Il Tredicesimo Cavaliere

Scienze dello Spazio e altre storie

Il Grande Risiko Lunare è incominciato

Il direttore tecnico dell’ International Academy of Astronautics, dott. Claudio Maccone (il primo da destra nella foto), ìl 10 giugno 2010 ha presentato a Vienna, presso la Commissione delle Nazioni Unite sull’uso pacifico dello spazio extra-atmosferico (UNCOPUOS) il Progetto PAC (Cerchio Antipodale Protetto) per proporre che una zona della Luna, situata sulla faccia nascosta esattamente agli antipodi della Terra, una ben determinata zona di spazio ad essa sovrastante (detta cono di radio quiete), e il punto di librazione L2 del sistema Terra-Luna, vengano dichiarati al più presto zona protetta e garantita dall’ONU, che vi imporrà il totale silenzio radio. Lo scopo del progetto è di formalizzare l’istituzione di una zona di radio quiete per evitare che qualcuno, stato o società privata, si arroghi il diritto di installarsi in quella che domani dovrebbe diventare l’ultima spiaggia, ma anche il paradiso dei radioastronomi. Ulteriori informazioni in: “Il Progetto PAC e il futuro della Radioastronomia” e “Storia e numeri del PAC”.

Qualche mese dopo, alla fine di novembre del 2010, la Lockheed Martin Corporation, un’importante società aerospaziale, ha fatto circolare un documento di presentazione delle cosidette missioni “L2 – Farside”, da svolgerrsi a partire dal 2016 – 2018. Queste missioni permetterebbero di raggiugere due importanti obiettivi scientifici:

  • l’esplorazione del polo sud lunare e del circostante Bacino di Aitken, una zona di primario interesse esogeologico

  • l’inizio della costruzione di un grande radiotelescopio sulla faccia nascosta della Luna, nel cratere Daedalus

Nella tipica missione ”L2 – Farside”, della durata di 35 giorni, la fase esplorativa e ogni altra attività sul suolo lunare, sarà affidata a un nuovo robot molto sofisticato, telecomandato in tempo reale da tre astronauti ospitati in un modulo Orion (costruito dalla stessa Lockheed Martin Corporation) orbitante intorno al punto L2. Un numero ancora imprecisato di missioni “L2 – Farside” costituirà l’occasione per collaudare apparecchiature, procedure e mezzi, nonché acquisire nuove conoscenze sopratutto in campo medico, in previsione di ben più lunghe e ambiziose missioni, come l’abbordaggio di un asteroide o la spedizione su Marte. Questo, in estrema sintesi, è quanto viene comunicato dalla Lockheed Martin Corporation. I lettori possono facilmente reperire in linea il documento originale, denominato “LMFarsideWhitepaperFinal.pdf”. A questo punto si impongono alcune considerazioni:

  1. la costruzione di un grande radiotelescopio sulla faccia nascosta della Luna è certamente uno dei più affascinanti tra i progetti a lunga scadenza attualmente allo studio. Ma gli alti costi e i problemi di ingegneria che comporta ne rimandano la realizzazione a fine secolo, se non oltre. Allora perché la Lockheed indica questo progetto tra gli obiettivi primari delle missioni “L2 – Farside”?

  2. La stessa attenzione non è però riservata al Progetto PAC, che pure è propedeutico alla realizzazione del radiotelescopio, ed è un’iniziativa ufficiale di livello mondiale. Nell’intero documento della Lockheed non se ne fa parola.

  3. Il punto L2 appare profondamente immerso nel cono di radioquiete che sovrasta il PAC, e di sicuro non ha una linea di vista diretta con la Terra, checché ne dicano gli esperti della Lockheed. Maccone chiede che L2 venga considerato off-limits, per garantire la piena radioquiete del PAC sottostante. Ma dove è previsto che dovrebbe posizionarsi il modulo Orion per condurre al meglio le operazioni durante le missioni “L2 – Farside”? Proprio in orbita intorno a L2, guarda caso!

Abbiamo allora ritenuto indispensabile rivolgerci direttamente al dottor Maccone, che ha così commentato:

Io la intendo cosi`: che la Halo orbit attorno a L2 di Terra-Luna e`(debba essere, ndr) CIRCOLARE DI RAGGIO COSI` GRANDE DA VEDERE SIA TERRA CHE MOON FARSIDE (contemporaneamente, ndr)

In quanto al PAC, certo che sarebbe inondato da onde elettromagnetiche, ma di frequenze sperabilmente DIVERSE da quelle ascolate dal (futuro, ndr) radiotelescopio (che sorgerà,ndr) nel cratere Daedalus.

……..

In conclusione, anche con (nonostante, ndr) Orion, si protrebbe comunque fare della buona radio astronomia da Daedalus perche` l’enorme quantita` di noise (rumore, ndr) CHE VIENE DALLA TERRA e` comunque schermata, e il poco noise di Orion su bande note non dovrebbe costituire un problema. “

Di fronte a tanta diplomazia e a parole così sagge ed equilibrate, anche dei ruvidi e sospettosi freelance come noi devono chinare il capo e scendere a più miti consigli. Ci auguriamo quindi che il messaggio moderato di Maccone convinca gli uomini della Lockheed a rinunciare a eventuali atteggiamenti arroganti o prepotenti, e a comportarsi con maggior rispetto per la comunità scientifica internazionale e per le sue iniziative.

ROBERTO FLAIBANI

27 giugno 2011 Posted by | Astronautica, Carnevale della Fisica, Radioastronomia, Scienze dello Spazio | , , , , | 2 commenti

SETI: Il dialogo Michaud/Cooper

Introduzione

L’ultima volta che Keith Cooper, scrittore specializzato in temi spaziali e direttore del britannico Astronomy Now,  era stato avvistato nelle pagine di Centauri Dreams, era impegnato in una discussione con me su questioni legate al SETI. Questo scambio mi ha dato l’idea di mettere a confronto Keith con Michael Michaud, dato il loro interesse comune e ricordando che si erano già incontrati al meeting della Royal Society dello scorso anno, in cui erano stati esaminati molti di questi temi. Michael ha cortesemente accettato e quello riportato qui di seguito è un confronto di punti di vista che arricchisce il dibattito sul SETI.

Come i lettori di Centauri Dreams sanno, Michael Michaud è l’autore del fondamentale Contact with Alien Civilizations: Our Hopes and Fears about Encountering Extraterrestrials (Il contatto con le civiltà aliene: le nostre speranze e i nostri timori riguardo all’incontro con gli extraterrestri – Springer, 2006),  ma ha pubblicato oltre cento opere, molte delle quali hanno per tema l’esplorazione spaziale e il SETI. Prima di dedicarsi a tempo pieno alla ricerca e alla scrittura, Michaud è stato per 32 anni membro del Corpo Diplomatico degli Stati Uniti. Durante la sua carriera diplomatica ha avuto una grande varietà di incarichi:tra le altre cose è stato Consigliere per la Scienza la Tecnologia e l’Ambiente all’ambasciata americana di Parigi e Tokyo e Direttore dell’Ufficio di Tecnologia Avanzata del Dipartimento di Stato.

Michael ha partecipato attivamente alla negoziazione di accordi internazionali di cooperazione sulla scienza e la tecnologia, ha rappresentato il Dipartimento di Stato nelle discussioni interdipartimentali sulla politica spaziale e ha testimoniato di fronte ai comitati del Congresso in merito a questioni legate allo spazio. Va ricordato inoltre che è stato direttamente coinvolto in discussioni internazionali sul tema del contatto in seno all’International Academy of Astronautics per oltre vent’anni ed è stato il principale autore del cosiddetto Primo Protocollo SETI, il cui titolo esatto è ‘Declaration of Principles Concerning Activities Following the Detection of Extraterrestrial Intelligence’(Dichiarazione dei principi riguardanti le attività che seguono l’individuazione di intelligenze extraterrestri ). Le sue attività recenti sono concentrate sull’importanza di coinvolgere un numero sempre maggiore di storici e altri studiosi di scienze sociali nel dibattito sulle possibili conseguenze del contatto. (Paul Gilster)

Keith Cooper

Qualche anno fa ho intervistato Andy Sawyer, il capo bibliotecario e amministratore della Science Fiction Foundation dell’Università di Liverpool, e gli ho chiesto perché piacciono tanto le storie che parlano di invasioni aliene. “Dipende dal fatto che le storie con gli alieni sono simpatiche e che in una vicenda di invasione si possono inserire ansie di ogni genere,” mi ha risposto. E io sono d’accordo, anche perché mi piacciono i film di fantascienza come a chiunque. Ma per molti l’unico confronto con gli “alieni” avviene attraverso gli stanchi stereotipi dei film di Hollywood, o forse le rappresentazioni mono-culturali di Star Trek, e questo condiziona l’immagine che si fanno di una vera civiltà aliena. Michael, nel tuo lavoro di sensibilizzazione nei confronti delle conseguenze del METI hai contribuito a far capire che le nostre idee sugli alieni sono troppo semplicistiche e, di conseguenza, che la nostra visione del contatto è superficiale.

Alla Royal Society lo scorso ottobre hai parlato di stereotipi binari – i cari vecchi alieni saggi, lieti di trasferirci il loro sapere e di insegnarci ad essere delle persone migliori, e i cattivi, ringhiosi conquistatori determinati a spazzarci via dalla faccia del pianeta e a rubare tutte le nostre donne e la nostra acqua (un tipico luogo comune dei film di fantascienza di serie B). Purtroppo anche alcuni scienziati della comunità SETI hanno preso a dare per scontato il primo di questi stereotipi; l’esistenza di una Enciclopedia Galattica è accettata da molti, ma potervi accedere richiede un enorme atto di altruismo da parte del mittente.

Ho assistito a molte discussioni in cui si suggeriva che degli extraterrestri evoluti sarebbero inevitabilmente altruisti, eppure ho l’impressione che siano principalmente gli astronomi, parlando al di fuori del loro settore di competenza, a propugnare queste ottimistiche ipotesi (senza neppure definire che cosa intendono per altruismo – un altruismo familiare, o nepotistico, è molto diverso dall’altruismo reciproco, che è quello al quale probabilmente si riferiscono). Tutti i biologi evoluzionisti, gli antropologi, i filosofi e gli altri studiosi di scienze sociali – gente che il cui mestiere consiste nello studiare il comportamento sociale – con cui mi è capitato di parlare si sono dimostrati molto più cauti. Per esempio il Professor Jerome Barkow, un antropologo socio-culturale della Dalhousie University di Halifax (Canada), mi ha descritto un possibile esempio: “una specie impaurita, ipersensibile al pericolo, che ha sviluppato un’intelligenza selezionata dalla paura perché era l’unico modo in cui riusciva a vincere la competizione con le specie affini.

Una specie del genere, così paurosa, potrebbe stare costantemente in attesa di un pericolo e, nella peggiore delle ipotesi, potrebbe addirittura essere xenofoba. Simon Conway Morris, paleontologo dell’Università di Cambridge e paladino dell’evoluzione convergente, è ancora più schietto: “Se un alieno intelligente chiama, non rispondete al telefono!” Intanto, il Professor Nick Bostrom, direttore del Future of Humanity Institute dell’Università di Oxford, mi ha detto che “anche se potessimo individuare uno schema di costante crescita morale nella storia dell’umanità, sarebbe azzardato trarne conclusioni valide per il futuro, ma immagino che questo potrebbe rafforzare l’ottimismo di qualcuno nei confronti delle civiltà tecnologicamente avanzate. E per quanto riguarda l’altruismo, non ne sappiamo assolutamente nulla.”

Ci sono moltissime domande che mi piacerebbe fare. La principale, rivolta a te Michael, è perché non ascoltiamo gli esperti di comportamento umano, che sono nella posizione migliore per giudicare le possibili azioni degli extraterrestri? Il SETI rischia di diventare troppo esclusivo? Come possiamo fare per allargare la discussione in modo da includervi rappresentanti di tutte le discipline del mondo intero? Inoltre, alla Royal Society, avevi affermato che è ora di fare l’analisi più obiettiva possibile dei rischi e dei benefici del METI. Come possiamo sottrarci allo stereotipo dell’invasione per studiare anche i pro e contro meno evidenti del contatto?

Michael Michaud

Keith, concordo in gran parte con quello che dici. Sottrarsi agli stereotipi che affliggono le discussioni sul contatto con ETI non sarà facile. Non avendo noi nessuna informazione confermata sulla natura del comportamento dell’intelligenza extraterrestre, le nostre speculazioni si basano su convinzioni, preferenze o analogie con noi stessi. Molti sono infastiditi dall’ambiguità che ne deriva e vorrebbero risposte univoche.

I primi sostenitori del SETI avevano promosso l’immagine degli alieni come altruisti e illuminati governanti dediti unicamente al bene dei popoli, non solo per questioni di preferenze personali ma anche perché cercavano di ottenere il sostegno dell’opinione pubblica in un’impresa che ha molto di ipotetico. Una visione idealistica e aperta alla speranza era più facile da proporre. Per i fautori del SETI, questa è diventata la posizione di default nelle discussioni sulle conseguenze del contatto. Anche il modo in cui i media trattano il tema del contatto, persino nei documentari, è condizionato da quello che, secondo i produttori, è più vendibile. Le invasioni di alieni — o di saggi e innocui extraterrestri — soppiantano le serie analisi basate su quello che sappiamo del comportamento umano. Le mie risposte alle domande di tre società produttrici di programmi televisivi sull’invasione da parte degli alieni sono state cortesemente respinte non perché fossero sbagliate, ma perché erano meno coinvolgenti di un wargame.

Gli storici e altri studiosi di scienze sociali potrebbero offrire visioni più fondate del contatto, basate sui loro studi della sola specie tecnologicamente intelligente che conosciamo: noi stessi. Per esempio, l’esperienza umana suggerisce che le civiltà non siano per natura ostili o pacifiche ma che le loro azioni dipendano dalle circostanze contingenti. Purtroppo, ci sono troppo pochi fondi o riconoscimenti alla carriera per intraprendere una ricerca di questo tipo.

Molti fisici e biologi non ascoltano perché sono scettici sulle conclusioni a cui arrivano le scienze sociali. Gli interventi sui problemi legati alle scienze sociali, come per esempio le conseguenze del contatto, erano stati relegati all’ultima ora dell’ultimo giorno della Conferenza di Astrobiologia del giugno 2010. Eppure alcuni fisici e biologi hanno fatto affermazioni travolgenti sul comportamento degli esseri intelligenti che non sono fondate in modo empirico sull’esperienza umana. Provate a immaginare cosa succederebbe se un gruppo di studiosi di scienze sociali pubblicasse delle conclusioni sui processi fisici e biologici senza prove confermate.

Come possiamo fare ad allargare il dialogo sulle conseguenze del contatto? Un punto di partenza, per una meritevole organizzazione interessata a problemi di natura politica o sociale, potrebbe essere quello di invitare fisici, biologi e studiosi di scienze sociali a una conferenza a tema sui benefici e i rischi del contatto che comprendesse esempi presi dalla storia dell’umanità. La Royal Society ha stabilito un utile precedente. Io ho altre idee su questo problema, ma le terrò per me finché non avrò avuto la tua risposta.

Keith Cooper

Michael, mi ha colpito il tuo commento secondo il quale una visione fiduciosa e ottimistica del contatto sarebbe stata adottata perché più facile da promuovere. Mi fa pensare a un commento che James Benford aveva fatto dopo il mio precedente dialogo sul SETI con Paul, cioè che l’affermazione che Arecibo potrebbe captare il segnale di un’altra Arecibo a 500 anni luce di distanza è un mito perpetuato come uno degli argomenti promozionali del SETI.

[commento di Paul Gilster: “Scusatemi se mi intrometto ma vorrei aggiungere che Benford ha integrato con nuovo materiale sul segnale di Arecibo l’edizione riveduta del suo testo “Costs and Difficulties of Large-Scale ‘Messaging’, and the Need for International Debate on Potential Risks,” (Costi e difficoltà del METI su larga scala e necessità di un dibattito internazionale sui rischi potenziali) scritto con John Billingham. Poiché questa ultima versione non è quella attualmente presente sul server arXiv, mi permetto di citare le parole di Benford:

“Una simile ragionamento quantifica il ‘Mito di Arecibo’, cioè il fatto che Arecibo (il più grande radio telescopio del mondo) sarebbe in grado di individuare un suo ipotetico gemello attraverso la Galassia (Shuch, 1996). Non è realistico pensare che Arecibo possa comunicare con un altro Arecibo a una tale distanza. Chi lo sostiene non specifica il presupposto che la larghezza di banda sarebbe esigua (0.01 Hz), che sia il ricevitore che il trasmettitore sarebbero puntati sulla stessa minuscola porzione di cielo, rilevandosi a vicenda e che il ricevitore dovrebbe lavorare ore e ore per poter integrare un segnale debolissimo e che non sarebbero inviate informazioni. Quest’ultimo punto dipende dal fatto che, a causa dell’esiguità della larghezza di banda, la velocità di trasmissione sarebbe minima, molto inferiore al più lento dei modem, forse un bit l’ora nel migliore dei casi.”

Mi scuso per l’interruzione e torno a Keith].

Naturalmente ci farebbe piacere che il pubblico, e i potenziali finanziatori del SETI, avessero fiducia nella possibilità di contatto. Individuare un messaggio da parte di un’altra civiltà intelligente avrebbe effetti profondi in modi che stiamo solo cominciando a percepire, sia dal punto di vista scientifico che culturale, e possiamo esplorare queste conseguenze solo con l’aiuto delle scienze sociali. A dispetto della mia formazione astronomica, trovo gli aspetti sociali del contatto affascinanti quanto la fisica della ricerca stessa. Ho imparato molto di più sull’esperienza umana cercando di capire la natura del contatto attraverso le mie letture, di quanto avrei imparato in qualsiasi altro modo. Il SETI è un insolito miscuglio di scienze fisiche e sociali ed è proprio questo che lo rende così ricco: chi relega le discussioni culturali e sociologiche sul contatto alla fine delle conferenze, in note a pie’ di pagina e le allontana con un gesto vago e generico sull’altruismo alieno, fa al SETI un pessimo servizio.

Le scienze sociali non si pronunciano necessariamente contro il METI e la speranza di un contatto pacifico e gratificante – ci sono avvincenti ragionamenti sia a favore che contro (cito ad esempio il professor Steven Pinker dell’Università di Harvard sostenitore del ‘mito della violenza’ e del concetto che stiamo diventando più pacifici a mano a mano che diventiamo culturalmente e tecnologicamente più avanzati (si vedano i suoi TED talk su questo argomento) – l’idea è che potremmo usare tutto questo come modello per le civiltà aliene). Quello che le scienze sociali mettono in evidenza è che le conseguenze del contatto sono più complesse delle minacce di invasione o del sogno di un edificante incontro con qualche saggio e illuminato governante.

Questo dialogo riguarda le motivazioni aliene; la paura sembra essere il principale candidato, come alludeva Jerome Barkow. Adrian Kent al Perimeter Institute ha portato l’elemento paura agli estremi per spiegare il Paradosso di Fermi nel suo recente studio ‘Too Damned Quiet.’ (Davvero troppo silenzioso) in cui afferma che la galassia è silenziosa perché la selezione naturale sceglie civiltà che riescono a non farsi notare dai predatori galattici. Così scrive:

Rivelare la propria esistenza in un ambiente del genere sarebbe rischioso: una specie di predatori potrebbe decidere che può permettersi di aggredirci, e persino una specie vicina reticente potrebbe decidere che non può permettersi di lasciarci attirare l’attenzione di altri predatori del vicinato.

Anche se la Galassia di Kent – dominata dalla paura e dai predatori – si colloca all’estremo di un ventaglio di possibili scenari di contatto, è un’ipotesi di cui essere consapevoli. Così come lo sono gli aspetti meno evidenti che vengono spesso ignorati di fronte alle sensazionali storie di invasioni aliene. Ma dobbiamo essere in grado di discutere tutte le possibilità senza timore di pregiudizi. Nessuno è in grado di dire quali saranno le motivazioni degli alieni e non sto cercando di portare argomenti a favore di un particolare punto di vista, se non quello che al momento tutte le possibilità sono aperte.

Oggi i chiacchieroni del SETI sembrano poco inclini all’allargamento del dibattito. Abbiamo entrambi fatto commenti sulla qualità, spesso pessima, della presentazione sui media delle conseguenze del contatto. Mi piacerebbe cominciare a cambiare la situazione, qui e ora. Ci servono nuovi argomenti per la nostra promozione. Attraverso il SETI stiamo cercando di trovare il nostro posto in un universo che potrebbe essere ugualmente pieno di fantastiche meraviglie come di terrificanti pericoli, e tutte le possibilità intermedie. Se non siamo in grado di garantire una visione del contatto idealistica quanto la precedente, allora Michael quale dovrebbe essere il nostro nuovo messaggio?

Michael Michaud

Bene, e adesso che cosa facciamo? In primo luogo è venuto il momento di liberarci degli stereotipi binari che Hollywood, la guerra fredda e le sue conseguenze politiche ci hanno imposto. Dovremmo diffidare sia delle profezie utopistiche che di quelle apocalittiche riguardo a quanto potrebbe portare il contatto. Non abbiamo i presupposti per ipotizzare che altre civiltà tecnologiche accoglierebbero con favore un contatto con noi, come non ne abbiamo per ipotizzare che ci sarebbero ostili.

Secondo, è ora di riempire lo spazio tra i due estremi: da una parte il messaggio servizievole e altruistico e dall’altra un’invasione aliena. Ci sono moltissimi altri potenziali scenari di contatto, molti dei quali sono stati descritti dalla fantascienza. Per esempio, che succederebbe se captassimo, per una sola volta, un segnale alieno non destinato a noi e non riuscissimo più a ritrovarlo? E se questo segnale non fosse altro che un segnale di linea? In questi casi avremmo un contatto senza né comunicazione né pericolo.

E se trovassimo prove di una astroingegneria a un livello che supera di molto le nostre capacità? Questo implicherebbe l’esistenza di una civiltà tecnologicamente così potente che potrebbe considerarci irrilevanti, sempre che abbia notato la nostra esistenza. (Nel romanzo di Arthur Clarke Incontro con Rama, una gigantesca nave spaziale aliena che usa il nostro sole per sfruttare l’effetto fionda gavitazionale attraversa il nostro sistema solare senza fermarsi né comunicare.) Che succederebbe se trovassimo una sonda aliena nel nostro sistema solare che non sta facendo nulla che siamo in grado di percepire – non invia messaggi, non spara, non emette nemmeno un amichevole bagliore? Una sonda del genere potrebbe essere stata la risposta di un’altra civiltà all’aver individuato segni di biochimica nello spettro della terra miliardi di anni addietro. (Ma stanno cercando lo stesso tipo di prove che cerchiamo noi? Perché altrimenti potrebbero non accorgersi della vita sulla terra.)

Ci sono dei segnali incoraggianti. Le frizioni sorte di recente tra gli appassionati a questi problemi potrebbero riflettere un allargamento e una maturazione del dibattito. Mentre alcuni astronomi continuano a respingere la possibilità del volo interstellare anche da parte di macchine senza equipaggio, Seth Shostak del SETI Institute ha ammesso sulla stampa che noi umani potremmo lanciare sonde robotiche interstellari entro la fine di questo secolo. Questo rimette in gioco la possibilità di un contatto diretto. Dalla rampa non scenderebbe nessun alieno alla Star Trek: avremmo a che fare con macchine intelligenti.

Terzo, tutti noi che siamo impegnati in questo campo dovremmo valutare al meglio le implicazioni di scenari di contatti alternativi. Un punto di partenza potrebbe essere la Scala di Rio proposta undici anni fa da Ivan Almar e Jill Tarter.

Quarto, è necessario che un maggior numero di figure di alto profilo appartenenti al mondo delle scienze sociali parlino o scrivano su questi argomenti. A mio parere la disciplina che fa maggiormente al caso nostro è la storia dei contatti tra le varie civiltà umane. Mi piacerebbe moltissimo sentire cosa avrebbero da dire degli storici non conformisti come Niall Ferguson e Felipe Fernandez-Armesto sulle conseguenze del contatto con gli extraterrestri in vari scenari diversi. Uno storico del calibro di William McNeill ammoniva molti anni fa che i precedenti dell’umanità non sono incoraggianti.

Quinto, abbiamo bisogno di coinvolgere nel dibattito persone più giovani, che sono libere dai paraocchi sia della guerra fredda che delle sue implicazioni politiche e ideologiche. Questo potrebbe voler dire gente al disotto dei quarant’anni. Ci sono segnali incoraggianti. Lo storico e vincitore del premio Pulitzer David Hackett Fischer ha affermato: “Dopo l’illusione della political correctness, della furia ideologica, del multiculturalismo, del postmodernismo, del relativismo storico, delle forme più estreme di cinismo accademico, oggi gli storici stanno tornando ai fondamenti della loro disciplina con una rinnovata fiducia nelle possibilità delle conoscenze storiche.”

Mi chiedi quale dovrebbe essere il nostro messaggio. Secondo me dovrebbe scaturire dalla discussione tra un gran numero di persone serie. Io posso offrire solo un suggerimento sotto forma di massima: occhi aperti, pazienza e prudenza. Accettiamo quello che i nostri ricercatori ci dicono sull’universo e sul comportamento degli esseri intelligenti, che ci piacciano o no le loro scoperte. Riconosciamo che siamo appena entrati nello scena interstellare e che abbiamo ancora molto da imparare. Nel cercare di prevedere le conseguenze del contatto, teniamo a mente l’unico data base che possediamo: la nostra storia. Spero che utilizzerai le tue doti giornalistiche per mantenere questa discussione vivace e tollerante.

Titolo originale: SETI: The Michaud/Cooper Dialogue”  scritto da Paul Gilster e pubblicato in Centauri Dreams il 20 aprile 2011. Traduzione italiana di Beatrice Parisi e Roberto Flaibani. Questo articolo segna la nostra partecipazione al Carnevale della Fisica #20, e prosegue una fase di collaborazione con Centauri Dreams, che ci auguriamo lunga e fruttuosa.

Le immagini sono tratte da “The Barlowe’s Guide  to  Extraterrestrials”, edito nel 1979 da F&S Publications – New York. Si ringraziano autori ed editore per la cortese disponibilità.

19 giugno 2011 Posted by | Carnevale della Fisica, Scienze dello Spazio, SETI | , , , | Lascia un commento