Il Tredicesimo Cavaliere

Scienze dello Spazio e altre storie

eso10 – I colori di un mondo che vive

Questo articolo è stato pubblicato da Centauri Dreams il 5 ottobre 2012. Tre anni non son pochi in un settore in tumultuoso sviluppo come quello degli esopianeti, e abbiamo dovuto riscrivere completamente il primo capoverso per evitare che l’articolo risultasse obsoleto. In un successivo post, che apparirà tra breve, incontreremo di nuovo i protagonisti di ieri e potremo apprezzare gli sviluppi del loro lavoro. (RF)

32549Gliese 581d sembrava sempre più essere considerato un pianeta della zona abitabile, come Siddharth Hegde  (studente per il dottorato in Astronomia all’Istituto Max Planck) e Lisa Kaltenegger (Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics e direttore del Carl Sagan Institute) avevano spiegato in un nuovo saggio. Essi stavano concentrando la loro attenzione su come caratterizzare un pianeta extrasolare roccioso e puntavano su HD 85512b e Gliese 667Cc nonché su Gl581d come esempi, ma ipotizzavano anche che avremmo rilevato sempre più mondi nella zona abitabile man mano che il telescopio spaziale Kepler continuava il suo lavoro. Ma Kepler, ancor oggi il più famoso cercatore di esopianeti, per un guasto a un giroscopio avvenuto nel 2013, si trova ora impossibilitato a continuare la sua missione come era stata originariamente concepita.

Nella foto: Siddharth Hegde

In assenza di missioni quali Terrestrial Planet Finder della NASA o Darwin dell’ESA, che ci permetterebbero di analizzare l’atmosfera di un esopianeta con i biomarcatori, cos’altro possiamo fare per trovare i luoghi dove esiste la vita? Hegde e Kaltenegger concentrano la loro attenzione sul colore di un pianeta per trovare la risposta. Più precisamente sono interessati a ciò che è conosciuto come diagramma colore-colore, che sfrutta il fatto che un oggetto può essere osservato a diverse lunghezze d’onda, con una magnitudine diversa che si evidenzia in ciascuna banda osservata. ‘Colore’, in questo senso, si riferisce alla differenza di luminosità tra le diverse bande, facilmente tracciata su un diagramma colore-colore.

Lisa KlateneggerAnalizzare un esopianeta nella lunghezza d’onda del visibile in un diagramma colore-colore può rivelare qualche proprietà fisica di base del pianeta, supponendo che la copertura di nuvole non crei problemi. Il nuovo documento pone l’attenzione sui tipi di ambiente della Terra che possono dare supporto a forme estreme di vita e considera come potremmo identificare ambienti equivalenti su un esopianeta. Piccoli cambiamenti di temperatura, pH o altri fattori fisici o geochimici… possono far sì che questo tipo di ambienti siano dominanti in un esopianeta potenzialmente abitabile, fattore che potrebbe guidare l’evoluzione della vita. Questi vari ambienti “estremi” sulla superficie della Terra hanno albedo caratteristiche nella banda del visibile (0.4 µm – 0.9 µm) che potrebbero essere distinguibili da remoto. Pertanto, noi studiamo le impronte dei colori che si ottengono dagli ambienti superficiali abitati dalle specie estremofile così come mettiamo alla prova il nostro metodo utilizzando gli spettri di riflessione misurati per gli estremofili.

nella foto: Lisa Kaltenegger

Naturalmente, rilevare caratteristiche di superficie in uno spettro di riflessione non equivale di per sé a rilevare la vita e gli autori sono pronti a sottolineare che il loro metodo è una diagnosi che deve essere utilizzata in combinazione con uno studio dell’atmosfera dei pianeti extrasolari. Ma il documento è un interessante tentativo di mettere in parallelo le caratteristiche note degli ambienti abitati da estremofili con l’astronomia osservativa, riconoscendo che quando arriveremo al punto in cui potremo studiare i mondi rocciosi lontani attraverso immagini reali, lavoreremo a bassissima risoluzione, ai limiti dei nostri strumenti.

Tuttavia, c’è molto che possiamo fare per distinguere la percentuale di superficie coperta da acqua o vegetazione o deserto, un metodo che dovrebbe permetterci di dare la priorità ai pianeti extrasolari più adatti per la spettroscopia in follow-up. Il metodo si basa su studi precedenti del bordo rosso della vegetazione provocato dall’assorbimento nel vicino infrarosso dello spettro durante la fotosintesi, ma espande quel lavoro fino a prendere in considerazione diverse forme di vita che possono vivere sopra o sotto la superficie. Le Piezophilae, per esempio, prosperano sottoposte all’estrema pressione oceanica, mentre le Halophilae crescono in alte concentrazioni di sale.

spettro1Anche se alcuni organismi estremofili – licheni, colonie batteriche e alghe rosse – possono essere rilevati con misurazioni dirette dell’albedo, non avremmo modo di rilevare direttamente molte specie estremofile in uno spettro di riflessione. Possiamo fare un lavoro comunque utile: l’idea è quella di identificare il tipo di caratteristiche di superficie che sarebbero comuni negli ambienti che permettono al loro interno la vita ad organismi estremofili. E la gamma di superfici caratteristiche che possono essere rilevate da questi metodi è ampia: si va da acqua, neve e sale a sabbia, alghe rosse e alberi.

Ci sono moltissime componenti imprevedibili, tra cui il tipo di stella intorno a cui orbita il pianeta, che potrebbero avere un profondo effetto sull’impronta della vegetazione. Man mano che rileviamo pianeti rocciosi intorno a diverse classi di stelle, dovremo di conseguenza modificare i nostri metodi. Dall’articolo:

… L’impronta della clorofilla dei pianeti intorno a stelle calde, potrebbe avere un “bordo blu” per riflettere una parte della radiazione ad alta energia per impedire il surriscaldamento delle foglie… L’impronta della clorofilla dei pianeti in orbita attorno a stelle più fredde potrebbe apparire nera a causa dell’assorbimento totale di tutta l’energia nella banda del visibile tale per cui le piante ottengono tutta la luce possibile per il metabolismo fotosintetico … Pertanto, le posizioni di alberi, colonie microbiche e licheni [sul diagramma mostrato nell’articolo] sono valide solo per un pianeta simile alla Terra che orbiti intorno ad una stella simile al Sole e dovrebbero essere prese come elementi indicativi. L’albedo della vegetazione e degli organismi produttori di clorofilla in presenza stelle non simili al Sole richiede ulteriori studi.”

spettroIl documento di Hegde e Kaltenegger ci indica il primo tipo di lavoro che saremo in grado di eseguire su un pianeta extrasolare nella zona abitabile, una volta che saremo stati in grado di acquisire una sua immagine diretta. Lavorando con organismi estremofili, i ricercatori stabiliscono i limiti ambientali per la vita sul nostro stesso pianeta, base utile per i nostri primi esami in altri mondi di tipo terrestre. La fotometria di base nel visibile usata qui può fornire un primo passo per sondare questi pianeti identificandone i colori caratteristici, collegandoli a nicchie ambientali che permettono la vita. Dovremmo poi attendere che vengano lanciati nello spazio gli strumenti necessari per analizzare le atmosfere di obiettivi di alto valore.

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Titolo originale: “Colors of a living world” by Paul Gilster, pubblicato il 5 ottobre 2012 su Centauri Dreams. Abbiamo consultato inoltre il documento denominato “Colors of Extreme ExoEarth Environments” in Astrobiology (preprint).

Traduzione di SIMONETTA ERCOLI

Editing DONATELLA LEVI

23 novembre 2015 - Posted by | Astrofisica, Astronautica, Planetologia, Scienze dello Spazio, Senza categoria | , ,

4 commenti »

  1. […] di firme biologiche che si sta proprio ora cominciando ad analizzare. I due articoli sono: eso10 – I colori di un mondo che vive e eso11 – I colori della vita extraterrestre. Ambedue possono essere considerati propedeutici […]

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  4. […] l’Astronomia), cioè gli stessi protagonisti dell’articolo pubblicato pochi giorni fa, eso10 – I colori di un mondo che vive, sta esaminando la presenza della vita con una rilevazione basata sul colore caratteristico delle […]

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