina di articoli a settimana. Gilster fa bene attenzione a mantenersi super partes, accentuando le caratteristiche di servizio del suo blog. Anche se formalmente collegato con la fazione perdente, la sua stella brilla vivida, seconda solo a quella della Jemison.

Speriamo che le nebbie della burocrazia si disperdano presto, riportando aria limpida sul neonato movimento, e che la Jemison sappia diventare quel leader carismatico, pragmatico ed ecumenico di cui c’è un forte bisogno.

ROBERTO FLAIBANI

23 gennaio 2012 Posted by | Astronautica, Scienze dello Spazio, Volo Interstellare | , , , , , , , | Lascia un commento

Alle frontiere della scienza della propulsione

Anticamente gli ominidi nostri progenitori popolarono l’intero pianeta alla velocità consentita dai loro piedi. Solo nel diciottesimo secolo, con la rivoluzione industriale e l’invenzione del motore a vapore, per la prima volta la capacità di movimento dell’Uomo fu svincolata dai suoi limiti fisici, o da quelli di animali opportunamente addestrati. Un secolo dopo, un motore a combustione interna a 4 cilindri rese possibile il primo volo atmosferico. Ma il progresso scientifico avanzava a ritmo serrato, e poco più di 60 anni dopo lo storico volo dei fratelli Wright, un motore a razzo mise in orbita Gagarin. Un altro mezzo secolo e siamo ai giorni nostri, e il problema della propulsione è sempre di importanza cruciale per tutti coloro che si occupano di Scienze dello Spazio.

Il motore a razzo a propellente chimico è tuttora indispensabile come lanciatore, e chissà per quanto tempo ancora manterrà tale primato. Ma non appena si esce dal sistema Terra-Luna, i grandi limiti di questo sistema di propulsione, cioè la necessità di portare con se il propellente e gli elevati consumi, appaiono in tutta la loro evidenza perché rendono difficilmente praticabile qualsiasi missione ad alto delta-V. A tutt’oggi sono disponibili altri due sistemi di propulsione spaziale: la vela solare e il motore elettrico a ioni. Il maggior limite della vela solare sta nel calo di potenza che si registra allontanandosi dal Sole: oltre l’orbita di Giove la capacità propulsiva della vela si riduce quasi a zero. Il motore elettrico a ioni (detto anche SEP, se alimentato a energia solare), presenta caratteristiche ibride: pur essendo esso stesso un motore a razzo, come la vela solare produce una spinta debole, ma erogabile per lunghi periodi di tempo grazie al bassissimo consumo di propellente. Ma proprio nel propellente sta il tallone d’Achille del motore a ioni: si tratta infatti del gas xeno estremamente raro sulla Terra e quindi assai costoso.

La scienza della propulsione

La terna razzo chimico-SEP-vela solare sembra in grado di garantire all’Uomo accesso completo al Sistema Solare, e di costituire così il balzo successivo nel percorso ideale che va dalla trazione animale, al vapore e poi al motore a combustione interna. Il prossimo balzo sarà evidentemente il volo interstellare. Tutto lascia prevedere che questa nuova conquista tecnologica sarà preceduta e supportata, come si era già parzialmente verificato in passato nella storia della propulsione, da una teoria scientifica radicalmente nuova, perchè in questa occasione è la Relatività Generale, uno dei caposaldi della Fisica moderna, a porre alle prestazioni di qualsiasi tecnologia un limite insuperabile: la velocità della luce.

Ed è dalla coscenza di questo claustrofobico tetto che Marc Millis ed Eric Davis hanno tratto ispirazione per realizzare Frontiers of Propulsion Science, un volume di oltre 700 pagine, edito nel 2009 da American Institute of Aeronautics and Astronautics. Si tratta di una sorta di compilation di circa 40 teorie scientifiche rivoluzionarie che potrebbero portare, se correttamente sviluppate, alla nascita delle tecnologie di propulsione particolarmente innovative di cui si sente bisogno in questo momento storico. A questo proposito Millis lamenta che i recenti progressi della Fisica nella comprensione di fenomeni come la materia e l’energia oscure rimangono spesso confinati nell’ambito delle curiosità scientifiche, perché gli scienziati stessi tendono a valutare i dati cosmologici solo in relazione alla nascita e al destino dell’Universo. Se invece gli stessi dati fossero esaminati in un contesto differente, come per esempio quello del volo spaziale, potrebbero portare a nuove idee che altrimenti andrebbero perdute. Nonostante alcune di queste teorie scientifiche sembrino appartenere al regno della fantasia piuttosto che a quello della scienza, Millis fornisce massime garanzie di serietà: tutti i lavori sono stati accuratamente verificati prima della pubblicazione da scienziati indipedenti e di provata affidabilità (il processo è chiamato peer reviewing); poi catalogati in base a quattro livelli di avanzamento, seguendo rigorosamente il metodo scientifico: (1) definizione del problema, (2) raccolta dati, (3) articolazione dell’ipotesi, (4) verifica dell’ipotesi; e infine raggruppati in tre categorie: propulsione senza propellente, conversione dell’energia, più veloce della luce.

Non è questa la sede adatta per un esame approfondito di nuove idee, ma voglio fare eccezione per due sistemi di propulsione famosi presso gli appassionati di fantascienza: il motore a curvatura (warp drive), studiato da Miguel Alcubierre della National Autonomous University of Mexico, e il cosidetto “traversable wormhole”, studiato da Matt Visser della Washington University di Saint Louis, che chiamerei piuttosto stargate, un termine molto più popolare che non necessita di traduzione. Basandosi sulla geometria di Riemann, usata da Einstein per la Relatività Generale, è stato dimostrato che il limite della velocità della luce può essere eluso manipolando lo spaziotempo stesso. In questa ipotesi, il motore a curvatura crea una bolla spaziotemporale attorno all’astronave, in modo che sia la bolla a muoversi, mentre la nave resta immobile al suo interno. Stabilire a quale velocità può muoversi una bolla spaziotemporale è di pertinenza della Teoria del Big Bang. Lo stargate invece stabilisce una specie di tunnel-scorciatoia con la località di arrivo. Sono materia di discussione le implicazioni dei paradossi temporali, la quantità di energia richiesta, il fatto che questa energia debba essere “negativa”, e il lasso di tempo in cui può essere usata. Sembra invece assodato il fatto che lo stargate sia di gran lunga più efficiente del warp drive nell’uso dell’energia. Infatti lo stargate produce un collegamento intrinsecamente più veloce della luce, mentre la misura dell’energia negativa impiegata determina la dimensione del tunnel. Al contrario, la velocità prodotta dal motore a curvatura dipende dalla quantità di energia erogata, solo che, con una spesa di 1046 joules di energia negativa, lo stargate apre un tunnel di 100 metri di diametro, mentre il motore a curvatura raggiunge solo l’uno percento della velocità della luce!

Lasciamo ai lettori il piacere di approfondire queste tematiche e andiamo oltre citando direttamente Millis: “Considerate le anomalie nelle traiettorie delle sonde che viaggiano nello spazio profondo, la scoperta della materia e dell’energia oscure, e altri problemi scientifici non ancora risolti, è chiaro che ci attendono nuove scoperte nel campo della Fisica. Non è chiaro invece se queste scoperte ci riveleranno anche nuovi metodi per percorrere distanze interstellari più efficenti dei razzi e delle vele solari. Il progresso non si ottiene arrendendosi al fallimento. Con una combinazione di lungimiranza, rigore imparziale e amore del rischio, vedremo accumularsi risultati utili e affidabili. Ad astra incrementis.”

Verso le stelle, a passi sempre più lunghi

E’ questo il motto della Tau Zero Foundation, associazione senza fini di lucro creata da Marc Millis anni or sono, insieme a un gruppo di professionisti e scienziati tra cui il fisico-matematico Claudio Maccone, ben noto ai nostri lettori come alfiere della missione FOCAL, e Paul Gilster, fondatore di Centauri Dreams, ora canale ufficiale di informazione della Fondazione, un blog che è spesso per noi fonte di ispirazione. Nel vasto panorama delle “ONG dello Spazio” statunitensi, in effetti mancava qualcuno che si assumesse l’onere e l’onore di porsi un obiettivo di incerta, forse lunghissima scadenza, ma anche di altissimo profilo, quale la nascita di una nuova Fisica che supporti le tecnologie rivoluzionarie indispensabili per realizzare, un giorno, il volo interstellare. A questo scopo, nessuno sembra più adatto di Marc Millis che, dal 1997 al 2002 diresse il programma “Breakthrough Propulsion Phisics” della NASA con tale successo da conquistare la copertina di Popular Science.

Erano altri tempi, in cui sembrava davvero che nelle grandi agenzie spaziali ci fosse un interesse genuino per il volo interstellare, tanto che l’allora amministratore della NASA Dan Goldin chiedeva a gran voce una sonda automatica capace di raggiungere un’altra stella. Ma era un fuoco di paglia e nel 2002 il programma di Millis fu cancellato e lui stesso lasciò l’Agenzia per creare Tau Zero Foundation, che non si rivolge più al settore pubblico, bensì a quello privato delle donazioni e degli istituti filantopici, offrendo loro di dare supporto a un programma scientifico estremamente lungimirante, ma serio, credibile e minuziosamente organizzato in una sequenza di obiettivi parziali a breve termine.

Dal punto di vista organizzativo la Fondazione sembra essere in mezzo al guado: è operativa già da un anno una importante joint-venture con la British Interplanetary Society chiamata Project Icarus; la sopravvivenza eeconomica è garantita da piccole donazioni e si sta pianificando una campagna di tesseramento; la rete dei professionisti e degli scienziati esiste in nuce, ed è già al lavoro; la presenza sul web è garantita da un bel sito in via di aggiornamento. La strada è lunga, ma Millis, Maccone, Gilster e soci non mancano certo di determinazione. E poi, di giorno in giorno crescono le possibilità che Alcubierre o Visser o qualcuno degli altri ci faccia una sorpresa, e….

Fonti:

“Progress in revolutionary propulsion Physics” di M.G.Millis in arXiv.org

“Tau Zero  takes aim at interstellar propulsion” di P. Gilster in Discovery News

Per le immagini si ringraziano: NASA, JAXA, Wikipedia, Tau Zero Foundation

10 marzo 2011 Posted by | Astrofisica, Astronautica, Scienze dello Spazio, Volo Interstellare | , , , , , | Lascia un commento

Missione FOCAL: viaggio ai fuochi gravitazionali del Sole e dei Pianeti

La prima dimostrazione sperimentale della Teoria della Relatività Generale fu eseguita da Arthur Eddington nel 1919, quando riuscì a misurare gli effetti del campo, o meglio del pozzo gravitazionale del Sole sulla luce delle stelle ad esso vicine. La massa del Sole, infatti, genera una distorsione del tessuto dello spaziotempo in grado di deflettere le onde elettromagnetiche provenienti da una “sorgente”astronomica di qualsiasi tipo (esopianeti, stelle, galassie, o altro), e farle convergere in un punto detto “fuoco”, dove l’informazione da esse veicolata risulta intensificata, amplificata, ingrandita. Per le evidenti analogie con le lenti ottiche, questo fenomeno è stato chiamato “lente gravitazionale”.

Numeri, esempi e un po’ di storia

L’asse focale è la linea immaginaria che unisce la sorgente, il centro del Sole, e il fuoco, in modo che la sorgente rimanga perfettamente occultata dal disco solare rispetto al fuoco stesso. Il fuoco del “sole nudo”, così chiamato perché la sua posizione è stata calcolata senza tener conto di nessun effetto di distorsione o attenuazione del segnale sorgente, si trova alla bella distanza di 550 Unità Astronomiche (UA), ben oltre i confini del Sistema Solare. Dato che il potere della lente gravitazionale del Sole (GLS) si applica alle onde elettromagnetìche provenienti da tutte le infinite sorgenti dell’Universo, si può immaginare una sfera focale del sole nudo, di raggio pari a 550 UA, composta da un numero infinito di fuochi.

Niente di costruito dall’Uomo è mai arrivato così lontano, nemmeno l’intramontabile Voyager 1, che ha da poco raggiunto le 110 UA. Ma varrebbe davvero la pena di andarci, perchè le prestazioni promesse dalla GLS sono assolutamente terrificanti: si prevede di ottenere un’amplificazione del segnale sorgente dell’ordine di dieci all’ottava potenza, e oltre! La Natura ci offre, a poco più di tre giorni-luce dalla Terra (a tanto equivale, infatti, la distanza di 550 UA) uno strumento d’indagine di ineguagliabile potenza. Anche se con l’attuale tecnologia non siamo in grado di dare il via a una missione al fuoco gravitazionale, è opinione comune tra gli scienziati del settore che tra una ventina d’anni tale missione potrebbe essere effettivamente messa in calendario e portata a termine entro la fine del secolo.

A parte lo stesso Einstein, che nel 1936 pubblicò un lavoro specifico sulle lenti gravitazionali, da allora nella comunità scientifica nessuno si occupò più del problema fino al 1964, quando Sidney Liebes, della Stanford  University, promulgò la teoria matematica della lente gravitazionale. Nel 1979 Von Eshleman, anch’egli della Stanford, per primo suggerì la possibilità di lanciare una missione diretta al fuoco della GLS. Nello stesso anno fu pubblicata dal CalTech-JPL la tesi di dottorato di David Sonnabend, intitolata “To the Solar Foci”, che però si occupava di argomenti relativi alle onde gravitazionali e ai neutrini, estranei agli obiettivi di questo articolo. Nel 1987, nel corso della Seconda Conferenza Internazionale di Bioastronomia, Frank Drake, uno dei pionieri del SETI, delineò il profilo della missione suggerita da Von Eshleman, che sarebbe stata più tardi denominata “missione FOCAL”. Tra i presenti c’era anche il fisico-matematico Claudio Maccone, all’epoca ricercatore presso l’Alenia Spazio e oggi Direttore Tecnico per l’Esplorazione Scientifica dello Spazio presso la IAA di Parigi. Nel 1992 Maccone organizzò, presso il Politecnico di Torino, la prima conferenza internazionale interamente dedicata a FOCAL, denominata “Space Missions and Astrodynamics I”. L’anno successivo, a nome di un vasto numero di colleghi europei e americani, propose ufficialmente la missione all’ESA, ricevendo il pubblico encomio del Direttore dei Programmi Scientifici dell’Agenzia, Roger Bonnet, ma nessun finanziamento. Da allora Maccone ha costantemente approfondito e allargato la ricerca sulla GLS, e arricchito il profilo della missione FOCAL. Il volume “Deep Space Flight and Communications: Exploiting the Sun as a Gravitational Lens” (Springer/Praxis, 2009), costituisce la sintesi del lavoro di questi ultimi vent’anni.

La missione FOCAL in tre tappe: 550 UA, 1000 UA, 17000 UA

Nella lente gravitazionale, la deflessione subita dalle onde elettromagnetiche non è uniforme, ma dipende dalla loro distanza dal Sole: quelle che passano radenti al disco solare vengono deflesse più intensamente di quelle che passano più lontano, ma andranno tutte a concentrarsi lungo l’asse, seppure a distanze diverse, creando infiniti nuovi fuochi, ognuno corrispondente a una frequenza d’onda via via più bassa. Alla sfera di fuochi del sole nudo, si aggiunge quindi un numero infinito di nuove sfere focali concentriche. In pratica, a partire da 550 UA in avanti, qualsiasi punto dello spazio è un fuoco gravitazionale e quindi la sonda FOCAL dovrà essere progettata ed equipaggiata considerando la sfera focale del sole nudo non come l’obiettivo, ma come la prima tappa di un viaggio di ricerca che potrebbe concludersi ben più lontano.

La missione FOCAL

Infatti, a complicare le cose ci si mette la Corona solare, la zona più calda e turbolenta dell’atmosfera del Sole, composta essenzialmente da plasma, le cui fluttuazioni creano sulla luce in arrivo dalla sorgente un effetto divergente che si oppone a quello convergente esercitato dalla GLS. Il risultato è che tutto il sistema delle sfere focali concentriche slitta allontanandosi dal Sole: così a 650 UA troviamo il fuoco per la frequenza di 500 GHz; a 763 UA il fuoco per i 160 GHz del CMB, la cosidetta “radiazione cosmica di fondo”; e infine a 1000 UA il fuoco per i 60 GHz. Va precisato, comunque, che non esiste ancora un modello matematico pienamente soddisfacente della Corona solare, quindi con l’aumentare delle conoscenze i dati potrebbero cambiare.

Nell’ultimo studio di Maccone, presentato a Praga pochi mesi orsono, nel corso dell’annuale Congresso Internazionale di Astronautica, si prospetta l’estensione della missione fino a 17000 UA. Questa dilatazione delle distanze è dovuta al fatto che Maccone, accogliendo un suggerimento proveniente dai lettori di Centauri Dreams (vedi blogroll), ha allargato l’analisi anche alle lenti gravitazionali dei pianeti del Sistema Solare. I suoi calcoli indicano che la sfera focale di Giove, situata a 6100 UA, sarà la prima ad essere raggiunta dalla nostra sonda nel prolungarsi del suo viaggio di allontanamento dal Sole. A 13525 UA incontriamo la sfera focale di Nettuno, prima di quella di Saturno (14425 UA), poi quella della Terra (15375 UA), prima di quella di Urano e Venere, fino a 17000 UA.

Le lenti planetarie sono ovviamente molto meno potenti della GLS, ma presentano alcune caratteristiche che le rendono degne di indagini più approfondite. Prima di tutto muoversi tra 1000 e 17000 UA significa operare ben addentro la cosidetta Nube di Oort, vastissima zona inesplorata, da dove si dice provengano le cosidette comete “esterne”, di lungo periodo. Una prima esplorazione della Nube, anche se parziale e sommaria, avrebbe un grande valore scientifico. Secondo, le lenti planetarie non risentono di effetti distorsivi simili a quelli della Corona solare. Infine, se il Sole può considerarsi immobile nel sistema delle sfere focali, i pianeti invece si muovono lungo le loro orbite. E con essi si muovono anche le lenti loro associate dando vita, agli occhi dell’osservatore, a un vero e proprio carosello di immagini fortemente ingrandite di oggetti astronomici d’ogni genere.

Ma lasciamo che sia lo stesso Maccone a concludere: ”ripensando al lavoro svolto finora sulle possibilità di un vero volo interstellare, semba lecito dire che gli studiosi delle missioni dirette ad Alpha Centauri, nello sforzo di coprire in un sol balzo quei 4,37 anni-luce, saltano a pie’ pari tutto quello che si trova a soli tre mesi-luce, come la sfera focale della Terra.”

Fonti: Centauri Dreams, “Deep Space Flight and Communications: Exploiting the Sun as a Gravitational Lens” (Springer/Praxis, 2009), Wikipedia

20 gennaio 2011 Posted by | Astrofisica, Astronautica, missione FOCAL, Scienze dello Spazio, Volo Interstellare | , , | 8 commenti

Alla ricerca di Pandora, tra manovre di bilancio e mine vaganti

I primi pianeti extrasolari (esopianeti)  furono scoperti intorno alla metà degli anni ’90 e fino a oggi ne sono stati individuati circa 500, grazie a notevoli progressi delle tecniche di ricerca e a due telescopi spaziali opportunamente equipaggiati, l’europeo CoRoT, lanciato da Baikonur negli ultimi giorni del 2006, e Kepler, lanciato dalla NASA nel marzo del 2009. La ricerca degli esopianeti viene effettuatta, sia da CoRoT che da Kepler, col metodo del transito, ossia misurando la variazione d’intensità nella luce di una stella mentre un pianeta transita interponendosi tra la stella stessa e l’osservatore. Questo metodo funziona egregiamente anche per stelle lontanissime e fornisce dati accurati sulla dimensione, massa e densità del pianeta in transito, nonché dati relativi alla sua orbita. Il metodo, però, funziona solo se il transito avviene in posizioni di allineamento particolari, e quindi un numero imprecisato di pianeti extrasolari potrebbe sfuggire al rilevamento. Inoltre nulla può dirci sull’atmosfera e la geologia dei pianeti tipo Terra eventualmente avvistati.

Per far progredire la ricerca sugli esopianeti, in particolare quelli tipo Terra, e mappare accuratamente i dintorni del Sistema Solare, bisogna evidentemente affidarsi a una tecnologia diversa. La tecnologia c’è, si chiama interferometria, se ne fa gran uso in Astronomia, ma ancora non è stata sperimentata nello spazio. C’è anche un vero e proprio progetto per un sistema costituito da due telescopi che lavorano in coppia osservando lo stesso oggetto da due posizioni leggermente diverse. Elaborando insieme le immagini raccolte dai due strumenti se ne ottengono altre in altissima definizione. Il sistema porta il nome di Space Interferometry Mission (SIM) e sarà pronto al lancio entro il 2015, dopo aver seguito un durissimo, pluriennale percorso, che ha visto il team del progetto non solo confrontarsi  con la NASA in occasione dei controlli periodici sull’andamento dei lavori, ma anche attivarsi per evitare che SIM fosse risucchiato nel naufragio di Constellation.

Questa era la situazione fino allo scorso agosto, ma ora voglio citare direttamente l’articolo che mi ha ispirato queste righe, pubblicato il 18 ottobre scorso su The Space Review a firma del planetologo Philip Horzempa:”Mentre l’attenzione della comunità scientifica era distratta dal protrarsi del dibatttito sulla sorte di Constellation, una controversia altrettanto importante stava attraversando la Divisione di Astronomia della NASA. Anche se può sembrare assurdo, l’Agenzia è sul punto di tagliare i finanziamenti alla ricerca di pianeti tipo Terra nelle vicinanze del Sistema Solare, mentre continuerà, con poco sforzo, l’individuazione dei giganti gassosi tipo Giove, che però sono inadatti a ospitare la vita.” Horzempa è giunto a questa conclusione perchè Astro2010, l’importantissimo report che riesamina ogni 10 anni l’attività della NASA in campo astronomico e suggerisce all’Agenzia una lista delle missioni più importanti per l’intera decade successiva, non cita più il Progetto SIM se non nelle note a fondo pagina. “La commissione Astro2010, invece – continua Horzempa – ha inserito in lista la sua missione di Fisica, battezzata WFIRST, un progetto di altissimo profilo dedicato alla ricerca dell’energia oscura. ….. Hanno perfino offerto un contentino agli studiosi di esoplanetologia, cioè dotare il WFIRST, che è un telescopio per l’infrarosso, di funzionalità microlensing.”

In effetti, nella sua polemica contro l’abbandono di SIM a vantaggio di WFIRST, Horzempa ha molti buoni argomenti:

  • mentre WFIRST esiste solo sulla carta, SIM ha già superato a pieni voti le fasi A e B del severo protocollo NASA per l’ammissione dei nuovi progetti, ed è pronto a iniziare la fase C, quella conclusiva

  • Abbandonare SIM proprio ora sarebbe uno spreco di tempo e risorse pubbliche

  • realizzare WFIRST costerebbe due miliardi di dollari, mentre realizzare SIM solo uno, e il rimanente potrebbe essere assegnato a una versione leggera di WFIRST

  • L’abbandono di SIM significherebbe rinunciare anche alle altre applicazioni spaziali dell’interferometria, che si prospettano molto interessanti

  • Se l’abbandono di SIM dovesse comportare un ritardo nell’indagine approfondita dei dintorni del Sistema Solare alla ricerca degli esopianeti tipo Terra, ne sarebbero influenzati negativamente anche i progetti di nuova generazione come Life Finder e Planet Imager, nonché l’europeo Darwin

Su questo ultimo punto va registrato un parziale disaccordo da parte del noto opinionista scientifico americano Paul Gilster, blogger di “Centauri Dreams”, che prima commenta l’articolo di Horzempa, e poi, in un successivo post, esordisce così: ”Mentre mi lamento per i problemi di finanziamento di missioni basate nello spazio, come SIM, l’interferometro spaziale, spesso mi sorprendo a pensare che il progresso tecnologico ci mette in grado di fare sulla superfice terrestre cose che eravamo soliti credere di poter fare solo nello spazio” L’articolo riporta interessanti informazioni riguardo al telescopio gigante Magellan e al progetto HETDEX sull’energia oscura.

Vorrei aggiungere che lo sviluppo dell’interferometria spaziale sembra essere un fattore cruciale anche per la missione FOCAL, diretta al fuoco della lente gravitazionale del Sole, che è, almeno sulla carta, il più potente strumento per l’indagine astronomica offertoci dalla natura nel Sistema Solare. Nessuno dei due interlocutori vi fa cenno, ma forse il concetto suona ancora un po’ troppo fantascientifico, mentre la ricerca astronomica di Pandora, l’esopianeta stracolmo di vita del film Avatar, rimane invece un obiettivo comprensibile e condivisibile dal grande pubblico.

Allora ridiamo un’ultima volta la parola a Horzempa: “Se la NASA accettasse le raccomandazioni di Astro2010 e decidesse di cancellare SIM, dovrebbe darne spiegazione al Congresso e all’opinione pubblica americana. La ricerca di esopianeti tipo Terra è un obbligo. E’ un aspetto del lavoro della NASA che gli Americani capiscono implicitamente, che eccita la loro immaginazione. Chiedete a un amico qualsiasi, o anche a un estraneo, quali sono le sue opinioni sulla ricerca di altri pianeti che possano ospitare la vita. Vi faranno una testa così. C’è in noi un innato, urgente desiderio di esplorare.

[In seguito, la SIM è stata effettivamente cancellata dai programmi della NASA – addendum 03/12/10]

Fonti: The Space Review, Wikipedia, NASA

30 ottobre 2010 Posted by | Astrofisica, Astronautica, Scienze dello Spazio | , , , , | 4 commenti