L’esplorazione dei giganti di ghiaccio
Mentre i pianeti interni sono già stati attivamente studiati, almeno in merito alla possibilità di ospitare forme di vita autoctona, i due giganti gassosi, e alcuni dei loro satelliti, sono attualmente al centro dell’attenzione.
(nell’immagine: le masse planetarie nel Sistena Solare: Urano e Nettuno sono le due sfere azzurre in basso a destra)
Nel sistema di Saturno la sonda Cassini si aggira ormai da anni, raccogliendo dati scientifici importanti (l’ultimo flyby di Titano risale al 18 giugno scorso) tanto da meritare, come sembra, un prolungamento della sua vita operativa. Giove, invece, è l’obiettivo di ben tre missioni: Juno, già partita, che studierà la magnetosfera del pianeta, JUICE, fiore all’occhiello dell’ESA, da lanciare nel 2022 e dedicata ai satelliti Ganimede, Callisto ed Europa, e poi Europa Clipper, ancora in fase di progettazione. Infine, nella primavera dell’anno prossimo, New Horizons eseguirà un flyby di Plutone per poi inoltrarsi nell’inesplorata Fascia di Kuiper, fino ad esaurimento dell’energia.
Ecco quindi l’attenzione dei ricercatori rivolgersi all’unica area ancora semi-inesplorata del Sistema Solare, dove orbitano i cosidetti giganti di ghiaccio, Urano e Nettuno. Sono diversi da Giove e Saturno, oltre che nelle dimensioni, anche nella composizione dell’atmosfera: nei primi riscontriamo solo il 25% di idrogeno, e invece abbondano di ammoniaca, metano e sopratutto acqua (da cui il ghiaccio), mentre gli altri presentano quasi esclusivamente idrogeno e un po’ d’elio. L’unica esplorazione diretta di Urano e Nettuno è stata eseguita dal Voyager 2, rispettivamente nel 1986 e nel 1989. Poi più nulla.
(nella foto: la sonda Cassini) 
Come e quando
I progetti di missione di cui siamo a conoscenza sono due: il primo si chiama Progetto ODINUS, o meglio: “Progetto di una missione diretta ai pianeti giganti ghiacciati, con due astronavi gemelle per svelare la storia del Sistema Solare.” Il documento ufficiale è stato inviato all’ESA per partecipare alle selezioni previste nell’ambito del programma Cosmic Vision 2015-2025 e presenta come primo firmatario il dott. Diego Turrini dell’Istituto di Astrofisica e Planetologia dell’ INAF-IAPS di Roma, insieme a 14 colleghi quasi tutti italiani. Una prima proposta è stata accettata ed è stata anche fissata una data indicativa per il lancio, il 2034 . Nel caso di ODINUS, è prevista la messa in orbita di due sonde identiche, una intorno a Urano, l’altra a Nettuno, e la raccolta di dati analoghi, registrati sui due pianeti nello stesso lasso di tempo e nel mezzo interplanetario durante la crociera, servendosi di set di strumenti uguali. Di conseguenza, ci sarebbe la possibilità di creare nuovi protocolli e una metodologia completamente nuova, comparata, dell’esame dei dati raccolti. Se ne avrebbero senz’altro grandi vantaggii scientiifici, ma anche un certo incremento di spesa, che non sappiamo se l’ESA potrà e vorrà affrontare. Fortunatamente, il Senior Committee Survey dell’Agenzia ha già dichiarato che l’esplorazione dei giganti di ghiaccio “sembra essere una pietra miliare tempestiva, del tutto adeguata per una missione di classe L (large)”. Speriamo bene!
(nella foto: Pekka Janhunen illustra il funzionamento della e-Sail)
Il secondo progetto in esame si chiama “Missione con propulsione a vela solare elettrica per l’esplorazione profonda dell’atmosfera di Urano” ed è firmato da Pekka Janhunen, scienziato finlandese già noto ai nostri lettori come inventore della vela solare-elettrica. Si tratta di una cooperazione tra l’Istituto Meteorologico Finlandese, il CNES e l’Università di Pisa. Prevede il lancio di una sonda di 550 kg. per giungere fino a Urano in meno di 6 anni, grazie alla spinta fornita da una vela solare-elttrica da 0,5 N. Il veicolo è composto da tre moduli distinti: il primo (e-sail module – 150 kg.), ospita la vela e viene espulso in prossimità dell’orbita di Saturno, perché a quella distanza il vento solare non ha più energia sufficiente da trasferire all’astronave. Il secondo modulo (carrier module – 150 kg.) è dotato di un sistema autonomo di propulsione grazie al quale può mettersi in orbita intorno a Urano. Ci sarebbe inoltre spazio disponibile dove alloggiare della strumentazione scientifica e configurare così una serie di missioni “orbiter” che gli autori non vogliono però approfondire. Il carrier module ospita anche un’antenna ad alto guadagno di 1 metro di diametro con cui ritrasmettere alla Terra i dati ricevuti dal terzo modulo (entry module – 250 kg., di cui 36 di strumentazione scientifica), che eseguirà l’esplorazione profonda dell’atmosfera uraniana. Fatte le debite distinzioni, gli autori non fanno mistero di essersi ispirati all’entry module della Missione Galileo, che nel 1989 apriva la campagna di esplorazione del Sistema Solare esterno, e anch’essi si chiedono se non sia opportuno pianificare con maggiore anticipo le future missioni in quest’area, standardizzando hardware e procedure delle prossime sonde automatiche.
(nella foto, la sonda New Horizons)
Gli obiettivi scientifici più importanti
I pianeti giganti apparvero probabilmente molto presto nella storia del Sistema Solare, formandosi nel lasso di tempo in cui il Sole era ancora circondato dal disco circumstellare di gas e polvere. Fin dagli anni ’50 era stato riconosciuto il ruolo dei pianeti giganti nella formazione e nell’evoluzione del giovane Sistema Solare con Giove che avrebbe iniettato nuovo materiale nelle regioni di formazione di Urano e Nettuno, in forma di planetesimi sparsi. L’importanza del Modello di Nizza, la teoria oggi più accreditata sull’evoluzione del Sistema ai suoi primordi, sta nel fatto di sostenere con forza l’idea che i pianeti giganti non si sono formati dove li vediamo oggi o, in altre parole, che ciò che osserviamo oggi non è necessariamente un riflesso del Sistema Solare come era immediatamente dopo la fine del processo di formazione. Il successo di questa teoria nello spiegare diverse caratteristiche del Sistema Solare ha però aperto la strada a scenari più estremi. Di recente, infatti, una nuova interpretazione della formazione planetaria ottenuta attraverso lo studio di sistemi extrasolari, ha dato origine all’idea che il Sistema Solare potrebbe aver subito un’evoluzione molto più caotica e violenta di quanto precedentemente teorizzato.
Nuove conoscenze sui primordi del Sistema Solare, possibilità di sottoporre a verifica il “Modello di Nizza” e di acquisire grandi quantità di misurazioni in loco, tra cui la composizione chimica e isotopica dell’atmosfera: sarebbe questo l’allettante bottino scientifico che attende i ricercatori.
ROBERTO FLAIBANI
editing DONATELLA LEVI
FONTI:
Return to the Ice Giants, published by Paul Gilster on Centauri Dreams – June 18, 2014
Outer Planet Exploration Strategies, published by Paul Gilster on Centauri Dreams – June 19, 2014
Fast e-Sail Uranus Entry Probe Mission, by Pekka Janhunen et al. – arXiv: 1312.6554v1
The Scientfic Case for a Mission to the Ice Giant Planets with Twin Spacecraft to Unveil the History of our Solar System, by Diego Turrini et al.