Il Tredicesimo Cavaliere

Scienze dello Spazio e altre storie

eso 11 – I colori della vita extraterrestre

Un giorno non lontano avremo gli strumenti in grado di esaminare in profondità la luce proveniente da un mondo di tipo terrestre orbitante intorno ad un’altra stella. Questo apre alla possibilità di identificare gas atmosferici come ossigeno, ozono, anidride carbonica e metano. Tutti questi gas possono trovarsi in un ambiente privo di vita, ma se li troviamo presenti contemporaneamente in quantità abbastanza rilevanti, avremo individuato una possibile firma biologica, perché se non c’è un’attività vitale che li ricostituisce, questi gas si ricombinerebbero e ci lascerebbero con un miscuglio atmosferico molto meno interessante.

Ma studiare le atmosfere dei pianeti per trovare le tracce di vita è solo uno dei modi di procedere. Un team interdisciplinare, guidato da Lisa Kaltenegger della Cornell University e Siddharth Hegde (Istituto Max Planck per l’Astronomia), cioè gli stessi protagonisti dell’articolo pubblicato pochi giorni fa, eso10 – I colori di un mondo che vivesta esaminando la presenza della vita con una rilevazione basata sul colore caratteristico delle forme di vita. Un organismo estraneo che copra gran parte del pianeta, per esempio pensiamo alle foreste sulla Terra, rifletterebbe la luce a particolari lunghezze d’onda, luce che potrebbe essere misurata con la spearth_reflectanceettrometria.

Immagine: In questa immagine satellitare composita della NASA, è possibile vedere una componente dominante verde nella luce riflessa del sole, un segno diretto della vita vegetale presente sulla superficie terrestre. Allo stesso modo, se la vita microbica con una particolare pigmentazione coprisse vaste zone di superficie di un pianeta extrasolare, la sua presenza potrebbe in linea di principio essere misurata direttamente grazie alla sua tinta nella luce stellare riflessa osservata attraverso i nostri telescopi. Credit: NASA Earth Observatory.

 La sfida, e quindi l’impegno del lavoro preliminare basato su questi presupposti, è quello di capire quali tracce spettrali i diversi tipi di organismo potrebbero emettere. Lavorando con i colleghi al centro di ricerca Ames della NASA , i ricercatori hanno messo insieme un catalogo tratto da colture di 137 diverse specie di microrganismi, alla ricerca di una vasta gamma di pigmentazioni delle specie presenti in ambienti diversi, come il deserto di Atacama in Cile, l’acqua marina delle Hawaii, un vecchio pezzo di legno trovato in un parco dello Stato del Missouri e le sorgenti di acqua calda del Parco Nazionale di Yellowstone. Concentrandosi sulle specie estremofile (in cui la vita è spinta al suo limite), il team ha potuto fare indagini sulla più ampia gamma possibile di condizioni fisiche e geo-chimiche sulla superficie dei pianeti extrasolari. 

Il metodo, preso in esame in un nuovo saggio su Proceedings of the National Academy of Sciences, consiste nel misurare l’impronta digitale chimica di ogni coltura di microorganismi e pubblicare i risultati in un catalogo on line. Gli spettri di riflessione sono prodotti nella lunghezza d’onda del visibile e nel vicino infrarosso e sono organizzati nella prima banca dati di questo tipo dedicata alle tracce di vita superficiale. Il catalogo era progettato per rispecchiare la più ampia gamma di vita possibile, sapendo che sul nostro pianeta le specie dominanti hanno subito profondi cambiamenti.

Dal documento:

Sebbene ci sia una considerevole conoscenza di base delle proprietà spettrali delle piante terrestri, sono pochissime le informazioni presenti in letteratura riguardo a quelle dei microorganismi. Le piante terrestri sono attualmente molto diffuse sul pianeta e sono facilmente rilevate dalle osservazioni ad alta risoluzione delle sonde spaziali. Comunque, esse occupano solo una piccola nicchia nel parametro ambientale che raggruppa la vita terrestre conosciuta. Inoltre, le piante terrestri si sono diffuse sulla Terra solo circa 460 milioni di anni fa, mentre gran parte della storia della vita è stata dominata dalla vita microbica unicellulare. All’interno degli organismi procarioti ed eucarioti c’è una diversità di pigmentazione di gran lunga maggiore che nelle piante terrestri. Per questa ragione tutte le ipotesi riguardo a una vita extraterrestre basate soltanto sulle piante terrestri finiscono per tralasciare una gran parte della vita conosciuta.”


standard_sans_rightImmagine: Otto dei 137 campioni di microrganismi utilizzati per misurare le firme biologiche per il catalogo. In ogni pannello, la parte superiore è una fotografia standard del campione e la parte inferiore è una microfotografia, una versione ingrandita a 400x dell’immagine superiore. Gli scienziati miravano a raggiungere una diversità di colori e pigmentazione. Da in alto a sinistra a in basso a destra: specie sconosciute del genere Bacillus (deserto di Sonora, AZ, USA); specie sconosciuta di genere Arthrobacter (Deserto di Atacama, Cile); Protothecoides Chlorella (linfa di un pioppo bianco danneggiato); specie sconosciuta di genere Ectothiorhodospira (Big Soda Lake, NV, USA); specie sconosciuta di genere Anabaena (con proteina fluorescente verde, d’acqua dolce stagnante); specie sconosciuta di genere Phormidium (Kamori Canale, Palau); Porphyridium purpureum (legno vecchio presso una sorgente salata, Boone’s Lick State Park, MO, USA); Dermocarpa violacea (deflusso di acquario, La Jolla, CA, USA). Credit: Hegde et al. / MPIA.

Gli organismi unicellulari che hanno dominato la storia della Terra hanno prosperato per 3.5 miliardi di anni e forse più, dimostrando ripetutamente di poter essere trovati nelle condizioni più estreme , dall’interno dei reattori nucleari (Chernobyl) ai deserti e alle regioni polari. La loro particolare pigmentazione dipenderà dalle condizioni ambientali locali e così la loro futura scoperta grazie ai telescopi spaziali ci dirà qualcosa riguardo al pianeta che essi abitano. L’indice di riflessione da parte delle forme di vita superficiali gioca anche un ruolo importante nei modelli per gli esopianeti che possono essere usati per studiare i processi chimici delle loro atmosfere.

Il presente comunicato stampa dell’MPIA riassume i metodi del team per la misura delle biotracciature, compito svolto da Hegde lavorando con Lynn Rothschild e altri ricercatori dell’Ames della NASA :

Hegde, [Ivan] Paulino-Lima e [Ryan] Kent hanno misurato le firme biologiche dei campioni presso il Centro di Tecnologie Spaziali e Telerilevamento (CSTARS) presso l’Università della California, Davis. Hanno adoperato una struttura chiamata sfera di integrazione, cava e rivestita internamente di un materiale riflettente. Questa conteneva un foro per la sorgente luminosa, il campione del microorganismo, e un rilevatore per misurare l’impronta digitale della luce riflessa dal campione. L’effetto della forma sferica è il seguente: quando la luce attraversa il foro e si riflette sul campione, si distribuisce in modo uniforme in tutte le direzioni. Pertanto il rilevatore può essere posizionato in qualsiasi punto della sfera, contro qualsiasi parte della parete, e ancora misura la stessa media (“integrata”) di impronta. Questo è importante perché in un futuro prevedibile i telescopi saranno solo in grado di misurare la luce riflessa da un esopianeta che è stato valutata in media (“integrata”) su tutta la parte visibile della superficie del pianeta.” Lisa Kaltenegger, che dirige l’Institute for Pale Blue Dot della Cornell University, all’ampia gamma di possibilità di vita, inclusi gli organismi estremofili, che si trova nel database, dicendo che “… ci dà il primo assaggio di ciò che i diversi mondi là fuori potrebbero sembrare … Sulla Terra questi sono solo ambienti di nicchia, ma in altri mondi queste forme di vita potrebbero anche avere un ruolo dominante, e ora abbiamo un database per sapere come possiamo individuarlo”. La banca dati, che è aperta per il libero uso dei ricercatori di tutto il mondo, si trova presso l’Istituto. Ulteriori aggiunte al database sono attese in futuro, man mano che nuovi campioni saranno disponibili per catalogare spettri di indice di riflessione microbica.

traduzione di SIMONETTA ERCOLI

editing di DONATELLA LEVI

Further additions to the database are expected in the future as more samples become available to catalog microbial reflectance spectra. The paper is Hegde et al., Surface biosignatures of exo-Earths: Remote detection of extraterrestrial life,” in Proceedings of the National Academy of Sciences, published online before print March 16, 2015 (abstract available). The catalog is Surface biosignatures of exo-Earths, now available online.Original title of this postThe Colors of Extraterrestrial Life by Paul Gilster, published on March 17, 2015 on “Centauri Dreams”.

9 dicembre 2015 - Posted by | Astrofisica, Planetologia, Scienze dello Spazio | , , , , , ,

4 commenti »

  1. […] gassosi che sono allo studio in questo momento, e ciò renderebbe possibile scoprire eventuali firme biologiche. Come ho già ipotizzato in queste pagine, potrebbe davvero succedere di scoprire la vita su un […]

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    Pingback di Dentro la Zona di Transito – Il tredicesimo cavaliere 2.0 | 3 Maggio 2016 | Rispondi

  2. […] ora cominciando ad analizzare. I due articoli sono: eso10 – I colori di un mondo che vive e eso11 – I colori della vita extraterrestre. Ambedue possono essere considerati propedeutici al presente articolo. Buona lettura. […]

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    Pingback di eso12 – A caccia di firme biologiche – Il tredicesimo cavaliere 2.0 | 30 aprile 2016 | Rispondi

  3. […] ora cominciando ad analizzare. I due articoli sono: eso10 – I colori di un mondo che vive e eso11 – I colori della vita extraterrestre. Ambedue possono essere considerati propedeutici al presente articolo. Buona lettura. […]

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