Il Tredicesimo Cavaliere

Scienze dello Spazio e altre storie

Anche i Klingoniani hanno un’anima

Durante il “100yss Symposium” di Orlando in Florida, in cui sono state poste le basi del nuovo movimento per il volo interstellare, hanno avuto luogo un gran numero di  interventi, una buona metà dei quali riguardava la propulsione. Di questi  abbiamo parlato in un articolo precedente, mentre su altri siamo in grado di dare notizie solo ora.  Uno di quelli che ha fatto più scalpore, sopratutto per il modo pittoresco in cui è stato proposto, è l’intervento dell’esoteologo tedesco dott. Christian Weidemann, intitolato: “Gesù è morto anche per i Klingoniani?”, che, in estrema sintesi, propone  un interrogativo teologico riguardo all’efficacia del sacrificio di Cristo nei confronti di razze senzienti di altri pianeti, nello specifico dei Klingoniani, divenuti attraverso la saga di Star Trek il simbolo di ogni possibile alieno. Qui di seguito, Sergio Valzania e Christian Weidemann sottopongono ai lettori le loro analisi. Le parole dell’astrofisico gesuita Guy Consolmagno chiudono il caso.(RF)

ANIMA KLINGONIANA di Sergio Valzania

Penso che la questione vada innanzi tutto formulata in modo corretto, ossia collegandola non solo al momento storico del sacrificio, evento privilegiato dalla tradizione ortodossa che vede nella Pasqua la maggior ricorrenza liturgica dell’anno,  ma anche alla nascita di Cristo e al mistero dell’incarnazione, secondo il sentimento cattolico che individua nel Natale la grande festa fondativa del mondo,  nella celebrazione della quale la memoria della creazione e quella della salvezza si congiungono. Proprio nella messa di Natale viene letto l’incipit del vangelo di san Giovanni, dove il Cristo è presentato con le parole:
Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di Lui e senza di Lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.” (Gv 1,2-3)
Il brano evangelico sarebbe di per sé sufficiente a chiarire la questione. Il creato viene all’esistenza per mezzo del Cristo, senza la cui mediazione attiva non è stato fatto niente di ciò che esiste. Qualunque cosa faccia parte del creato è a Lui collegata e vive attraverso di Lui. Il testo non lascia dubbi di sorta.
Quanto all’evento dell’incarnazione storica avvenuta a Betlemme e congiunta in modo misterioso all’incarnazione precedente al tempo e alla storia, che ha prodotto la creazione, sono opportune alcune riflessioni, comunque rispettose della dimensione divina del sacrificio di Cristo. E’ necessario  ricordare che ci troviamo nell’ambito del mistero rivelato, ossia offerto come dono alla contemplazione dei credenti, per aiutarne la crescita spirituale. Il mistero infatti si contempla, non si scioglie, dato che la sua complessità è superiore alle possibilità dell’intelligenza umana. Non si tratta di un indovinello.
Le tre obbiezioni che sono state portate al fatto che Gesù Cristo abbia salvato anche i Klingoniani, per mantenere la forma pittoresca nella quale la questione è stata posta,  sono le seguenti:

  1. La Terra è solo un piccolo e insignificante pianeta ai margini di una sperduta galassia minore: perché mai il Cristo avrebbe dovuto nascere proprio qui?

  2. I Klingoniani non hanno avuto modo di incontrare Gesù, né di avere notizie della sua predicazione prima dell’incontro con gli uomini;

  3. I Klingoniani non sanno cos’è il peccato e quindi non possono essere riscattati da esso.

Le risposte a tali obbiezioni sono molto semplici e immediate.
Cristo ha deciso di nascere in una stalla, in un paesino di una provincia marginale dell’impero romano. La collocazione galattica è omogenea a quella scelta sulla Terra. Semmai la perifericità del nostro pianeta vale di conferma al fatto che Cristo vi sia nato. Se non lo avesse fatto qui sarebbe stato in un posto simile.
“Veramente tu sei un Dio nascosto, Dio d’Israele, salvatore.” (Is 45,15)
La seconda obbiezione non è esclusiva dei Klingoniani. Molti uomini e molte donne sono nati e vissuti prima dell’avvento storico di Cristo e molti altri non hanno avuto notizia della predicazione evangelica anche se al momento della loro nascita essa era già avvenuta. Questo non significa che Cristo non abbia salvato anche loro. Egli è venuto per tutti gli uomini e le donne e gli esseri senzienti di tutti i tempi. Egli prima crea e poi salva l’universo, Klingoniani e alieni compresi. Il concetto di umanità coincide con quello di creazione. L’atto divino non conosce limiti né di spazio né di tempo. Altrimenti perderebbe il suo carattere di assoluto.
Riconosco che qualsiasi cosa Dio fa, dura per sempre; non c’è nulla da aggiungere, nulla da togliere.” (Qo 3,14)
L’ultima obbiezione, relativa al peccato, ha un sapore protestante. La riflessione di Lutero e Calvino, a seguito di quella agostiniana, ha approfondito questo genere di argomenti. Innanzi tutto va ricordato che è il senso etico e non l’intelligenza a rendere senzienti le creature. Un uomo e una donna sono esseri senzienti perché sanno distinguere il bene dal male; altrimenti sarebbero senzienti anche i computer. Tornando al tema della salvezza, bisogna ricordare che Gesù salva dalla morte, non dal peccato. Il dono che egli reca è la vita eterna, attraverso di Lui siamo liberati dalla morte, fisica e spirituale. Lui è la via, la verità è la vita che ci conducono e uniscono al Padre. Che ama e accoglie noi uomini e donne come i klingoniani e le klingoniane.
“Chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna” (Gv 4,14).

CONTRO IL GEOCENTRISMO TRADIZIONALISTA,  di Christian Weidemann

Prima di tutto permettetemi di chiarire un possibile malinteso. Io non sto affermando che gli autori convinti che un evento storico sulla Terra abbia salvato l’intero cosmo abitato siano per questo colpevoli di una sorta di arroganza antropocentrica o di “sciovinismo intergalattico” – anzi il contrario. Si consideri, per esempio, l’umile retorica con cui il teologo e sostenitore del geocentrismo soteriologico (la disciplina che pone la Terra al centro del progetto divino di salvezza cosmica) del XIX secolo Joseph Pohle conclude il suo libro sull’argomento:
“Dio è sceso sulla Terra, anche se, da un punto di vista cosmico, è uno dei più insignificanti e miseri corpi celesti. E’ in questo che risiede il vero carattere divino del suo atto salvifico: Dio non sceglie il grande e il potente, ma si prende cura del debole e del piccolo con sguardo amorevole. Non in un palazzo reale è nato il verbo incarnato, ma in una mangiatoia; non sullo splendido pianeta di un qualche bel sistema stellare binario Dio si è fatto uomo, ma su questo minuscolo granello di sabbia, la Terra.”
Il problema del geocentrismo soteriologico non è di natura morale ma riguarda i principi e il metodo della ricerca scientifica. Come il marchio tolemaico del geocentrismo, esso viola palesemente il Principio di Mediocrità (PM). Ecco una semplice applicazione di tale principio:
“Supponiamo che una donna si svegli in una stanza vuota e senza finestre in preda a un attacco di amnesia retrograda. Ha perso tutte le sue memorie personali, non ricorda nemmeno come si chiama la lingua che parla. Ma le sue conoscenze demogeografiche sono invece rimaste intatte. Per avere un qualche punto di partenza comincia quindi a chiedersi di che nazionalità potrebbe essere. E conclude che ha molte probabilità di essere cinese o indiana.”

Questa deduzione sembra perfettamente ragionevole, eppure qualcuno potrebbe obiettare: “Ma la signora non potrebbe essere del Liechtenstein?” Cerco che potrebbe, ma è piuttosto improbabile. Nella stessa linea, se Dio si è incarnato una sola volta, non dovremmo aspettarci senza una forte argomentazione di vivere sul “pianeta prescelto”. Si potrebbe obiettare, tuttavia, che l’influenza del (PM) che ci insegna a considerare media la nostra posizione, diminuisce all’aumentare delle informazioni che abbiamo sulla nostra effettiva condizione. Un osservatore dovrebbe ragionare come se fosse un  campione preso a caso tra tutti gli osservatori intelligenti che compongono la sua classe di riferimento, a meno che non abbia una prova inattaccabile del contrario. Se un giocatore del superenalotto non riesce a seguire l’estrazione dei numeri vincenti dovrebbe, fino a prova contraria, supporre che la propria posizione tra tutti quelli che come lui hanno giocato, è media, cioè che non ha vinto. Ma leggendo sul giornale che la sua combinazione è stata estratta, o telefonando agli organizzatori della lotteria o, finalmente controllando il suo conto in banca, potrebbe scoprire che, invece, la sua posizione è piuttosto particolare.

Allo stesso modo, esiste forse una prova che la Terra svolga un ruolo speciale nel progetto divino per la salvezza cosmica, cioè che Dio (o la seconda persona della Trinità) abbia scelto il nostro pianeta tra miliardi di candidati come palcoscenico della sua  incarnazione? Io credo di no.
Tanto per cominciare, la probabilità di trovarsi esattamente sul pianeta che Dio sceglie tra miliardi o trilioni di alternative per la sua unica incarnazione, è ancora più bassa di quella di riuscire a indovinare i numeri del superenalotto. Indubbiamente ci sono stati alcuni interessanti tentativi di addurre argomenti induttivi a favore della storicità della resurrezione di Gesù. Pur con i loro eventuali meriti, tali ragionamenti possono, nella migliore delle ipotesi, rendere verosimile che l’evento miracoloso (cioè naturalisticamente inspiegabile), si sia verificato 2000 anni fa nel Vicino Oriente. Però, tali ragionamenti non sono in grado di dimostrare, in linea di principio, che l’allora protagonista, Gesù di Nazaret, era, benché in tutto e per tutto umano, lui stesso Dio! La cristologia dell’incarnazione dei concili di Nicea e Calcedonia è stata il risultato di un posteriore processo di interpretazione e razionalizzazione teologica che, almeno a quanto ne so, non aveva mai tenuto conto del fatto che Dio probabilmente aveva miriadi di altri “mondi ugualmente dipendenti dalla sua protezione” (Th. Paine), mondi nei quali avrebbe potuto, in alternativa, incarnarsi.

Sicuramente la maggior parte dei cristiani non credono in Gesù come “figlio di Dio“ perché convinti a farlo da argomentazioni induttive o a priori. Che Gesù fosse Dio incarnato, che abbia sofferto e sia resuscitato dai morti, sembra loro semplicemente vero – senza tanti ragionamenti elaborati. Molti pensatori cristiani hanno provato a dimostrare che avere fede nelle parole di una presunta rivelazione o in un’esperienza religiosa può essere ragionevole anche senza avere a disposizione evidenze empiriche o argomentazioni filosofiche.
Potrebbero bastare due osservazioni: la prima, e più importante, è che ci sono seri dubbi sul fatto che un’incarnazione divina possa essere sperimentata in quanto tale o che possa essere l’oggetto di una rivelazione o di credenze propriamente fondamentali in quanto tale. Una cosa è sperimentare una presenza divina, o formarsi, leggendo le Scritture, la credenza fondamentale che Gesù è resuscitato dai morti; è tutt’altra cosa avere l’esperienza o la credenza fondamentale che un concetto così astratto come l’incarnazione divina è stato esemplificato in Gesù. Nessuno accetterebbe affermazioni quali: “Ho l’impressione che la teoria delle stringhe sia proprio sbagliata” o “il realismo metafisico mi sembra proprio vero” come giustificazioni sostenibili delle corrispondenti credenze scientifiche o filosofiche,
perlomeno se avanzate senza dare ulteriori argomentazioni.

Perché la Cristologia, che implica concetti altrettanto difficili e oscuri, dovrebbe essere diversa? Secondo, anche ammesso che, per impossibile, la fede in un’incarnazione divina potesse essere giustificata sulla base della sola esperienza religiosa, o della formazione culturale o della rivelazione, non otterrebbe per questo uno stato di incorreggibilità o infallibilità. Anche la mia credenza fondamentale (che si suppone più che evidente), che davanti a me c’è una scrivania, sarebbe sconfitta se scoprissi che mia moglie ha versato dell’LSD nel caffè che ho bevuto a colazione. I cristiani tradizionalisti accettano, almeno implicitamente, che le loro credenze religiose fondamentali siano soggette a correzione. Un buon esempio sono i casi di delirio religioso. Supponiamo che un cristiano affermi: “Sono assolutamente certo che Dio mi abbia detto di mettere una bomba nelle scuole degli infedeli.” E’ da sperare che, in una situazione del genere, ogni persona sana di mente, credente o atea che sia, considererebbe cosa buona e giusta allontanare il cristiano in oggetto dal suo credo religioso (se necessario in un centro di igiene mentale).

Partendo da questo assunto, non rimangono più possibilità per negare, a priori, che la credenza fondamentale o la presunta verità rivelata dell’incarnazione di Dio in Terra, potrebbe venire sconfitta dalla scoperta che l’ipotesi dell’esistenza di alieni intelligenti è vera. Ed esistono argomenti all’apparenza solidi per ritenere che sarebbe effettivamente sconfitta. (traduzione di Beatrice Parisi)

Fin qui  Christian Weidemann. Per completezza diamo ora notizia che Guy Consolmagno, ricercatore presso la Specola Vaticana, l’osservatorio della Santa Sede a Castelgandolfo, ha concesso un’intervista a Roberto Allegri, che è stata pubblicata sul sito Segnidalcielo.it. Alla domanda “Se gli alieni esistessero davvero, dovremmo considerarli nostri fratelli, anch’essi figli di Dio?” il religioso americano ha risposto: «Siamo tutti creature di Dio. Qualsiasi essere in grado di “consapevolezza” di sé e dell’esistenza degli altri, e che è libero di scegliere di amare gli altri o di rifiutarli, secondo san Tommaso d’Aquino avrebbe i tratti dell’animo umano, cioè fatto “a immagine e somiglianza di Dio”. Quindi, se gli extraterrestri avessero queste caratteristiche di “intelligenza” e di “libero arbitrio”, non solo sarebbero nostri fratelli ma condividerebbero con noi la stessa “immagine e somiglianza”.» (RF)

16 febbraio 2012 Posted by | Epistemologia, Volo Interstellare | , , , , , , | 3 commenti

Un sistema di “metaleggi” regolerà le relazioni con gli alieni

Klaatu barada nikto. Bastavano queste tre parole per far desistere un gigantesco e minaccioso robottone dai suoi propositi di vendetta nei confronti del genere umano. Era il 1951 e il film si chiamava “Ultimatum alla Terra”, ne abbiamo usato alcuni fotogrammi per illustrare l’articolo che segue. Di sicuro ben altro ci vorrà nel caso di un vero “primo contatto” con una specie aliena, un’evenienza dalla quale i fautori del volo interstellare non possono prescindere. Ecco allora Paul Gilster fare il suo ingresso nel dibattito sulla Prima Direttiva con questo stimolante post sulla necessità di creare un sistema di metaleggi che ci aiuti a gestire, se e quando ce ne sarà bisogno, le relazioni con civiltà aliene. (R.F.)

Il contributo dell’Italia all’impresa interstellare è stato sostanziale e crescente, e sono molto lieto di conoscere tre dei suoi principali rappresentanti: Claudio Maccone, Giancarlo Genta, e Giovanni Vulpetti. E’ stato quindi con grande piacere che ho accolto l’offerta di Roberto Flaibani di apparire qui, sulle pagine del Tredicesimo Cavaliere, con un articolo sulla Prima Direttiva di “Star Trek”. Roberto sta lavorando instancabilmente per comunicare il futuro dell’Uomo tra le stelle a un pubblico più vasto, e confido di leggere altri dei suoi stimolanti interventi anche il prossimo anno. Di seguito le mie riflessioni sulla Prima Direttiva. (nella foto, l’autore Paul Gilster)

La Prima Direttiva incarna un principio etico imperfetto ma utile che non dovrebbe essere abbandonato, seppure con una profonda revisione testuale. Per capire perché è necessario ripensare alcuni aspetti della Prima Direttiva, consideriamo il contesto in cui essa opera. Essendo figlia di “Star Trek”, dobbiamo immaginare un universo molto simile a quello, per chiarire le restrizioni del regolamento. Partiamo quindi dall’idea che il genere umano sia una civiltà in grado di viaggiare nello spazio, non solo su scala interplanetaria ma anche interstellare. Questo significa che, in qualche modo, abbiamo trovato il sistema per raggiungere le stelle con viaggi di breve durata (a velocità  maggiore di quella luce, nde) e che si è costituita un’organizzazione nel cui ambito questa esplorazione continua, un equivalente della Federazione che è dietro alla Direttiva.

Ma perché è nata questa Prima Direttiva? Qui è importante ricordare che, nell’universo di “Star Trek”, la direttiva è in realtà un regolamento che vale solo per la Flotta Stellare. Effettivamente nella serie televisiva vediamo che, se un cittadino della Federazione decide di sua spontanea volontà di intromettersi nelle questioni di un’altra civiltà, la Flotta Stellare non ha nessun potere di impedirglielo. Il regolamento certamente era stato invocato perché l’avanguardia dell’espansione umana sarebbe stata la forza di esplorazione rappresentata dalla Flotta Stellare stessa. Quello che succede dopo che una determinata regione dello spazio viene mappata ed esplorata per la prima volta, dipende dall’azione individuale, ma le persone che hanno più probabilità di essere coinvolte nel primo contatto con una cultura aliena sono quelle che agiscono nel rispetto delle regole della Federazione.

Tutto questo sembra un’estrapolazione logica ed è un tributo all’universo di “Star Trek”, che malgrado il grande numero di episodi televisivi in varie configurazioni e di film che usano praticamente gli stessi personaggi, ha mantenuto una trama relativamente coerente. Se mai dovessimo sviluppare un modo per inviare equipaggi umani su altri mondi, dovremmo porci il problema di come interagire con le specie intelligenti che potremmo trovare nel corso del viaggio. E, verosimilmente, prenderemmo in considerazione un principio del tipo “il diritto di ogni specie senziente di vivere secondo la propria normale evoluzione culturale,” una frase estratta dal testo della Prima Direttiva. Quello che abbiamo davanti è lo sviluppo di una ”metalegge”, un termine inventato dall’avvocato Andrew Haley nel 1956 per indicare un sistema di leggi che si applica, oltre che agli esseri umani, anche a tutti i rapporti tra specie intelligenti.

Perché non stabilire semplicemente di trattare le culture aliene in base alla regola d’oro, ossia trattiamo gli alieni come vorremmo essere trattati da loro? Haley ha spiegato i problemi sollevati da questo approccio in un articolo intitolato “Space Law and Metalaw – A Synoptic View,” in cui riconosce che gli alieni sono diversi da noi in maniere che non possiamo nemmeno immaginare. Trattarli come vorremmo che loro ci trattassero potrebbe quindi danneggiarli o addirittura distruggerli. Haley ha così riformulato la regola d’oro: “fai agli altri quello che loro ti lascerebbero fare a se stessi.” Robert Freitas, che ha scritto con ponderatezza sul tema della metalegge, osserva che neppure questa nuova regola aurea è priva di problemi: “…in pratica, sarebbe difficile da applicare quanto i concetti di non interferenza e sicurezza fisica. Se vogliamo appurare quali sono i desideri dei rappresentanti dell’altra parte, dobbiamo interagire con loro in qualche modo, e questo potrebbe provocare un danno socio-culturale. Non abbiamo ancora risolto il problema di come sviluppare regole metalegali non conflittuali ed efficaci.”

Oggi ci troviamo allo stadio iniziale dello sviluppo di questa “metalegge”, ma l’intensificarsi delle attività interstellari umane alla fine ci costringerà a sviluppare ulteriormente il concetto. L’ingegnere aerospaziale del Politecnico di Torino Giancarlo Genta ha affrontato questi argomenti nel suo libro Lonely Minds in the Universe (Copernicus, 2007), che ruota intorno alla seguente domanda: nel mondo di oggi, un essere alieno potrebbe essere considerato una “persona”? Se ci trovassimo improvvisamente di fronte a una creatura proveniente da un altro mondo si creerebbe un interessante problema legale. Potremmo forse pensare di estendere gli stessi diritti a tutti gli umani indipendentemente dalla loro origine, ma un extraterrestre sceso da un’astronave appena atterrata sul nostro pianeta non sarebbe necessariamente riconosciuto come “persona” dalla legge. Potrebbe essere considerato un animale? E se così fosse, un animale alieno avrebbe dei diritti in base alla legge vigente?

Molto probabilmente la Prima Direttiva è nata da discussioni del genere, e si basa sull’estensione del concetto di personalità alle intelligenze aliene. Nel sopracitato articolo “Metalaw and Interstellar Relations” Robert Freitas vede due vie per stabilire l’esistenza di una “personalità”:

* L’uso di una moralità chiara; vale a dire l’abilità degli esseri in questione di  dare giudizi morali o etici, anche se non necessariamente coincidenti con i nostri.

* La presenza dell’autocoscienza, cioè della consapevolezza di essere separato dal proprio ambiente circostante.

La presenza della moralità o dell’autocoscienza è vista come la chiave della personalità. E queste non sono pedanterie giuridiche, come potrebbero sembrare: il tema è importante perché la legge umana ruota proprio intorno al concetto di persona. La metalegge, in altre parole, ci porta invariabilmente alla riflessione che è alla base della Prima Direttiva, che possiamo ora citare in forma più estesa:

“Poiché il diritto di ogni specie senziente di vivere secondo la propria normale evoluzione culturale è considerato inviolabile, nessun membro della Flotta Stellare può interferire con il normale e sano svolgimento della vita e della cultura delle specie aliene. Per interferenza si intende anche l’introduzione di un sapere, di una forza o di una tecnologia superiori in un mondo la cui società non è in grado di gestire giudiziosamente questo tipo di benefici. I membri della Flotta Stellare non possono violare questa Prima Direttiva, neanche per salvare la propria vita e/o la propria nave, a meno che non agiscano per porre riparo a una precedente violazione o a un’accidentale contaminazione di detta cultura. Questa direttiva ha la precedenza su qualsiasi altra considerazione, e comporta un altissimo obbligo morale.”

A questo punto ci troviamo in imbarazzo, perché la Prima Direttiva va interpretata, così come qualsiasi sistema di leggi o regolamenti deve essere compreso e messo in pratica dai soggetti interessati. Se esaminiamo il testo da vicino, non possiamo che concludere che l’unico contatto possibile tra due civiltà aliene si verifica quando le due civiltà sono esattamente allo stesso punto di sviluppo o, per dirla con Giancarlo Genta, allo stesso livello culturale. Nella Prima Direttiva si presume che ogni specie abbia il diritto di seguire un’evoluzione culturale “normale”, nella quale nessuno può interferire introducendovi un sapere o una tecnologia superiori.

Una civiltà meno progredita della nostra a livello tecnologico, quindi, sarebbe per noi impossibile da contattare direttamente. E una civiltà più progredita di noi, se fosse anch’essa retta dai principi di una Prima Direttiva analoga, non sarebbe in grado di entrare in contatto con noi. Se la Prima Direttiva fosse un principio universale, nessuna specie potrebbe entrare in contatto con un’altra a  meno che non ne trovasse una così simile a se stessa che il contatto verrebbe considerato privo di rischi. L’età delle stelle che ci circondano nella Via Lattea varia così tanto che sembra altamente improbabile riuscire a trovare una specie tanto simile a noi, e quindi tutti gli studi sulla cultura aliena dovrebbero essere portati avanti nella massima segretezza, per evitare di contaminare la civiltà aliena interessata.

Sembrerebbe, per molti versi, un risultato poco sensato, ma non è finita qui. Che cosa intendiamo per “stesso livello culturale”? La cultura è anche ciò che vediamo intorno a noi quotidianamente negli strumenti di uso comune e nelle tecnologie che utilizziamo. Ma l’idea stessa di cultura aliena presuppone uno sviluppo diverso dal nostro. Non possiamo dare per scontato che una cultura apparentemente simile alla nostra dei tempi dell’antica Grecia debba necessariamente vivere un periodo simile di espansione imperialistica sul suo pianeta, una graduale scoperta di altre culture al di là degli oceani, una fase in cui il sapere si è perduto e, infine, un rinascimento. Né possiamo partire dal presupposto che gli esseri che vivono all’interno di questa cultura siano guidati dai nostri stessi principi, o che sviluppino tecnologie paragonabili alle nostre.

Si noti un altro difetto della summenzionata affermazione della Prima Direttiva. Vi si dice che l’interferenza consiste nell’introdurre un sapere, una forza o una tecnologia superiori in un mondo “la cui società non è in grado di gestire giudiziosamente questo tipo di benefici.” L’affermazione implica che, se la società è ritenuta capace di gestire questi benefici con giudizio, le restrizioni della Prima Direttiva non valgono. Ma a chi spetta valutare quanto è giudiziosa una civiltà aliena, e che grado di accuratezza può avere una tale valutazione considerati i tempi stretti di un possibile primo contatto? E che cosa intende la Prima Direttiva quando invita a non interferire con “il normale e sano sviluppo di un’altra cultura”? Capire che cosa è normale e sano per una civiltà aliena potrebbe rivelarsi impossibile, e comunque non ci si riuscirebbe senza uno studio approfondito. No, la Prima Direttiva ci vincola troppo e limita eccessivamente i contatti.

Che fare allora? Serve una revisione della Prima Direttiva, basata su una metalegge in fieri, che riconosca ogni incontro con una civiltà extraterrestre come diverso da tutti gli altri. Genta cita le undici regole di metalegge redatte dall’avvocato austriaco Ernst Fasan, ispirate al precedente  lavoro di Andrew Haley. Queste sono tratte dal libro di Fasan “Relations with Alien Intelligences: The Scientific Basis of Metalaw” (1970) e contiene l’embrione di una futura Prima Direttiva che si dimostri più flessibile:

1. Nessuna delle parti della metalegge può pretendere l’impossibile.
2. Nessuna delle regole della metalegge deve essere applicata se la sua applicazione può provocare il suicidio della razza interessata.
3. Tutte le razze intelligenti dell’Universo hanno, in linea di principio, diritti e valori.
4. Ogni specie soggetta alla metalegge ha il diritto all’autodeterminazione.
5. Tutti gli atti che possono danneggiare un’altra razza devono essere evitati.
6. Ogni razza ha il diritto di avere il proprio spazio vitale.
7. Ogni razza ha il diritto di difendersi da tutti gli eventuali atti nocivi compiuti da un’altra razza.
8. Il principio della preservazione di una razza è prioritario rispetto allo sviluppo di un’altra razza.
9. In caso di danni, chi li ha provocati deve ristabilire l’integrità della parte danneggiata.
10. Gli accordi e i trattati metalegali sono vincolanti.
11. Aiutare un’altra razza con la propria attività non è un principio legale ma di etica di base.

Ecco alcuni principi guida che non escludono il contatto tra civiltà che hanno un diverso livello di sviluppo e complessità. Anzi, le idee di Fasan costituiscono una struttura che il futuro comandante di una missione interstellare potrebbe consultare per prendere decisioni sul livello di contatto appropriato per quella situazione. Fasan non ha potuto rispondere a tutte le nostre domande; in particolare ci lascia di fronte a un dubbio lacerante: i concetti etici qui racchiusi potrebbero essere profondamente antropocentrici, e certamente non abbiamo modo di sapere se altre razze intelligenti li approverebbero e li rispetterebbero. Ma quel poco lavoro sulla metalegge realizzato finora evidenzia la necessità di una Prima Direttiva potenziata, e più accuratamente congegnata, che non intrappoli un gruppo di esploratori lontani da casa in una serie di cavilli legali che rischiano di compromettere un positivo primo contatto. Ecco arrivato il momento di citare direttamente Genta:

“Tali regole sono senza dubbio un buon punto di partenza sul quale costruire le leggi e l’etica o i rapporti tra specie, ma sono state elaborate solo da una delle parti – e non potrebbe essere altrimenti, poiché non è nemmeno certo che l’altra parte esista. Per di più, se è vero che le altre specie con cui potremmo entrare in contatto sono molto più antiche di noi, è verosimile che abbiano già  affrontato questo problema e stabilito regole per i rapporti tra specie”.

La realtà è che quando ci espanderemo alle stelle più vicine e oltre, apprenderemo da questi primi contatti con altre civiltà – se davvero esistono – e modelleremo la nostra metalegge flessibilmente in base a ciascuno di questi incontri. La metalegge non può essere altro che un insieme di principi in costante evoluzione, e non deve cristallizzarsi in una Prima Direttiva incapace di trasformarsi nel tempo in funzione dell’aumento della nostra conoscenza. La Prima Direttiva ci offre una magnifica opportunità di considerare queste questioni. Ma dobbiamo essere consapevoli che si tratta solo di un modello, e che quello che troveremo tra le stelle ci aiuterà a plasmare la sua direzione futura. E dovremo anche riflettere su queste questioni molto prima di quando effettivamente raggiungeremo le stelle. Come Robert Freitas ci ricorda, “Quando si scoprirà la vita extraterrestre il genere umano dovrà essere preparato, perché in tutta la nostra storia ci sarà soltanto un primo contatto”.

traduzione a cura di Beatrice Parisi

Bibliografia

Fasan, E, Relations with “Alien Intelligences: The Scientific Basis of Metalaw”, Berlin Verlag, Berlin, 1970. Si veda anche l’articolo “Discovery of ETI: Terrestrial and Extraterrestrial Legal Implications,” Acta Astronautica 21 (2) (1990), p. 131-135.

Freitas, R, “Metalaw and Interstellar Relations,” Mercury 6 (marzo-aprile 1977), pp. 15-17 (http://www.rfreitas.com/Astro/MetalawInterstellarRelations.htm).

Genta, G. “Lonely Minds in the Cosmos”. New York: Copernicus, 2007.

Haley, A “Space law and Metalaw – A Synoptic View,” Harvard Law Record 23 (8 novembre 1956).

Scritto da Paul Gilster appositamene per Il Tredicesimo Cavaliere, come contributo alla campagna referendaria sulla Prima Direttiva. Traduzione italiana di Beatrice Parisi e Roberto Flaibani. Questo articolo segna la nostra partecipazione al Carnevale della Fisica #26, e prosegue una fase di collaborazione con Paul Gilster, che ci auguriamo lunga e fruttuosa.

24 dicembre 2011 Posted by | Astronautica, Referendum Prima Direttiva, Scienze dello Spazio, Volo Interstellare | , , , | 27 commenti

Referendum: arrivano i primi contributi

Abbiamo ricevuto una interesssante dichiarazione di voto dal dottor Christian Weidemann, un filosofo tedesco della religione e della scienza, che ha attirato l’attenzione della stampa al recente convegno per l’Astronave dei Cent’anni con una relazione intitolata: “Gesù è morto anche per i Klingon?”. Il dottor  Weidemann ha lavorato come professore assistente presso l’Università di Munster in Germania, al Dipartimento di Filosofia,  Centro di Filosofia della Scienza,  Centro di Etica applicata, e al Dipartimento di  Teologia Protestante, sezione Storia della Chiesa. Dal 2009 è professore assistente presso l’Università della Ruhr a Bochum, al Dipartimento di Teologia Cattolica Romana/Filosofia Cristiana. Nel 2007 ha vinto il prestigioso premio “Karl Alber” per la miglior dissertazione filosofica e tesi post-dottorale con il suo libro “L’indispensabilità della Teologia Naturale”. Ecco l’intervento del teologo. (R.F.)

Io sono critico nei confronti della Prima Direttiva, perché rivela un atteggiamento di superiorità verso le altre civiltà. In questo somiglia alla paternalistica linea “lasciamoli in pace” che molti antropologi e attivisti politici moderni raccomandano nei confronti delle cosiddette società “primitive” della terra. Tuttavia, come reazione al brutale colonialismo e al cinico proselitismo del passato, una tale politica è comprensibile: inconsciamente e involontariamente ripropone un assunto imperialistico centrale. I membri delle società meno sviluppate vengono trattati come   bambini immaturi, incapaci di assimilare nuovi tipi di informazione o visioni del mondo discordanti. Però, nascondere di proposito informazioni  importanti a una persona perché la si ritiene dannosa per lei stessa non è altro che una velata forma di mancanza di rispetto. (nella foto: Christian Weidemann)

Ecco alcune regole generali per l’incontro con una civiltà aliena:
1.    In quanto creature razionali, gli individui extraterrestri intelligenti godono dello stesso status etico e legale degli esseri umani. In termini religiosi: devono essere trattati come nostri fratelli.
2.    Le differenze culturali devono essere rispettate e i requisiti che differiscono solo marginalmente dai nostri devono essere osservati . Tuttavia, se le visioni dominanti politiche, legali o etiche differiscono profondamente (per esempio riguardo alla dittatura, al cannibalismo, all’accusa del sangue, allo stupro abituale…) non possono essere considerate vincolanti per i visitatori umani e dovrebbero essere combattute, entro limiti ragionevoli dipendenti dalle situazioni concrete.
3.    Gli umani che stabiliscono un primo contatto dovrebbero mostrare un atteggiamento umile. Non ha senso cercare di imporre la propria visione religiosa, filosofica o scientifica a una specie aliena prima di aver imparato, o addirittura capito, le più basilari caratteristiche di quella società e del suo patrimonio di conoscenza. Non è affatto improbabile che durante il primo contatto venga fuori che gli allievi in realtà siamo noi.
4.    In linea generale, non c’è ragione di nascondere un certo tipo di conoscenza (o pretesa conoscenza) a una civiltà aliena (forse con l’eccezione degli armamenti). Le informazioni particolarmente scioccanti o sorprendenti dovrebbero ovviamente essere rivelate con cautela e buon senso. Se la maggior parte delle specie aliene non sono inclini a comunicare con noi, o se preferiscono non venire a conoscenza di certi aspetti della realtà, questo deve essere rispettato.
5.    Bisogna garantire che qualsiasi tipo di informazione data ai rappresentanti degli extraterrestri sia resa disponibile a tutti i membri della specie.

CHRISTIAN WEIDEMANN

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20 dicembre 2011 Posted by | Referendum Prima Direttiva, Volo Interstellare | , , , , | Lascia un commento

Prima Direttiva: i motivi di un referendum

Sergio “Doctor Who” Valzania è tornato dal suo più recente viaggio nel tempo con una notizia sensazionale: nel lontano futuro, la Prima Direttiva verrà sottoposta a referendum abrogativo!

Com’è noto questa importantissima norma etica, ispirata alla Carta dell’ ONU, sarà per secoli  uno dei cardini della politica estera della Federazione dei Pianeti Uniti. La Prima Direttiva vieta esplicitamente ogni interferenza con l’autonomo sviluppo di civiltà aliene, con particolare  cura nei confronti di culture tecnologicamente arretrate, che non abbiano ancora sviluppato il motore a curvatura e siano quindi incapaci di realizzare voli interstellari. A tali culture primitive dal punto di vista scientifico, non devono essere trasferite  tecnologie avanzate né rivelate informazioni relative  all’esistenza di altre specie senzienti nell’universo, per timore di uno shock culturale che ne potrebbe alterare irreparabilmente il naturale sviluppo.

Una volta assorbito l’effetto provocato dall’inattesa notizia, in redazione  si è scatenato il confronto tra favorevoli e contrari , ed è continuato, accesissimo, per  parecchie ore. Alla fine siamo giunti alla decisione di coinvolgere nel dibatitto i nostri lettori, indicendo a nostra volta un referendum  sulla Prima Direttiva, anche se solo a carattere consultivo.

Ma c’è dell’altro. Un paio di mesi fa si è tenuto a Orlando, in Florida, il cosidetto Congresso dell’Astronave dei Cent’Anni (100 Year Starship Symposium), dove si è di fatto costituito un movimento che  si dedicherà allo studio del volo interstellare e delle problematiche ad esso collegate in ogni campo e disciplina. Il primo contatto con una specie aliena è evidentemente una di queste,  e la Prima Direttiva è un tentativo di darvi risposta. Il nostro obiettivo è quello di avviare una discussione  sull’argomento, usando come tramite l’universo immaginario di  Star Trek, ormai familiare a tutti, per fornire, in prospettiva, un nuovo contributo al vasto e  frizzante dibattito internazionale attualmente in corso.
Ma lasciamo ora la parola al cronista.

Roberto Flaibani

Dal CORRIERE DELLA SERA del 26 maggio 3051

Entro pochi mesi il volto della Galassia potrebbe cambiare. Poche ore fa infatti la Camera dei Rappresentanti della Federazione dei Pianeti Uniti ha deliberato di sottoporre a referendum abrogativo la Prima Direttiva.
Il processo politico che ha condotto a questo risultato, fino a pochi anni fa assolutamente imprevedibile, è stato lungo e articolato. Con certezza tutto è cominciato quando sulla Terra è stato eletto come rappresentante presso la Federazione un cittadino del più piccolo dei due stati esistenti sul pianeta: un monaco del Monte Athos. L’evento è stato sorprendente dato che la Repubblica Monastica del Monte Athos conta appena duemila abitanti contro gli oltre otto miliardi dell’Unione dei Governi Terrestri. I suoi elettori hanno preferito un monaco ortodosso del Monte Athos a uno qualsiasi dei settemilatrecentodue candidati presentatisi nel collegio Terra. Il sistema elettorale uninominale a un solo turno ha consentito al monaco Epifanio di prevalere sui suoi avversari con poco meno di cento milioni di voti validi, che costituiscono comunque un buon risultato.
Appena entrato in carica il neoeletto ha subito chiarito che il maggiore obiettivo che si prefiggeva nel corso del suo mandato, come del resto risultava dal programma elettorale da lui elaborato e forse letto con poca attenzione da quanti lo hanno votato, consisteva proprio nella cancellazione della Prima Direttiva.

Sergio Valzania

7 dicembre 2011 Posted by | Referendum Prima Direttiva | , , , , | 3 commenti