Il Tredicesimo Cavaliere

Scienze dello Spazio e altre storie

Il planetario: un percorso tra archeologia e tecnologia

Planetario tipo

Il Planetario, oggi, si presenta come uno strumento di sintesi tra la sfera celeste e la rappresentazione dei principali moti dei corpi celesti che su di essa si spostano. In passato questi due aspetti erano studiati separatamente: per la sfera celeste venivano utilizzati mappe e globi, per il moto dei corpi si utilizzavano le sfere armillari. Nel III secolo a. C., ad Alessandria d’Egitto, Eratostene costruì la prima sfera armillare, costituita da anelli metallici (armillae), ciascuno dei quali rappresentava uno dei cerchi di riferimento per l’orientamento celeste: equatore, orizzonte, eclittica, meridiani e paralleli. Tale strumento, nato come espressione del sistema geocentrico, seguì l’evoluzione delle conoscenze dell’uomo e venne adeguata al sistema eliocentrico, sostenuto da Copernico. Nei musei se ne trovano di varia dimensione e foggia, espressione del valore estetico relativo al periodo di costruzione.
Comunque, l’esigenza di rappresentare un cielo trapunto di stelle (su pareti, mappe, quadri o meglio ancora su di un soffitto, così da simulare proprio la volta celeste) risale alla notte dei tempi…
In epoca sumerica, III millennio a.C., venivano costruiti planisferi in terra cotta su cui erano riportati segmenti con l’iscrizione del nome di un mese dell’anno, associato ad una costellazione e ad un numero. Sul retro, poi, era descritta in cuneiforme la posizione di determinate stelle.

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Sempre risalenti al III millennio a.C. sono le incisioni rupestri rinvenute in Armenia, sul monte Gegama non lontano dal lago Sevan; su di esse sono raffigurate le stelle del Leone, dello Scorpione e del Sagittario, così come erano visibili ad occhio nudo. Le stelle sono rappresentate da un cerchio con un punto al centro e di diametro diverso in base alla loro luminosità. Alcuni studiosi sostengono che gli abitanti degli altopiani armeni praticavano la divisione della sfera celeste in costellazioni già molto tempo prima dei Greci e degli Egizi.
Ed ancora, datato 1.600 a.C. è un manufatto, noto come Disco di Nebra, rinvenuto in Germania una ventina  di anni fa, nel quale è rappresentato il cielo notturno.
Tra le mappe una delle più antiche, se non la più antica, è la mappa celeste cinese, risalente al VII secolo d.C., rinvenuta nella grotta di Dunhuang, in Cina, intorno agli anni cinquanta ed ora conservata presso il British Museum di Londra. Lunga circa 2 metri, mostra 1339 stelle rappresentate con tre colori diversi e organizzate in costellazioni, tra le quali sono  riconoscibili forme quali il Grande Carro e Orione.

Sicuramente le rappresentazioni più suggestive del cielo stellato sono quelle che raffigurano la volta celeste su di un soffitto. Diverse erano le motivazioni alla base della loro realizzazione, dalla pura esigenza estetica alla rappresentazione del cielo di un determinato giorno per suggellare un evento particolare.
Una delle testimonianze più antiche di rappresentazione del cielo notturno su di un soffitto è nella tomba di Senenmut, l’architetto di corte e amante della regina-faraone Hatshepsut, figlia legittima del faraone Tuthmosi I nella XVIII dinastia. Per la gloria ultraterrena della regina fu costruito il grande complesso templare di Deir el Bahari, vicino al quale si trova la toma dell’architetto; nella camera A di questa è dipinta una delle più complete rappresentazioni del cielo degli Egizi. Dalla posizione degli astri, gli scienziati sono potuti risalire al periodo della realizzazione individuato intorno al 1463 a.C.. Un altro bellissimo soffitto astronomico si trova nella tomba ipogea della bella regina Nefertari (1295-1255 a.C.), moglie del faraone egizio Ramses II, nella Valle delle Regine. Tutto il soffitto ha come sfondo un cielo stellato di un intenso blu scuro, su cui risaltano i dipinti che illustrano il viaggio verso la notte e il sonno eterni di Nefertari. Presso gli Egizi la notte era simboleggiata dalla dea del cielo Nut, rappresentata come una donna piegata ad arco sopra la terra, nell’atto di inghiottire il Sole al tramonto per partorirlo di nuovo all’alba.

2_rappresentazione dea Nut(fig.2)

Le stelle, disseminate su questo soffitto, come su tutte quelle di tombe e templi egizi, sono sempre a cinque punte: un tipo di stella (detta anche pentagramma o stella pitagorica) a figura geometrica, costruita sulla base della sezione aurea. Un altro esempio importante del periodo egizio, ma più tardo, IV-III sec. a.C., si trovava nel Tempio di Hathor a Dendera, ora in esposizione al Louvre di Parigi. Si tratta di un bassorilievo, in pietra arenaria, di forma quadrangolare che racchiude un disco centrale di 155cm. di diametro, costruito presumibilmente tra il 54 e il 21 a.C.. Esso, riconosciuto al momento come la più importante rappresentazione delle costellazioni egizie e la mappa più completa di tutto il cielo antico, si presenta come una sintesi tra le 12 costellazioni zodiacali di origine assiro-babilonese e greca, posizionate al centro, e quelle egizie che le circondano.

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Ampie volte trapunte da mosaici di stelle, generalmente prive di riferimenti astronomici, caratterizzano edifici e chiese di epoca bizantina, come il Mausoleo di Galla Placidia a Ravenna (V secolo d.C.), la cui cupola è ricoperta da ben 570 stelle dorate disposte in cerchi che sembrano creare quasi un effetto di proiezione verso lo spazio infinito. E più tardi le volte affrescate del periodo medioevale, quali la Cappella degli Scrovegni a Padova, la Basilica superiore di San Francesco ad Assisi, la cattedrale di Siena, il Duomo di San Gimignano e molte altre. Un esempio diverso di volta stellata è presente identico in due monumenti fiorentini: la Sagrestia Vecchia nella chiesa di San Lorenzo e la Cappella dei Pazzi in quella di Santa Croce. Gli affreschi riportano la stessa configurazione astronomica del cielo che, dopo accurati studi, è stata identificata in quella visibile su Firenze il 4 luglio 1442, giorno in cui Renato d’Angiò arrivò nella città per chiedere un appoggio militare, per riconquistare il trono del Regno di Napoli sottrattogli da Alfonso d’Aragona.

4_Sagrestia vecchia_San Lorenzo_Firenze(fig.4)

Ed ancora, nella prima metà del Cinquecento, in periodo Rinascimentale, il cielo stellato sulla volta dell’Oratorio romanico di Santa Maria in Solario a Brescia. Particolare, invece, è la volta del salone del Collegio del Cambio a Perugia, divisa in sei spicchi triangolari ed una la vela centrale a forma di losanga, che il Perugino affrescò nel 1500. In ciascuno spicchio si trova la personificazione di un dio/pianeta abbinato a segni zodiacali e raffigurato su un carro trionfale trainato da animali. Sono presenti anche il Sole, rappresentato da Apollo, e Diana che simboleggia la Luna.

5_collegio del Cambio_Giove(fig.5)

A tutte queste espressioni di cielo stellato, però, manca un aspetto importante l’effetto tridimensionale, che si ha all’interno della cupola di un planetario. Testimonianza dei primi tentativi di costruzione di globi celesti tridimensionali si ha già nel VI e nel III secolo a.C. ma nessun reperto è giunto fino a noi. Si hanno solo documentazioni indirette, come testi, illustrazioni o addirittura mosaici, quale quello conservato nel Museo Nacional de Arte Romano a Merida, in cui è raffigurato un globo affiancato dal poeta astronomo greco Arato (III secolo a.C.), autore del poema Phoenomena e costruttore di un globo, basato sulle concezioni astronomiche di Eudosso del IV secolo a.C., anche questo andato perduto. Un particolare globo in marmo bianco, inciso da numerosi cerchi e fori, fu rinvenuto nel 1985 nella città di Matelica, mentre venivano eseguiti lavori di restauro del palazzo pretorio. Un accurato studio sia dal punto di vista astronomico che archeologico, ancora peraltro in atto, ha riconosciuto il reperto, databile tra il II e il I secolo a.C., come la sintesi tra due diversi strumenti: una sfera armillare ed un orologio solare sferico. Altro globo astronomico antico è quello in marmo di 65 cm di Ø, portato da Atlante sulle spalle, “Atlante Farnese”, scultura del II sec. d.C. forse riproduzione di un’opera antecedente, che troneggia all’ingresso del Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Su di esso è scolpita la posizione occupata dalle costellazioni nel cielo, secondo il catalogo di Ipparco di Nicea del II sec. a.C..

6_atlante farnese(fig.6)

Bello il globo in legno, conservato presso il museo di Khiva (Uzbekistan) e costruito da Ulugh Bek, sovrano dell’Impero timuride ed importante astronomo e matematico del XV sec.. Su di esso sono raffigurate le principali costellazioni, secondo il catalogo delle Tavole Zig, sempre stilato dal sovrano nel 1437 e usato in Europa fino al XVII sec..

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Interessante anche quello costruito nel 1589 da Petrus Plancius (Pieter Platevoet) insieme a Jacob Floris van Langren, in cui sono raffigurate, anche se in posizione non precisa, le costellazioni dell’emisfero celeste sud.I globi, comunque, offrono una visione del cielo dall’esterno, e non quella immersiva che si ha nei planetari moderni. Per trovare una struttura concettualmente simile a questi, bisogna aspettare la metà del Seicento, almeno secondo le testimonianze storiche ed archeologiche finora raccolte. Questa si trova presso l’Antico Osservatorio Astronomico di Pechino, costruito nell’epoca delle dinastie Ming e Qing ed uno dei più antichi del mondo. La costruzione dell’osservatorio iniziò nel 1437, in sostituzione di un’antecedente torre astronomica di legno, e fu successivamente implementato prima ad opera dei musulmani e in seguito dei gesuiti; da ricordare tra questi ultimi l’importante figura di padre Matteo Ricci.

8_costellazioni sull'emisfero celeste(fig.8)

Nelle sale adiacenti al corpo principale dell’osservatorio si trova un museo dedicato all’astronomia cinese; sul tetto, invece, sono collocati gli strumenti in bronzo progettati nel 1674 dai gesuiti su commissione dell’imperatore Kangxi: un’armilla eclittica, un teodolite, un sestante e un quadrante a forma di drago. Questi, decorati in stile cinese, sostituirono le vecchie versioni mongole in uso da secoli. Altri strumenti di diversi materiali e dimensioni sono alloggiati nel piccolo parco che circonda l’osservatorio; in fondo al parco, dalla parte opposta al corpo centrale si trova una costruzione in pietra con una forma leggermente a tronco di piramide, sormontata da un emisfero in metallo. Su di esso sono rappresentate le costellazioni, con incisioni per le linee che ne definiscono il disegno e fori più o meno grandi per la simulazione delle stelle. Una piccola porta dava accesso all’interno di una camera angusta, da cui era possibile vedere l’effetto del cielo stellato guardando sulla volta traforata.

La storia dei planetari moderni era iniziata!

SIMONETTA ERCOLI

 

 

Bibliografia

1. David P. Silverman, Antico Egitto, E. Mondadori;
2. Descrizione dell’Egitto, pubblicata per ordine di Napoleone Bonaparte, Bibliotheque de L’Imagine;
3. Raccolte, I testi delle piramidi;
4. Antoine Gautier, L’observatoire du prince Ulugh Beg, in L’Astronomie, Octobre 2008, volume 122.
5. http://planet.racine.ra.it/testi/egizi.htm;
6. http://www.starlightgroup.it/index.php/approfondimenti/sotto-il-cielo-di-dendera-di-simonetta-ercoli.html
7. http://www.acacialand.com/Orion.html.
8. http://www.antiqui.it/archeoastronomia/armenia.htm
9. http://planet.racine.ra.it/testi/mesopo.htm
10. http://www.lescienze.it/news/2003/01/26/news/la_piu_antica_mappa_stellare_-588610/
11. http://www.eanweb.com/2012/astronomia-in-cina-una-storia-plurimillenaria/
12. http://it.wikipedia.org/wiki/Planetario
13. http://www.didatticarte.it
14. https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/tag/senenmut
15. http://www.cartigli.it/Graffiti_ed_iscrizioni/Senmut/Tomba%20di%20Senmut.htm
16. http://www.antiqui.it/archeoastronomia/globo.htm

28 luglio 2014 - Posted by | Epistemologia, Scienze dello Spazio | , ,

2 commenti »

  1. […] Numerose, infatti, erano le difficoltà da superare per gli antichi astronomi (si veda la prima parte dell’articolo), non tanto per ricostruire la volta stellata, che varia la sua configurazione […]

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  2. […] Numerose, infatti, erano le difficoltà da superare per gli antichi astronomi (si veda la prima parte dell’articolo), non tanto per ricostruire la volta stellata, che varia la sua configurazione […]

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