Il Tredicesimo Cavaliere

Scienze dello Spazio e altre storie

Icarus, il figlio di Daedalus

Salutiamo e ringraziamo Luigi Fontana, noto ed esperto divulgatore di cose di spazio, che per la prima volta ci gratifica firmando le pagine di questo blog.(RF)

EneaFrascatiLaserNo, nulla a che fare con i noti personaggi mitologici, padre e figlio, che con ali costituite di cera e piume d’uccello fuggirono dal labirinto del Minotauro (e Icaro fece la ben nota brutta fine volando troppo vicino al Sole). Icarus è il nome di un interessante progetto sovranazionale, iniziato nel 2009, e volto alla progettazione “realistica” di una sonda robotica interstellare, adatta ad esplorare un sistema stellare vicino, nell’arco di tempo di una vita umana (qualche decennio), raggiungendo velocità dell’ordine dell’8% della velocità della luce.

Il termine “realistico”, a essere onesti, è usato molto generosamente. Le regole del progetto, è vero, ammettono solo tecnologie esistenti, o ragionevolmente prevedibili nel prossimo futuro, ma fanno assunti decisamente ottimistici sui prossimi sviluppi tecnologici, e soprattutto si astraggono completamente da problemi assai concreti come il reperimento dei fondi e l’esistenza o meno di una volontà politica di realizzare poi in pratica un’opera simile.

L’organizzazione che conduce questo studio, Icarus Interstellar, è formata da scienziati e tecnici di varia estrazione, da professionisti di NASA e ESA, a docenti universitari, magari in pensione, sino a semplici entusiasti. Il nome Icarus è stato scelto proprio perché il progetto è un po’ il “figlio” del celebre progetto Daedalus, già trattato in questo blog, un analogo think tank supportato dalla British Interplanetary Society tra il 1973 e il 1978. Al contrario di Daedalus, quasi esclusivamente anglosassone e tutto sommato poco approfondito, Icarus raccoglie collaboratori da tutto il mondo, e soprattutto è molto più dettagliato e sfrutta appieno gli ultimi 40 anni di sviluppo tecnologico per “fare il punto” circa la nostra (alquanto ipotetica, per ora, come vedremo) capacità di costruire una sonda in grado di esplorare, nell’arco di tempo di una vita umana, un sistema stellare vicino.

Longshot spaceship(nell’immagine l’astronave Longshot) È importante sottolineare che Icarus è in buona e serissima compagnia, e non è il frutto di eccessive visite al pub da parte di nerd troppo cresciuti. Anche se la prima sonda interstellare è probabilmente molto lontana nel nostro futuro, pensarci oggi è un utile esercizio, per la comunità scientifica, anche solo per elencare tutti i problemi che dovranno essere risolti, stabilire delle priorità, stendere le specifiche dei software necessari, eccetera.

È un po’ come chiedersi se Dalla Terra alla Luna di J. Verne abbia contribuito al progetto Apollo. La risposta, ragionevolmente, è sì, almeno come fonte di ispirazione per le generazioni di scienziati e tecnici che in poco più di un secolo avrebbero tradotto in pratica i sogni del grande romanziere francese.

Basti pensare che negli ultimi decenni istituzioni serissime, a partire dalla NASA, hanno supportato questi progetti. Proprio la NASA, nel 1987/88 ha progettato con una certa completezza una sonda interstellare interamente realizzabile con la tecnologia disponibile all’epoca (o con sue prevedibili maturazioni, valutate però abbastanza prudenzialmente). E soprattutto con un budget “misurabile”, se non proprio ragionevole. Il progetto Longshot. Per i curiosi, un esteso report è disponibile online a questo indirizzo.

La sonda Longshot peserebbe 396 tonnellate alla partenza, ovvero poco meno della stazione spaziale internazionale (450 tonnellate) che ad oggi è di gran lunga il più pesante manufatto inviato in orbita. Longshot è simile a Icarus per il metodo di propulsione, che descriveremo in seguito, ma si propone di mettere una sonda in orbita attorno ad una stella vicina – il supposto obiettivo è alfa Centauri B – mentre Icarus prevede solo un “flyby”, ovvero un rapido passaggio vicino al corpo celeste di interesse, per poi perdersi nello spazio. C’è una ovvia enorme differenza tra i due profili di missione. Per entrare in orbita bisogna rallentare una volta arrivati in prossimità della destinazione, e per rallentare bisogna portasi dietro il carburante per farlo, carburante che pesa e che va accelerato all’inizio della missione. A conti fatti ne consegue una velocità di crociera più bassa, e quindi un viaggio più lungo, ulteriormente allungato dalla fase di “frenata” finale. Nello specifico, Longshot manderebbe i primi dati a Terra dopo un secolo abbondante dal lancio (ma poi potrebbe studiare il sistema solare bersaglio per anni) mentre Icarus fornirebbe risultati molto più in fretta – 40 o 50 anni – ma solo per alcuni giorni. Le rispettive velocità di crociera sarebbero 4,5% della velocità della luce (13000 km/s circa) contro il 7-8%.

Daedalus(nell’immagine l’astronave Daedalus) Entrambi i progetti si basano su un sistema di propulsione che ad oggi non è ancora stato realizzato nemmeno come prototipo, anche se è una tecnologia molto studiata per la produzione di energia. La fusione a confinamento inerziale. Persino l’idea di base non è tanto semplice. Il combustibile della sonda sarebbero delle “palline” (“pellets“) di una miscela di deuterio e trizio, con un guscio di Litio e altri elementi leggeri. Ognuno di questi pellet viene sganciato nella camera di reazione, dove viene colpito con enorme precisione, da una serie di laser ad alta potenza, che vaporizzandolo ricreano per un istante le condizioni di temperatura e pressione per provocare la fusione nucleare del deuterio e del trizio, un sottoinsieme delle reazioni di fusione che hanno luogo nel nucleo del Sole. Il plasma così formatosi, opportunamente direzionato da campi magnetici, sarebbe espulso ad enorme velocità, fornendo quindi la spinta alla sonda. Icarus prevede di ricavare l’energia per il funzionamento dei laser e del campo magnetico dalla reazione di fusione stessa, in modo però ancora alquanto nebuloso. Longshot, al contrario, prevede di avere a bordo un piccolo reattore nucleare convenzionale, a fissione, di potenza relativamente limitata (300 kW) ma sufficiente per le necessità del volo.

Le sfide tecnologiche di entrambi i progetti, al di là dell’ovvia necessità di costruire almeno un dimostratore funzionante del sistema di propulsione (e già non è poco!) sono formidabili. I principali problemi sono quattro.

  1. Ridondanza e affidabilità. L’idea di un macchinario estremamente complesso in grado di funzionare in modo affidabile per svariati decenni fa tremare qualsiasi ingegnere. Se da un lato l’elettronica ha già dato notevoli prove in questo campo (si pensi alle sonde Voyager, lanciate nel 1977 e ancora in buona parte operative) dall’altro Icarus o Longshot dovrebbero necessariamente avere migliaia di parti mobili, dai sistemi per puntare i telescopi a pompe per il controllo della temperatura. E indovinate cosa si è rotto su uno dei Voyager? L’unica parte mobile, la piattaforma orientabile per sostenere le videocamere… È vero che la tecnologia aerospaziale è ormai alquanto matura e la ridondanza dei sistemi potrebbe sopperire al cedimento di quasi qualsiasi sistema, ma resta l’incubo che tutta la missione possa fallire per un guasto che potrebbe essere facilmente riparato con un cacciavite… se ci fosse qualcuno per azionarlo.

  2. E qui si aggancia il secondo problema. Bisognerebbe sviluppare dei robot di servizio in grado di operare piccole riparazioni, eventualmente dopo un “consulto” col comando missione (consulto che a grande distanza potrebbe richiedere anni, ma è comunque praticabile se non nelle fasi cruciali della missione). La tecnologia in questo campo però è ancora immatura, per non dire embrionale. Basti pensare che sistemi del genere erano stati previsti per la stazione spaziale, dove in realtà operano gli astronauti. Non si è ancora riusciti a costruire un robot che abbia la flessibilità di un operatore umano nelle operazioni “meccaniche”. E non parliamo nemmeno del farlo autonomamente…

  3. Comunicare con la Terra. Ovvio che arrivare sino ad un altro sistema solare e non riuscire poi a comunicare a Terra le scoperte effettuate sarebbe una beffa atroce. Purtroppo trasmettere segnali a qualche anno luce di distanza è tutt’altro che banale. Vero è che avendo già a bordo laser potentissimi per la propulsione, si può usarli anche per comunicare. Ma a conti fatti non si potrebbero trasmettere più di un migliaio di bit per secondo, che è una quantità di informazione davvero modesta. Una singola fotografia ad alta risoluzione richiederebbe circa sei ore di trasmissione. Tanto per fissare le idee, molte sonde scientifiche in orbita intorno alla Terra trasmettono diversi miliardi di bit di dati al giorno!

  4. Viaggiare ad una significativa percentuale della velocità della luce è ovviamente irrinunciabile per realizzare l’esplorazione di un altro sistema solare entro qualche decennio, ma viaggiare a migliaia di chilometri al secondo implica che anche la polvere interstellare sarebbe un rischio significativo in caso di urto. Sia Icarus che Longshot prevedono degli scudi ablativi contro la polvere più fine, ma anche un granello di sabbia, a quelle velocità, potrebbe facilmente danneggiare o addirittura mettere fuori uso qualcosa di vitale. E non c’è modo di difendersi da questo in modo efficiente. Da questo punto di vista Longshot, prevedendo di rallentare in prossimità del bersaglio, abbassa leggermente la percentuale di rischio, ma non di molto.

A monte di tutte questi problemi tecnici possiamo mettere ancora tre considerazioni, due positive ed una negativa.

  1. La prima positiva è presto detta. Il primo pianeta extrasolare è stato scoperto solo una ventina di anni fa (1992). Già oggi se ne conoscono più di 1000. E’ quindi sicuro che quando (o se?) si lancerà una sonda interstellare come quelle qui descritte, lo si farà verso un sistema solare che contiene certamente almeno un pianeta ritenuto interessante dal punto di vista della possibilità dei sviluppo della vita (anche in una possibile ottica di successiva colonizzazione).

  2. Pure positivo è il fatto che la miniaturizzazione ha compiuto passi da gigante, impensabili ai tempi di Dedalus e forse anche ai tempi di Longshot. Forse la nostra prima sonda interstellare potrebbe avere le dimensioni di un furgone, non quelle di una nave, con conseguente abbattimento dei costi.

  3. Quella negativa non è una considerazione tecnica, ma “sociale”. L’umanità ha perseguito per quasi tutta la sua storia progetti che chiaramente non avrebbero potuto essere portati a termine nel corso di una generazione. Basti pensare alle piramidi egizie, ai castelli medioevali oppure alle grandi cattedrali. Oggi non più. L’ultimo progetto di questo tipo (la chiesa della Sagrada Familia di Barcellona, iniziata nel 1882 e considerata a metà strada nel 2010) incontra notevoli problemi di finanziamento, e comunque, quando la si cominciò, si sperava di finirla entro qualche decennio.

Icarus(nell’immagine l’astronave Icarus) Forse, come società, abbiamo perso la capacità di pensare sui tempi lunghi, e personalmente reputo molto improbabile che qualche governo, o insieme di governi, che comprensibilmente mira soprattutto a farsi rieleggere, approvi finanziamenti colossali per un progetto che, se va tutto bene, darà i suoi frutti tra 100-120 anni (ammettendo un ottimistico intervallo di soli trent’anni tra l’avvio del progetto e il lancio). Lo spirito di chi lavorava ad una cattedrale sapendo che solo il suo bisnipote l’avrebbe vista finita mi sembra perduto nella moderna frenesia.

A meno che telescopi di prossima generazione – questi sì molto realistici e in parte già in costruzione o in studio – non ci mostrino attorno a qualche stella vicina un pianeta particolarmente attraente. Questo, forse, costituirebbe uno stimolo potentissimo per realizzare la prima sonda interstellare, che come detto sopra potrebbe essere più semplice e leggera di Longshot o Icarus. Sempre che nel frattempo non salti fuori qualche rivoluzione tecnologica nel campo della propulsione che renderebbe di colpo obsolete tecnologie per ora ancora futuribili. Non ci resta che aspettare.

LUIGI FONTANA

 

Credits: ENEA Frascati,  NASA, British Interplanetary Society, Icarus Interstellar.

 

25 marzo 2014 Posted by | Astrofisica, Astronautica, Scienze dello Spazio, Volo Interstellare | , , , , , | Lascia un commento

British Interplanetary Society, 80 anni di pensiero visionario

BIS marchio tondo baseE’ da più di un mese che forniamo ai lettori di questo blog notizie in merito alla British Interplanetary Society (BIS) e alla sua neonata sezione italiana (BIS-Italia), mentre siamo giunti ormai al quarto appuntamento dell’iniziativa “Musica nello Spazio”, quello conclusivo. Come prima uscita pubblica, BIS-Italia non poteva sperare in un successo pù limpido, anche se contenuto nei numeri: la saletta messa gentilmente a disposizione da Technotown nello splendido parco di Villa Torlonia è andata gradatamente riempiendosi ad ogni appuntamento, tanto che al terzo incontro c’era gente in piedi e un gruppo di ragazzini nelle prime file, attenti e curiosi. Prevedere un’analoga affluenza per sabato 6 aprile è facile profezia.

Ma perchè tutto questo entusiasmo, che stiamo cercando in tutti i modi di trasmettervi? Perché la BIS è quanto di meglio esista nel settore delle organizzazioni non governative dedicate allo Spazio. E’ prima di tutto un “think tank”, cioè un gruppo di “pensatori” di cui fanno parte fior di scienziati e ricercatori. L’opinione della BIS ha una notevole influenza nella comunità aereospaziale, e rappresenta un punto di vista indipendente da quello delle grandi agenzie spaziali nel grande dibattito internazionale. In molte occasioni, il “pensiero visionario” dei soci della BIS, che la BIS stessa ha presentato al mondo sotto forma di proposte ufficiali, si è rivelato precusore di molti progetti spaziali effettivamente realizzati decenni più tardi: The Project Manned Orbital Winged Rocket (1950) e The BIS Space Station (1958) ne sono un buon esempio. Altri progetti sono attualmente in corso, come Project KickSat e Project 2033. La BIS, inoltre, svolge un’intensa attività editoriale, pubblicando tre riviste periodiche: Spaceflight, Space Chronicle e The Journal of the British Interplanetary Society, più una newsletter online, chiamata Odyssey, delle quali abbiamo già parlato in un articolo precedente.

BIS IT logoMa non solo. Molti soci BIS non si limitano a curare solo i loro interessi scientifici ma coltivano anche ambizioni letterarie che la BIS non ignora, ma anzi promuove. Ecco quindi che la narrativa di fantascienza viene gratificata di grande considerazione e non bollata come letteratura di serie B. Citeremo un solo nome: Arthur C. Clarke, che anche chi non legge fantascienza non può non conoscere come ispiratore, con il suo racconto The Sentinel, di quell’incredibile film che è 2001 Odissea nello Spazio.

Forti di questo non indifferente patrimonio d’immagine, i due fondatori Fabrizio Bernardini e Paolo D’Angelo hanno lanciato BIS-Italia con l’ormai nota manifestazione in quattro atti “Musica nello Spazio”. Per il futuro si pensa di costruire una presenza qualificata su Facebook e una collaborazione approfondita e sistematica con Technotown nel campo della divulgazione scientifica. Ma di questo  riparleremo ben presto.

2 aprile 2013 Posted by | Astronautica, Fantascienza, News, Scienze dello Spazio | , , , | Lascia un commento

Che fine hanno fatto i soldi del Pentagono?

Il fatto che il Pentagono finanzi i viaggi interstellari è, già di per se,  una notizia straordinaria. Ma c’è di più:  un gruppo di scienziati giovani e disinvolti, il rilancio di una vecchia gloria dell’astronautica, fughe di notizie, documenti che appaiono e scompaiono….. ma che cos’è, una spy – story?  No, sono i primi  vagiti del neonato movimento per il volo interstellare. Poveri noi.

Scenario, personaggi e interpreti.

Nel 2009 prende vita Project Icarus, frutto della collaborazione tra due ONG dello Spazio: la British Interplanetary Society (BIS), prestigiosa associazione attiva fin dagli anni ’30, che ha contato tra i suoi iscritti Sir Arthur C. Clarke, e l’americana Tau Zero Foundation (TZF), col suo presidente Marc Millis, ex dirigente NASA, Paul Gilster e il suo blog Centauri Dreams, e l’italiano Claudio Maccone, padre della missione Focal, il più importante tra i progetti antesignani al volo interstellare. Lo scopo di Project Icarus è quello di aggiornare e approfondire in cinque anni un progetto precedente, portato a termine dalla sola BIS negli anni ’70 e chiamato Project Daedalus, il cui obiettivo era di effettuare la progettazione di massima di una sonda interstellare robotizzata capace di raggiungere un sistema stellare vicino al nostro e di rimandare indietro i dati raccolti, il tutto in un periodo di tempo non più lungo di una vita umana.

I paesi occidentali sono in piena crisi economica e ne risentono anche i programmi spaziali: il presidente Obama chiede al mondo scientifico di rinunciare spontaneamente alle missioni più costose, rimanda ancora lo sbarco su Marte,  e si dichiara favorevole a una missione verso un asteroide, pensando, senza dirlo, al fly-by di Apophis nel 2029. Cresce il malcontento e c’è perfino chi accusa la NASA, dopo decenni passati a occuparsi di Shuttle e a costruire la ISS, di aver dimenticato la sua vocazione all’eplorazione per trasformarsi in una sorta di agenzia di recapito pacchi!

C’è bisogno di segnali forti, di una nuova strategia a lunga scadenza. Sarà la DARPA, l’agenzia per l’alta tecnologia del Pentagono, nella persona di David Neyland, a farsi interprete di questo sentimento, coinvolgendo l’Ames Research Center della NASA e un folto gruppo di privati (imprenditori dell’alta tecnologia, rappresentanti di varie ONG dello Spazio, perfino un paio di scrittori  di fantascienza)  in uno studio sul volo interstellare, che presuppone un ambiziosissimo approccio multidisciplinare proiettato cento anni nel futuro, e forse oltre, chiamato 100 Year Starship Study (100yss). Lo studio si è concluso con una fragorosa manifestazione finale, il 100yss Public Symposium, definita da molti “la Woodstock dell’interstellare”, svoltasi a Orlando, in Florida, alla fine di  settembre 2011. La DARPA, inoltre, mette in palio un premio di 500.000 dollari, da devolvere all’ente che dimostri di essere in grado, meglio di ogni altro, di dar vita a una organizzazione capace di acquisire, da qui a un secolo, il bagaglio di conoscenze di base e relative tecnologie e quant’altro è necessario, secondo il citato approccio multidisciplinare, al fine di costruire un’astronave in grado di effettuare un volo interstellare.

Cronaca recente

Il vincitore del premio, dice la DARPA, sarà scelto tra gli enti rappresentati come relatori alla manifestazione di Orlando (regolari “call for papers” erano stati emanati in  precedenza), e la sua identità resa nota il giorno 11/11/11.

(nella foto: Kelvin Long)Approfittiamone per fare un balzo temporale all’indietro e annotare la prima stranezza. All’inizio di agosto era apparsa su Centauri Dreams la lieta notizia che, grazie all’intraprendenza dei suoi dirigenti Kelvin Long, Richard Obousy e Andreas Tziolas, dal Project Icarus aveva preso vita una nuova, più grande associazione no-profit, Icarus Interstellar, che non solo avrebbe garantito lo svolgimento del progetto originale fino alla sua naturale scadenza del 2014, ma avrebbe organizzato e supportato numerosi altri progetti ed eventi. Fin qui tutto bene, se non che i tre di cui sopra decidono di presentare la nuova sigla a Orlando in piena competizione per il premio DARPA con  chiunque, perfino con i padri fondatori BIS e TZF! Tradimento? No, pare che la logica sia un’altra: i tre staff sono già molto sovrapposti, nel senso che molti collaboratori ricoprono incarichi in più di una delle organizzazioni, e si vorrebbe offrire al selezionatore la possibilità di scegliere tra diversi approcci al volo interstellare invece che fare blocco su di un’unica formula. Castelli in aria? Bizantinismi? Lo vedremo.

(nella foto: Richard Obousy) Intanto la fatidica data del 11/11/11 è passata e DARPA non ha fatto sapere nulla sull’identità del vincitore. Si vocifera che il processo di selezione si stia rivelando più complicato del previsto e che l’annuncio potrebbe essere rinviato di parecchie settimane. Raffreddati i bollenti spiriti, ci stiamo ormai preparando a una lunga attesa, quando i tre iperattivi di Icarus rimettono improvvisamente la palla in gioco con una mossa audace che potrebbe avere esiti imprevisti. Il 10 dicembre, infatti, il quarto numero della newsletter di Icarus presenta orgogliosamente la nascita di una alleanza con due nuove organizzazioni: Foundation  for Enterprise Development (FED) e Dorothy Jemison Foundation for Excellence (DJF).

(nella foto: Andreas Tziolas) In effetti le competenze della FED nel mondo imprenditoriale, nel lavoro cooperativo e nell’amministrazione e gestione aziendale sono preziose per un ente che nasce ora con l’obiettivo di durare almeno 100 anni. Altrettanto si può dire per DJF e le sue competenze nell’insegnamento, la didattica,  la psicologia infantille e dell’adolescenza. Ma queste potenti alleanze hanno un prezzo. Se da una parte Icarus mantiene il  controllo su tutti gli aspetti tecnico-scientifici dell’impresa, dall’altra deve però rinunciare alla leadership: l’immagine pubblica di Mae Jemison, presidente della DJF, è infatti così vivida da surclassare completamente  quella dei tre direttori di Icarus, per quanto dinamici e simpatici possano essere.

(nella foto: Mae Jemison) Ma chi è Mae Jemison? E’ la prima donna afro-americana ad aver volato nello spazio (Shuttle Endeavour – 1992). Laureata in Ingegneria e Chimica alla Stanford  University e ottenuto un dottorato in medicina alla Cornell, passa due anni e mezzo in Africa Occidentale con il Peace Corps. Oltre all’inglese parla russo, giapponese e swahili. Dimostra capacità imprenditoriali creando diverse società e fondazioni dedicate allo sviluppo scientifico e tecnologico dei paesi del terzo mondo, promuovendo modelli di sviluppo sostenibili, sempre con molta attenzione ai problemi dell’ambiente, e trova perfino il tempo per apparire in un episodio di Star Trek – The Next Generation.

Da allora fino al 31 dicembre non succede nulla. Ma il giorno dopo, domenica primo gennaio, Centauri Dreams esce con un breve comunicato in cui ci  si congratula con i  tre di Icarus e la Jemison per la vittoria, ma dopo poche ore, e purtroppo prima che noi si riesca a leggerlo per intero, il documento viene ritirato e cancellato dal web! Ne rimane solo una traccia sul nostro feed reader, abbastanza comunque per chiedere  chiarimenti, e Paul Gilster ci spiega di aver ritirato l’articolo su richiesta dei vincitori, che hanno bisogno di tempo per presentarsi con un comunicato stampa congiunto. Tanta generosità viene mal ripagata perchè lo scoop lo fa Sharon Weinberger di BBC News quattro giorni dopo, basandosi su una fotocopia della notifica di vittoria inviata dalla DARPA alla Jemison a riscontro della sua proposta intitolata “An Inclusive Audacious Journey Transforms  Life Here on Earth & Beyond“. Subito dopo la BBC, danno la notizia anche Popular Science e Discovery News.

Epilogo

Ma in tutto questo rincorrersi di dichiarazioni ufficiali e ufficiose, notifiche originali e loro fotocopie, articoli che appaiono e scompaiono, la DARPA che fa? Assolutamente nulla: i portavoce si nascondono dietro un muro di no comment, e l’agenzia semplicemente ignora la fuga di notizie, giustificando il suo silenzio con il rispetto delle procedure burocratiche previste in questi casi. Quindi non saranno rilasciate notizie di nessun genere fino a che l’iter non sarà concluso.

(nella foto: Marc Millis) Marc Millis, presidente della Tau Zero Foundation, che al 100yss Symposium veniva dato in pole position, sa come uscire di scena con eleganza. Così commenta, infatti, su TDZ Friday: “Per l’esperienza che ho della burocrazia federale, tutto ciò è molto strano …….. Un tale livello di segretezza lascia intendere un messaggio sbagliato, dà l’impressione che ci sia qualcosa da nascondere. Io comunque non mi propongo affatto di scavare più a fondo in questa stramberia e non ho nessuna intenzione di contestare la decisione della DARPA, tanto per essere chiaro ed esplicito.” E fa sapere di considerare un’eventuale apertura delle ostilità tra TZF e i vincitori “un disservizio per la comunità” e anzi di essere in attesa, nei prossimi mesi, di qualche proposta di collaborazione da parte di Jemison e soci.

(nella foto: Paul Gilster) Paul Gilster, anch’egli socio fondatore di TZF, dirige dal 2005 Centauri Dreams, un blog diventato ormai  una vera e propria icona del movimento per il volo interstellare. Informatissimo, imparziale, elegante nella forma, arriva a pubblicare anche una decina di articoli a settimana. Gilster fa bene attenzione a mantenersi super partes, accentuando le caratteristiche di servizio del suo blog. Anche se formalmente collegato con la fazione perdente, la sua stella brilla vivida, seconda solo a quella della Jemison.

Speriamo che le nebbie della burocrazia si disperdano presto, riportando aria limpida sul neonato movimento, e che la Jemison sappia diventare quel leader carismatico, pragmatico ed ecumenico di cui c’è un forte bisogno.

ROBERTO FLAIBANI

23 gennaio 2012 Posted by | Astronautica, Scienze dello Spazio, Volo Interstellare | , , , , , , , | Lascia un commento

Il Grande Risiko Lunare è incominciato

Il direttore tecnico dell’ International Academy of Astronautics, dott. Claudio Maccone (il primo da destra nella foto), ìl 10 giugno 2010 ha presentato a Vienna, presso la Commissione delle Nazioni Unite sull’uso pacifico dello spazio extra-atmosferico (UNCOPUOS) il Progetto PAC (Cerchio Antipodale Protetto) per proporre che una zona della Luna, situata sulla faccia nascosta esattamente agli antipodi della Terra, una ben determinata zona di spazio ad essa sovrastante (detta cono di radio quiete), e il punto di librazione L2 del sistema Terra-Luna, vengano dichiarati al più presto zona protetta e garantita dall’ONU, che vi imporrà il totale silenzio radio. Lo scopo del progetto è di formalizzare l’istituzione di una zona di radio quiete per evitare che qualcuno, stato o società privata, si arroghi il diritto di installarsi in quella che domani dovrebbe diventare l’ultima spiaggia, ma anche il paradiso dei radioastronomi. Ulteriori informazioni in: “Il Progetto PAC e il futuro della Radioastronomia” e “Storia e numeri del PAC”.

Qualche mese dopo, alla fine di novembre del 2010, la Lockheed Martin Corporation, un’importante società aerospaziale, ha fatto circolare un documento di presentazione delle cosidette missioni “L2 – Farside”, da svolgerrsi a partire dal 2016 – 2018. Queste missioni permetterebbero di raggiugere due importanti obiettivi scientifici:

  • l’esplorazione del polo sud lunare e del circostante Bacino di Aitken, una zona di primario interesse esogeologico

  • l’inizio della costruzione di un grande radiotelescopio sulla faccia nascosta della Luna, nel cratere Daedalus

Nella tipica missione ”L2 – Farside”, della durata di 35 giorni, la fase esplorativa e ogni altra attività sul suolo lunare, sarà affidata a un nuovo robot molto sofisticato, telecomandato in tempo reale da tre astronauti ospitati in un modulo Orion (costruito dalla stessa Lockheed Martin Corporation) orbitante intorno al punto L2. Un numero ancora imprecisato di missioni “L2 – Farside” costituirà l’occasione per collaudare apparecchiature, procedure e mezzi, nonché acquisire nuove conoscenze sopratutto in campo medico, in previsione di ben più lunghe e ambiziose missioni, come l’abbordaggio di un asteroide o la spedizione su Marte. Questo, in estrema sintesi, è quanto viene comunicato dalla Lockheed Martin Corporation. I lettori possono facilmente reperire in linea il documento originale, denominato “LMFarsideWhitepaperFinal.pdf”. A questo punto si impongono alcune considerazioni:

  1. la costruzione di un grande radiotelescopio sulla faccia nascosta della Luna è certamente uno dei più affascinanti tra i progetti a lunga scadenza attualmente allo studio. Ma gli alti costi e i problemi di ingegneria che comporta ne rimandano la realizzazione a fine secolo, se non oltre. Allora perché la Lockheed indica questo progetto tra gli obiettivi primari delle missioni “L2 – Farside”?

  2. La stessa attenzione non è però riservata al Progetto PAC, che pure è propedeutico alla realizzazione del radiotelescopio, ed è un’iniziativa ufficiale di livello mondiale. Nell’intero documento della Lockheed non se ne fa parola.

  3. Il punto L2 appare profondamente immerso nel cono di radioquiete che sovrasta il PAC, e di sicuro non ha una linea di vista diretta con la Terra, checché ne dicano gli esperti della Lockheed. Maccone chiede che L2 venga considerato off-limits, per garantire la piena radioquiete del PAC sottostante. Ma dove è previsto che dovrebbe posizionarsi il modulo Orion per condurre al meglio le operazioni durante le missioni “L2 – Farside”? Proprio in orbita intorno a L2, guarda caso!

Abbiamo allora ritenuto indispensabile rivolgerci direttamente al dottor Maccone, che ha così commentato:

Io la intendo cosi`: che la Halo orbit attorno a L2 di Terra-Luna e`(debba essere, ndr) CIRCOLARE DI RAGGIO COSI` GRANDE DA VEDERE SIA TERRA CHE MOON FARSIDE (contemporaneamente, ndr)

In quanto al PAC, certo che sarebbe inondato da onde elettromagnetiche, ma di frequenze sperabilmente DIVERSE da quelle ascolate dal (futuro, ndr) radiotelescopio (che sorgerà,ndr) nel cratere Daedalus.

……..

In conclusione, anche con (nonostante, ndr) Orion, si protrebbe comunque fare della buona radio astronomia da Daedalus perche` l’enorme quantita` di noise (rumore, ndr) CHE VIENE DALLA TERRA e` comunque schermata, e il poco noise di Orion su bande note non dovrebbe costituire un problema. “

Di fronte a tanta diplomazia e a parole così sagge ed equilibrate, anche dei ruvidi e sospettosi freelance come noi devono chinare il capo e scendere a più miti consigli. Ci auguriamo quindi che il messaggio moderato di Maccone convinca gli uomini della Lockheed a rinunciare a eventuali atteggiamenti arroganti o prepotenti, e a comportarsi con maggior rispetto per la comunità scientifica internazionale e per le sue iniziative.

ROBERTO FLAIBANI

27 giugno 2011 Posted by | Astronautica, Carnevale della Fisica, Radioastronomia, Scienze dello Spazio | , , , , | 2 commenti

Avverrà nel Ciberspazio il primo volo interstellare

Icarus non va confuso con Ikaros, la sonda giapponese a vela solare, attualmente in rotta verso Venere, nell’universo reale. Icarus non volerà mai se non nel Ciberspazio, perchè si tratta di uno studio puramente teorico volto alla progettazione, di una sonda automatica capace di compiere voli interstellari della durata di 50-100 anni a velocità “relativistiche”, pari cioè a frazioni rilevanti della velocità della luce. A lavori conclusi, il team di Icarus si propone però di allestire una vera e propria missione virtuale, riutilizzando i modelli matematici computerizzati di tutti i sistemi di bordo, e altro software, che sarà prodotto a vario titolo per esigenze di progettazione. Servirà quindi un programma di Intelligenza Artificiale che coordini il funzionamento delle singole parti, ma, fatto questo, l’astronave virtuale sarà completa e pronta a essere assemblata in orbita.

Comunque sarà necessario creare molto altro software per simulare i differenti ambienti interplanetari in cui la sonda si muoverà nella fase iniziale e finale del volo, e per mantenere la simulazione al passo col crescere delle nostre conoscenze. Sarà in effetti “solo” una simulazione, ma avverrà in tempo reale, e avrà quindi una durata non inferiore ai 40 anni! Così, tra gli addetti ai lavori, sta prevalendo l’opinione di dichiarare l’intero codice sorgente di Icarus di pubblico dominio, una volta conclusa la progettazione, aprendo così la missione nel Ciberspazio al contributo volontario di un gran numero di esperti indipendenti. Ci sono ottimi motivi per far decollare veramente la missione: prima di tutto costituirebbe il migliore e il più completo dei test per tutti i sistemi e sottosistemi in cui il Progetto Icarus è articolato. In secondo luogo, se presentata ad un pubblico di giovani e studenti, avrebbe un notevole valore didattico. Per consentire al pubblico di interagire con l’astronave, verrà programmata un’interfaccia utente la cui schermata base assomiglierà a quella riprodotta qui sotto.

Descrizione figura – da destra verso il basso:


display con i dati generali della missione: tempo trascorso, velocità, distanza dalla Terra, ecc.


mappa stellare, da cui ottenere rotta e posizione


pannello di controllo: cliccando opportunamente i bottoni e le icone disponibili si possono ottenere i grafici delle prestazioni dei vari sistemi e sottosistemi


in basso a sinistra: il display  mostra l’attività in cui Icarus è impegnato in quel momento

Il Progetto Icarus è un’iniziativa della Tau Zero Foundation in collaborazione con la British Interplanetary Society, nel cui ambito era stato organizzato, negli anni 70, il progetto Daedalus, il primo studio relativo a una sonda robotizzata capace di raggiungere la Stella di Barnard, distante 5,9 anni luce dal Sole, in un arco di tempo non superiore alla durata di una vita umana. Icarus rappresenta un aggiornamento di Daedalus e un approfondimento di notevole portata, basti pensare che il team di Daedalus lavorò dal ’73 al ’78 per complessive 10.000 ore/uomo, mentre il ben più numeroso team di Icarus, nello stesso lasso di tempo, prevede di superare le 35.000 ore/uomo.

Oltre alla durata massima della missione e alla capacità di raggiungere velocità relativistiche, Icarus dovrà rispettare un certo numero di specifiche di base, per esempio avere la capacità di trasmettere alla Terra dati scientifici relativi al sistema planetario di destinazione e al mezzo interstelllare; impiegare solo tecnologie d’uso corrente, o che potebbero essere ragionevolmente sviluppate in un futuro prossimo; far fronte a eventuali guasti o danneggiamenti, autoriparandosi. Sono ormai oltre 400 i pianeti extrasolari (esopianeti) individuati con certezza, e la sonda Kepler ha recentemente inviato le coordinate di 750 nuovi possibili esopianeti, raccolte in soli 43 giorni di osservazione! Di fronte a dati come questi, è stato deciso che Icarus dovrà essere in grado di operare correttamente in una varietà di sistemi planetari differenti, e non più solo in quello scelto come obiettivo primario della missione. Come già per Daedalus, anche per Icarus il sistema principale di propulsione dovrà essere un motore a fusione nucleare; mentre, a differenza di Daedalus, una volta arrivato a destinazione, Icarus dovrà essere in grado di compiere una manovra di decelerazione, per avere più tempo da dedicare agli esperimenti scientifici e alla raccolta dei dati.

La progettazione di Icarus è stata suddivisa in 20 moduli, e di alcuni di essi non abbiamo potuto nemmeno accennare, mentre parecchi temi tra quelli qui affrontati meriterrebbero un approfondimento. Ritorneremo presto a parlare del Progetto Icarus.

Fonte: Project Icarus

19 giugno 2010 Posted by | Astronautica, Ciberspazio, Scienze dello Spazio | , , , , | 1 commento