Il Tredicesimo Cavaliere

Scienze dello Spazio e altre storie

Anche i Klingoniani hanno un’anima

Durante il “100yss Symposium” di Orlando in Florida, in cui sono state poste le basi del nuovo movimento per il volo interstellare, hanno avuto luogo un gran numero di  interventi, una buona metà dei quali riguardava la propulsione. Di questi  abbiamo parlato in un articolo precedente, mentre su altri siamo in grado di dare notizie solo ora.  Uno di quelli che ha fatto più scalpore, sopratutto per il modo pittoresco in cui è stato proposto, è l’intervento dell’esoteologo tedesco dott. Christian Weidemann, intitolato: “Gesù è morto anche per i Klingoniani?”, che, in estrema sintesi, propone  un interrogativo teologico riguardo all’efficacia del sacrificio di Cristo nei confronti di razze senzienti di altri pianeti, nello specifico dei Klingoniani, divenuti attraverso la saga di Star Trek il simbolo di ogni possibile alieno. Qui di seguito, Sergio Valzania e Christian Weidemann sottopongono ai lettori le loro analisi. Le parole dell’astrofisico gesuita Guy Consolmagno chiudono il caso.(RF)

ANIMA KLINGONIANA di Sergio Valzania

Penso che la questione vada innanzi tutto formulata in modo corretto, ossia collegandola non solo al momento storico del sacrificio, evento privilegiato dalla tradizione ortodossa che vede nella Pasqua la maggior ricorrenza liturgica dell’anno,  ma anche alla nascita di Cristo e al mistero dell’incarnazione, secondo il sentimento cattolico che individua nel Natale la grande festa fondativa del mondo,  nella celebrazione della quale la memoria della creazione e quella della salvezza si congiungono. Proprio nella messa di Natale viene letto l’incipit del vangelo di san Giovanni, dove il Cristo è presentato con le parole:
Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di Lui e senza di Lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.” (Gv 1,2-3)
Il brano evangelico sarebbe di per sé sufficiente a chiarire la questione. Il creato viene all’esistenza per mezzo del Cristo, senza la cui mediazione attiva non è stato fatto niente di ciò che esiste. Qualunque cosa faccia parte del creato è a Lui collegata e vive attraverso di Lui. Il testo non lascia dubbi di sorta.
Quanto all’evento dell’incarnazione storica avvenuta a Betlemme e congiunta in modo misterioso all’incarnazione precedente al tempo e alla storia, che ha prodotto la creazione, sono opportune alcune riflessioni, comunque rispettose della dimensione divina del sacrificio di Cristo. E’ necessario  ricordare che ci troviamo nell’ambito del mistero rivelato, ossia offerto come dono alla contemplazione dei credenti, per aiutarne la crescita spirituale. Il mistero infatti si contempla, non si scioglie, dato che la sua complessità è superiore alle possibilità dell’intelligenza umana. Non si tratta di un indovinello.
Le tre obbiezioni che sono state portate al fatto che Gesù Cristo abbia salvato anche i Klingoniani, per mantenere la forma pittoresca nella quale la questione è stata posta,  sono le seguenti:

  1. La Terra è solo un piccolo e insignificante pianeta ai margini di una sperduta galassia minore: perché mai il Cristo avrebbe dovuto nascere proprio qui?

  2. I Klingoniani non hanno avuto modo di incontrare Gesù, né di avere notizie della sua predicazione prima dell’incontro con gli uomini;

  3. I Klingoniani non sanno cos’è il peccato e quindi non possono essere riscattati da esso.

Le risposte a tali obbiezioni sono molto semplici e immediate.
Cristo ha deciso di nascere in una stalla, in un paesino di una provincia marginale dell’impero romano. La collocazione galattica è omogenea a quella scelta sulla Terra. Semmai la perifericità del nostro pianeta vale di conferma al fatto che Cristo vi sia nato. Se non lo avesse fatto qui sarebbe stato in un posto simile.
“Veramente tu sei un Dio nascosto, Dio d’Israele, salvatore.” (Is 45,15)
La seconda obbiezione non è esclusiva dei Klingoniani. Molti uomini e molte donne sono nati e vissuti prima dell’avvento storico di Cristo e molti altri non hanno avuto notizia della predicazione evangelica anche se al momento della loro nascita essa era già avvenuta. Questo non significa che Cristo non abbia salvato anche loro. Egli è venuto per tutti gli uomini e le donne e gli esseri senzienti di tutti i tempi. Egli prima crea e poi salva l’universo, Klingoniani e alieni compresi. Il concetto di umanità coincide con quello di creazione. L’atto divino non conosce limiti né di spazio né di tempo. Altrimenti perderebbe il suo carattere di assoluto.
Riconosco che qualsiasi cosa Dio fa, dura per sempre; non c’è nulla da aggiungere, nulla da togliere.” (Qo 3,14)
L’ultima obbiezione, relativa al peccato, ha un sapore protestante. La riflessione di Lutero e Calvino, a seguito di quella agostiniana, ha approfondito questo genere di argomenti. Innanzi tutto va ricordato che è il senso etico e non l’intelligenza a rendere senzienti le creature. Un uomo e una donna sono esseri senzienti perché sanno distinguere il bene dal male; altrimenti sarebbero senzienti anche i computer. Tornando al tema della salvezza, bisogna ricordare che Gesù salva dalla morte, non dal peccato. Il dono che egli reca è la vita eterna, attraverso di Lui siamo liberati dalla morte, fisica e spirituale. Lui è la via, la verità è la vita che ci conducono e uniscono al Padre. Che ama e accoglie noi uomini e donne come i klingoniani e le klingoniane.
“Chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna” (Gv 4,14).

CONTRO IL GEOCENTRISMO TRADIZIONALISTA,  di Christian Weidemann

Prima di tutto permettetemi di chiarire un possibile malinteso. Io non sto affermando che gli autori convinti che un evento storico sulla Terra abbia salvato l’intero cosmo abitato siano per questo colpevoli di una sorta di arroganza antropocentrica o di “sciovinismo intergalattico” – anzi il contrario. Si consideri, per esempio, l’umile retorica con cui il teologo e sostenitore del geocentrismo soteriologico (la disciplina che pone la Terra al centro del progetto divino di salvezza cosmica) del XIX secolo Joseph Pohle conclude il suo libro sull’argomento:
“Dio è sceso sulla Terra, anche se, da un punto di vista cosmico, è uno dei più insignificanti e miseri corpi celesti. E’ in questo che risiede il vero carattere divino del suo atto salvifico: Dio non sceglie il grande e il potente, ma si prende cura del debole e del piccolo con sguardo amorevole. Non in un palazzo reale è nato il verbo incarnato, ma in una mangiatoia; non sullo splendido pianeta di un qualche bel sistema stellare binario Dio si è fatto uomo, ma su questo minuscolo granello di sabbia, la Terra.”
Il problema del geocentrismo soteriologico non è di natura morale ma riguarda i principi e il metodo della ricerca scientifica. Come il marchio tolemaico del geocentrismo, esso viola palesemente il Principio di Mediocrità (PM). Ecco una semplice applicazione di tale principio:
“Supponiamo che una donna si svegli in una stanza vuota e senza finestre in preda a un attacco di amnesia retrograda. Ha perso tutte le sue memorie personali, non ricorda nemmeno come si chiama la lingua che parla. Ma le sue conoscenze demogeografiche sono invece rimaste intatte. Per avere un qualche punto di partenza comincia quindi a chiedersi di che nazionalità potrebbe essere. E conclude che ha molte probabilità di essere cinese o indiana.”

Questa deduzione sembra perfettamente ragionevole, eppure qualcuno potrebbe obiettare: “Ma la signora non potrebbe essere del Liechtenstein?” Cerco che potrebbe, ma è piuttosto improbabile. Nella stessa linea, se Dio si è incarnato una sola volta, non dovremmo aspettarci senza una forte argomentazione di vivere sul “pianeta prescelto”. Si potrebbe obiettare, tuttavia, che l’influenza del (PM) che ci insegna a considerare media la nostra posizione, diminuisce all’aumentare delle informazioni che abbiamo sulla nostra effettiva condizione. Un osservatore dovrebbe ragionare come se fosse un  campione preso a caso tra tutti gli osservatori intelligenti che compongono la sua classe di riferimento, a meno che non abbia una prova inattaccabile del contrario. Se un giocatore del superenalotto non riesce a seguire l’estrazione dei numeri vincenti dovrebbe, fino a prova contraria, supporre che la propria posizione tra tutti quelli che come lui hanno giocato, è media, cioè che non ha vinto. Ma leggendo sul giornale che la sua combinazione è stata estratta, o telefonando agli organizzatori della lotteria o, finalmente controllando il suo conto in banca, potrebbe scoprire che, invece, la sua posizione è piuttosto particolare.

Allo stesso modo, esiste forse una prova che la Terra svolga un ruolo speciale nel progetto divino per la salvezza cosmica, cioè che Dio (o la seconda persona della Trinità) abbia scelto il nostro pianeta tra miliardi di candidati come palcoscenico della sua  incarnazione? Io credo di no.
Tanto per cominciare, la probabilità di trovarsi esattamente sul pianeta che Dio sceglie tra miliardi o trilioni di alternative per la sua unica incarnazione, è ancora più bassa di quella di riuscire a indovinare i numeri del superenalotto. Indubbiamente ci sono stati alcuni interessanti tentativi di addurre argomenti induttivi a favore della storicità della resurrezione di Gesù. Pur con i loro eventuali meriti, tali ragionamenti possono, nella migliore delle ipotesi, rendere verosimile che l’evento miracoloso (cioè naturalisticamente inspiegabile), si sia verificato 2000 anni fa nel Vicino Oriente. Però, tali ragionamenti non sono in grado di dimostrare, in linea di principio, che l’allora protagonista, Gesù di Nazaret, era, benché in tutto e per tutto umano, lui stesso Dio! La cristologia dell’incarnazione dei concili di Nicea e Calcedonia è stata il risultato di un posteriore processo di interpretazione e razionalizzazione teologica che, almeno a quanto ne so, non aveva mai tenuto conto del fatto che Dio probabilmente aveva miriadi di altri “mondi ugualmente dipendenti dalla sua protezione” (Th. Paine), mondi nei quali avrebbe potuto, in alternativa, incarnarsi.

Sicuramente la maggior parte dei cristiani non credono in Gesù come “figlio di Dio“ perché convinti a farlo da argomentazioni induttive o a priori. Che Gesù fosse Dio incarnato, che abbia sofferto e sia resuscitato dai morti, sembra loro semplicemente vero – senza tanti ragionamenti elaborati. Molti pensatori cristiani hanno provato a dimostrare che avere fede nelle parole di una presunta rivelazione o in un’esperienza religiosa può essere ragionevole anche senza avere a disposizione evidenze empiriche o argomentazioni filosofiche.
Potrebbero bastare due osservazioni: la prima, e più importante, è che ci sono seri dubbi sul fatto che un’incarnazione divina possa essere sperimentata in quanto tale o che possa essere l’oggetto di una rivelazione o di credenze propriamente fondamentali in quanto tale. Una cosa è sperimentare una presenza divina, o formarsi, leggendo le Scritture, la credenza fondamentale che Gesù è resuscitato dai morti; è tutt’altra cosa avere l’esperienza o la credenza fondamentale che un concetto così astratto come l’incarnazione divina è stato esemplificato in Gesù. Nessuno accetterebbe affermazioni quali: “Ho l’impressione che la teoria delle stringhe sia proprio sbagliata” o “il realismo metafisico mi sembra proprio vero” come giustificazioni sostenibili delle corrispondenti credenze scientifiche o filosofiche,
perlomeno se avanzate senza dare ulteriori argomentazioni.

Perché la Cristologia, che implica concetti altrettanto difficili e oscuri, dovrebbe essere diversa? Secondo, anche ammesso che, per impossibile, la fede in un’incarnazione divina potesse essere giustificata sulla base della sola esperienza religiosa, o della formazione culturale o della rivelazione, non otterrebbe per questo uno stato di incorreggibilità o infallibilità. Anche la mia credenza fondamentale (che si suppone più che evidente), che davanti a me c’è una scrivania, sarebbe sconfitta se scoprissi che mia moglie ha versato dell’LSD nel caffè che ho bevuto a colazione. I cristiani tradizionalisti accettano, almeno implicitamente, che le loro credenze religiose fondamentali siano soggette a correzione. Un buon esempio sono i casi di delirio religioso. Supponiamo che un cristiano affermi: “Sono assolutamente certo che Dio mi abbia detto di mettere una bomba nelle scuole degli infedeli.” E’ da sperare che, in una situazione del genere, ogni persona sana di mente, credente o atea che sia, considererebbe cosa buona e giusta allontanare il cristiano in oggetto dal suo credo religioso (se necessario in un centro di igiene mentale).

Partendo da questo assunto, non rimangono più possibilità per negare, a priori, che la credenza fondamentale o la presunta verità rivelata dell’incarnazione di Dio in Terra, potrebbe venire sconfitta dalla scoperta che l’ipotesi dell’esistenza di alieni intelligenti è vera. Ed esistono argomenti all’apparenza solidi per ritenere che sarebbe effettivamente sconfitta. (traduzione di Beatrice Parisi)

Fin qui  Christian Weidemann. Per completezza diamo ora notizia che Guy Consolmagno, ricercatore presso la Specola Vaticana, l’osservatorio della Santa Sede a Castelgandolfo, ha concesso un’intervista a Roberto Allegri, che è stata pubblicata sul sito Segnidalcielo.it. Alla domanda “Se gli alieni esistessero davvero, dovremmo considerarli nostri fratelli, anch’essi figli di Dio?” il religioso americano ha risposto: «Siamo tutti creature di Dio. Qualsiasi essere in grado di “consapevolezza” di sé e dell’esistenza degli altri, e che è libero di scegliere di amare gli altri o di rifiutarli, secondo san Tommaso d’Aquino avrebbe i tratti dell’animo umano, cioè fatto “a immagine e somiglianza di Dio”. Quindi, se gli extraterrestri avessero queste caratteristiche di “intelligenza” e di “libero arbitrio”, non solo sarebbero nostri fratelli ma condividerebbero con noi la stessa “immagine e somiglianza”.» (RF)

16 febbraio 2012 Posted by | Epistemologia, Volo Interstellare | , , , , , , | 3 commenti

Prima Direttiva: i motivi di un referendum

Sergio “Doctor Who” Valzania è tornato dal suo più recente viaggio nel tempo con una notizia sensazionale: nel lontano futuro, la Prima Direttiva verrà sottoposta a referendum abrogativo!

Com’è noto questa importantissima norma etica, ispirata alla Carta dell’ ONU, sarà per secoli  uno dei cardini della politica estera della Federazione dei Pianeti Uniti. La Prima Direttiva vieta esplicitamente ogni interferenza con l’autonomo sviluppo di civiltà aliene, con particolare  cura nei confronti di culture tecnologicamente arretrate, che non abbiano ancora sviluppato il motore a curvatura e siano quindi incapaci di realizzare voli interstellari. A tali culture primitive dal punto di vista scientifico, non devono essere trasferite  tecnologie avanzate né rivelate informazioni relative  all’esistenza di altre specie senzienti nell’universo, per timore di uno shock culturale che ne potrebbe alterare irreparabilmente il naturale sviluppo.

Una volta assorbito l’effetto provocato dall’inattesa notizia, in redazione  si è scatenato il confronto tra favorevoli e contrari , ed è continuato, accesissimo, per  parecchie ore. Alla fine siamo giunti alla decisione di coinvolgere nel dibatitto i nostri lettori, indicendo a nostra volta un referendum  sulla Prima Direttiva, anche se solo a carattere consultivo.

Ma c’è dell’altro. Un paio di mesi fa si è tenuto a Orlando, in Florida, il cosidetto Congresso dell’Astronave dei Cent’Anni (100 Year Starship Symposium), dove si è di fatto costituito un movimento che  si dedicherà allo studio del volo interstellare e delle problematiche ad esso collegate in ogni campo e disciplina. Il primo contatto con una specie aliena è evidentemente una di queste,  e la Prima Direttiva è un tentativo di darvi risposta. Il nostro obiettivo è quello di avviare una discussione  sull’argomento, usando come tramite l’universo immaginario di  Star Trek, ormai familiare a tutti, per fornire, in prospettiva, un nuovo contributo al vasto e  frizzante dibattito internazionale attualmente in corso.
Ma lasciamo ora la parola al cronista.

Roberto Flaibani

Dal CORRIERE DELLA SERA del 26 maggio 3051

Entro pochi mesi il volto della Galassia potrebbe cambiare. Poche ore fa infatti la Camera dei Rappresentanti della Federazione dei Pianeti Uniti ha deliberato di sottoporre a referendum abrogativo la Prima Direttiva.
Il processo politico che ha condotto a questo risultato, fino a pochi anni fa assolutamente imprevedibile, è stato lungo e articolato. Con certezza tutto è cominciato quando sulla Terra è stato eletto come rappresentante presso la Federazione un cittadino del più piccolo dei due stati esistenti sul pianeta: un monaco del Monte Athos. L’evento è stato sorprendente dato che la Repubblica Monastica del Monte Athos conta appena duemila abitanti contro gli oltre otto miliardi dell’Unione dei Governi Terrestri. I suoi elettori hanno preferito un monaco ortodosso del Monte Athos a uno qualsiasi dei settemilatrecentodue candidati presentatisi nel collegio Terra. Il sistema elettorale uninominale a un solo turno ha consentito al monaco Epifanio di prevalere sui suoi avversari con poco meno di cento milioni di voti validi, che costituiscono comunque un buon risultato.
Appena entrato in carica il neoeletto ha subito chiarito che il maggiore obiettivo che si prefiggeva nel corso del suo mandato, come del resto risultava dal programma elettorale da lui elaborato e forse letto con poca attenzione da quanti lo hanno votato, consisteva proprio nella cancellazione della Prima Direttiva.

Sergio Valzania

7 dicembre 2011 Posted by | Referendum Prima Direttiva | , , , , | 3 commenti

A Piergiorgio Odifreddi il Premio Nobel per la Fisica

Dal Corriere della Sera del 7 ottobre 2024

Dopo 40 anni il premio Nobel per la fisica viene di nuovo assegnato a uno scienziato italiano. L’ultimo nostro connazionale a vincerlo era stato Giorgio Rubbia nel 1984, oltre al meno “italiano” Riccardo Giacconi nel 2002. L’Accademia Reale delle Scienze di Stoccolma ha annunciato ieri il conferimento del massimo riconoscimento scientifico mondiale a Piergiorgio Odifreddi. A rendere più prestigiosa l’attribuzione è il fatto che sia avvenuta in solitaria, negli ultimi anni il premio è stato infatti aggiudicato a più di uno studioso e in questo caso ciò non è avvenuto. (nella foto: Piergiorgio Odifreddi)

Devo dire subito che non si è trattato di una sorpresa, l’elaborazione delle equazioni scaramantiche di Odifreddi, annunciata al mondo scientifico sei mesi fa, ha rappresentato uno dei passi avanti più decisi nell’ambito della fisica da alcuni decenni a questa parte, e questo si può affermare sulla base di un giudizio condiviso dalla stragrande maggioranza degli addetti ai lavori.

Non è semplice spiegare ai profani il valore in termini assoluti di questo contributo, che solo in senso riduttivo può essere definito come lo strumento per una valutazione rigorosamente matematica delle variazioni probabilistiche indotte in un sistema da attività di natura scaramentica, come l’augurare buona traversata a chi sta partendo per mare, indossare la biancheria a rovescio in vista di un esame o portare con sé un corno di corallo rosso perché non si sa mai.

In realtà la scoperta di Odifreddi si situa all’interno di uno degli ambiti più dibattuti ed esplorati della ricerca fisica dal secondo dopoguerra in poi, ossia l’individuazione di un collegamento fra la teoria della relatività generale di Einstein e le equazioni quantistiche elaborate dalla scuola di Copenhagen. Per semplificare possiamo dire che le due teorie descrivono il mondo fisico in termini rivelatisi almeno fino a oggi incompatibili.

La teoria della relatività generale appartiene infatti alla cosiddetta fisica classica, o newtoniana, si basa cioè su quantità e misurazioni certe, descrivendo un mondo fisico dai comportamenti calcolabili e prevedibili in modo esatto. La sua applicazione alla dimensione macroscopica dell’universo è stata confermata da un numero elevatissimo di esperimenti. Ben diversa si presenta la situazione quando si accede all’ambito dell’infinitamente piccolo, quello nel quale si agitano e interagiscono le particelle dette appunto infinitesimali, elettroni, protoni, quark, bosoni e fotoni, che costituiscono i mattoni della materia e dell’energia. (nella foto: schermaglie verbali tra un ateo impenitente e un cattolico dubbioso in cammino verso Santiago de Compostela)

A questo livello infatti la fisica classica, e con lei la teoria della relatività generale, non sono più in grado di descrivere gli eventi che accadono mentre si dimostra capace di farlo la fisica quantistica, che altri definiscono probabilistica proprio per la natura non esatta dei risultati che essa fornisce. Alla sua base si trova il principio di indeterminazione formulato da Heisenberg, uno dei predecessori di Odifreddi nella conquista del premio Nobel, che stabilisce l’impossibilità di conoscere nello stesso tempo la velocità e la posizione di una particella elementare. Questo non dipende da un limite delle nostre capacità di misurazione quanto da un carattere insito nella natura delle particelle stesse: esse non hanno un’esistenza reale che ne renda determinabili i dati puntiformi. Il loro comportamento è nello stesso tempo quello di un’onda e di un corpuscolo infinitesimale e può essere previsto solo sulla base di calcoli probabilistici.

La non congruenza della teoria della relatività generale con quelle alla base della fisica quantistica non provoca contraddizioni nella stragrande maggioranza dei casi, dato che gli ambiti di applicazione dei due sistemi di interpretazione del mondo e di previsione sul suo funzionamento sono molto lontani. L’universo per la prima e l’infinitamente piccolo per la seconda.

Ci sono però ambiti specifici nei quali questo avviene e si tratta del territorio di ricerca al quale si dedicano gli studiosi alla ricerca delle leggi fondamentali che regolano l’universo. Mi riferisco in particolare alle ricerche sulle cosiddette singolarità, alle situazioni limite di esistenza della materia e dell’energia che compongono la realtà, ossia i buchi neri ma soprattutto il big bang, l’attimo iniziale dell’universo nel quale tutti gli elementi che lo compongono si trovavano in una condizione di concentrazione estrema. In quelle condizioni le leggi gravitazionali, che costituiscono uno degli elementi centrali della teoria della relatività generale, e le interazioni fra particelle infinitesimali regolate dalla fisica quantistica si trovano a coesistere nella descrizione di una situazione fisica nella quale esse entrano in contrasto, così che non possiamo accettare nessuno dei due impianti teorici in relazione ad essa.

E’ su questo terreno che Piergiorgio Odifreddi ha compiuto uno straordinario passo avanti individuando un’applicazione per le equazioni della fisica quantistica in ambito macroscopico, newtoniano, così da aprire la strada per altre possibili interconnessioni fra i due livelli di manifestazione della realtà in vista di una teoria unificata in grado di dare conto delle nostre osservazioni astronomiche e di quelle realizzate con gli acceleratori di particelle sulla base degli stessi principi. (nella foto: in cammino…)

Si racconta che Newton sia giunto a formulare la sua teoria della gravitazione universale attraverso l’osservazione di un fenomeno quotidiano: la caduta di una mela dall’albero. Forse si tratta solo di un banale aneddoto, ma Odifreddi ha sostenuto più volte che qualcosa di simile gli è accaduto in vista dell’elaborazione delle sue equazioni scaramantiche. Il matematico italiano si è infatti posto la domanda, peraltro comune: “Come mai se esco di casa senza ombrello è più facile che piova?”

Si tratta di un quesito che tutti hanno formulato almeno una volta, ma che solo un pensatore di eccezionale talento avrebbe potuto risolvere in modo scientificamente corretto. La scoperta di Odifreddo consiste infatti proprio in questo: l’aver verificato l’utilizzabilità delle equazioni probabilistiche elaborate dalla scuola di Copenhagen in relazione ai comportamenti delle particelle elementari in ambito macroscopico, nella nostra vita quotidiana. Ha quindi individuato un punto di sintesi fra la teoria della relatività generale e i principi della fisica quantistica. Anche a livello newtoniano esistono fenomeni che si comportano come le particelle.  (nella foto: la marcia si fa massacrante…)

Quando usciamo di casa senza ombrello infatti non possiamo essere certi che pioverà, ma possiamo invece essere sicuri che le probabilità di pioggia sono aumentate. Il fenomeno, come il comportamento delle particelle elementari, viene di solito compensato dal fatto che una pluralità di persone esce contemporaneamente da casa manifestando comportamenti diversi nei confronti dell’ombrello, così da riequilibrare la pressione scaramantica che il singolo atto determina. Allo stesso modo il comportamento casuale delle particelle di gas ne provoca la distribuzione uniforme all’interno di un contenitore, sulla base delle leggi di Boyle.

Questo non significa che le leggi meteorologiche dipendano in modo diretto dai comportamenti scaramantici. Le equazioni di Odifreddi infatti indicano solo l’esistenza di una variazione probabilistica e permettono che essa venga calcolata. In piena estate, senza perturbazioni in arrivo, si può tranquillamente uscire di casa senza ombrello e questo non determina l’arrivo della pioggia, ma non appena ci troviamo in una situazione critica, in quello che siamo soliti definire come tempo incerto, la decisione di rinunciare all’ombrello incide sulle probabilità che ci siano precipitazioni facendole aumentare. Tutto questo lo sapevamo per esperienza diretta, ma solo oggi la percezione allargata di un dato evidente si è trasformata in un dato scientifico e disponiamo di una quantificazione esatta del fenomeno.

E’ presto per ipotizzare quali potranno essere gli sviluppi della scoperta fatta da Odifreddi. Forse è prossima la formulazione della teoria unificata capace di comprendere e sintetizzare al proprio interno i principi della relatività generale e della fisica quantistica. Questo potrebbe condurci a conoscere presto le leggi che hanno regolato il comportamento della materia e dell’energia nei primissimi istanti dell’universo. (nella foto: Sergio Valzania)

Per il momento è però doveroso un invito alla prudenza. Gli ostacoli da superare a livello concettuale e sperimentale sono ancora molti. E’ comunque buona regola portare con sé l’ombrello se si esce di casa con il cielo coperto, tira un vento fresco e teso e si sente un brontolio di tuoni.

SERGIO VALZANIA

per le foto  si ringraziano Piergiorgio Odifreddi e la RAI

17 dicembre 2010 Posted by | Giochi | , , | Lascia un commento