Il Tredicesimo Cavaliere

Scienze dello Spazio e altre storie

Dall’apocalisse atomica allo spazio profondo

La ricerca di sistemi di propulsione spaziale è da sempre oggetto di accesi dibattiti scientifici e fantascientifici. Dall’inizio dell’era atomica, a partire dalle bombe sganciate su Hiroshima e Nagasaki, il mondo fu testimone e vittima della più potente fonte di energia di cui l’uomo abbia mai potuto disporre. L’energia atomica entrò nella storia in maniera tragica e dirompente, tanto che nell’immaginario collettivo divenne sinonimo di distruzione. In realtà portò con sé anche il presupposto di un grande sviluppo energetico per scopi civili, nell’ambito dei quali si vennero a trovare i viaggi nello spazio: i veicoli predisposti per affrontarli necessitano di grandi quantità di energia per coprire enormi distanze, anche solo nel sistema solare, nei confronti delle quali le fonti d’energia chimica risultano del tutto inadeguate.

Fig. 1 Sequenza del test con navetta Orion in scala ridotta.Il primo a proporre la fusione atomica quale possibile tecnica di propulsione per i viaggi interstellari fu Edward Teller, il padre della bomba H e uno degli scienziati che contribuirono al progetto Manhattan. Egli ebbe questa intuizione durante i primi test atomici nel deserto del Nevada nel 1945, ma il primo a progettare un sistema di propulsione atomica ad impulso fu Stanislaw Ulam nel 1946. Solo due anni dopo l’impiego delle bombe atomiche sulle due città giapponesi, Ulam era già convinto che si potesse utilizzare quella nuova forma di energia per muovere una navicella dalla terra allo spazio profondo. Così, assieme al collega Evrett, diede il via, attraverso un memorandum redatto a Los Alamos nel 1947, al progetto Orion, che tra 1950 ed il 1963 venne sviluppato in collaborazione con la General Atomics e con il sostegno della DARPA.

L’idea originale consisteva nell’utilizzo di astronavi da 40 t, che trasportassero un gran numero di bombe a fissione (con potenza da 5 a 10 chilotoni) da far detonare dietro la nave, per il decollo da terra verso lo spazio. Alcuni test per provare la bontà del progetto Orion vennero realizzati nel deserto del Nevada, utilizzando una riproduzione in scala ridotta della navicella ed esplosivo convenzionale (Fig.1). Dal 1955 fino al 1963 i test proseguirono con esito positivo. La navicella sperimentale assomigliava ad un imbuto rovesciato (Fig.2): una parte più larga alla base ospitava una piastra di spinta circolare, che fungeva anche da schermo protettivo contro le radiazioni e dalla quale venivano sparati gli ordigni atomici, attraverso un’apertura centrale e l’uso di gas in pressione. La piastra di protezione assorbiva le radiazioni e l’onda d’urto dell’esplosione, trasferendone l’energia a degli ammortizzatori a gas, che erano connessi direttamente alla sezione della nave che ospitava l’equipaggio e le attrezzature. L’esterno della piastra doveva essere composta da materiale carbonaceo, protetto dall’erosione con olio lubrificante distribuito da appositi spruzzatori. Per stabilizzare l’assetto della nave tra una deflagrazione e l’altra, si pensò di impiegare degli appositi razzi, ipotizzati ad acqua ossigenata (H2O2) posti sulla parte frontale del veicolo: questi avrebbero dovuto spingerla lateralmente, per evitare che si capovolgesse o uscisse dalla propria rotta. I test avevano appurato che non vi erano ostacoli tecnici per la realizzazione né pericoli per l’equipaggio.

Fig.2La propulsione atomica ipotizzata in questo progetto venne sviluppata anche con il contributo dello scienziato britannico Freeman Dyson, secondo il quale si sarebbero potute coprire enormi distanze interplanetarie e interstellari, grazie allo sviluppo di velocità molto elevate. La grandezza delle navi progettate variava da 10 metri – 20 metri, in quelle pensate per poter essere lanciate da un Saturn-V, a 40 metri, nella versione che sarebbe partita direttamente dalla superficie terrestre, fino ad una massima di 400 m. Prese così corpo l’idea di missioni spaziali per un tempo compreso tra i 150 giorni per Marte e 910 per Giove, con una velocità media di 63,740 m/s (fig.3).

Fig.3 Possibile evoluzione OrionLe testate atomiche impiegate da Orion erano a fissione, molto simili a quelle sganciate durante la fine della seconda guerra mondiale. Le bombe dovevano avere dei serbatoi di idrogeno in modo da utilizzarne la spinta aggiuntiva che questo gas avrebbe sviluppato quando l’esplosione atomica l’avrebbe trasformato in plasma. Bisogna tener presente che l’idrogeno è l’elemento più leggero della tavola periodica degli elementi, quindi anche la sua molecola è particolarmente piccola e ciò le permette di raggiungere altissime velocità. È questa la ragione per cui l’idrogeno viene spesso immaginato come propulsore di “motori” spaziali: maggiore è la velocità che può raggiungere un oggetto e maggiore sarà la spinta che riuscirà ad imprimere. L’unico difetto di questo gas è che non viene prodotto da alcuna reazione chimica, anzi molte lo utilizzano come combustibile, liberando molecole molto più complesse: il che significa molto più pesanti e di “dimensioni maggiori”.

Fig.4 Struttura dell'OrionÈ evidente che con queste premesse si sarebbe messa la parola fine su uno dei progetti più avveniristici, e contemporaneamente più pericolosi, della storia dell’astronautica. Ad oggi alcuni studi relativi ad esso (soprattutto la descrizione tecnica degli ordigni atomici e la loro miniaturizzazione) non sono stati ancora resi pubblici dalle autorità statunitensi.

La lezione del progetto Orion non cadde definitivamente nel dimenticatoio: tra il 1973 ed il 1978 venne ipotizzata ancora una propulsione nucleare ad impulso nell’ambito di un nuovo progetto, il DAEDALUS, portato avanti da un team di scienziati guidati da Alan Bond e promosso dalla British Interplanetary Society. Il progetto DAEDALUS era pensato per un viaggio interplanetario e prevedeva, abbandonando l’uso di ordigni atomici a fissione, la costruzione di un razzo a fusione atomica ad impulso che sarebbe stato utilizzato solo nello spazio. La nave DAEDALUS sarebbe stata formata da una camera di combustione a forma di campana, all’interno della quale sarebbero stati lanciati pallet di deuterio ed elio 3, fatti detonare da un fascio di elettroni: il plasma generato avrebbe accelerato la nave. Un razzo di questo tipo avrebbe raggiunto un peso complessivo di 54.000 t, dei quali 50.000 t solo di carburante e il restante costituito da carico scientifico. La velocità raggiungibile da questo mezzo era stimata superiore a quella del progetto Orion. Erano previsti due stadi nei quali si sarebbero utilizzate due camere di combustione differenti. Nel primo stadio la velocità massima avrebbe raggiunto il 7,1% di quella della luce per almeno due anni fino all’arrivo al secondo stadio, che avrebbe incrementato la velocità del mezzo fino al 12% della velocità della luce per almeno 1,8 anni; dopo di che la navicella avrebbe viaggiato per inerzia nello spazio per 46 anni.

Fig.5 httpwww.daviddarling.infoimagesDaedalus_diagram.jpgIn questo progetto si ideò una nave per un viaggio interstellare verso la stella Barnard, con un tempo di viaggio di circa 50 anni, durante i quali si sarebbe iniziata una prima esplorazione dello spazio profondo attraverso due telescopi ottici da 5 m di diametro e due radiotelescopi da 20 m, puntati verso la stella di destinazione. Si era pensato persino di equipaggiare la nave di 12 sonde autonome, che sarebbero state sganciate nelle vicinanze della stella Barnard. Queste ultime avrebbero avuto un sistema di propulsione ionica alimentata dal generatori elettronucleari, equipaggiate con telecamere, spettrografi e altri sensori. Mentre sulla nave si era ipotizzato di utilizzare dei robot per riparare malfunzionamenti della nave madre e delle sonde d’esplorazione (Fig.5).

L’ambizioso progetto DAEDALUS registrò numerosi problemi per la sua attuazione: l’elio 3, che sarebbe stato il principale combustibile era molto raro sulla terra. Si pensò allora di organizzare delle missioni verso Giove allo scopo di reperire abbastanza elio 3 per il viaggio, operazione che avrebbe richiesto un grande dispendio di energia e nuovi problemi tecnici. Inoltre, ancora non si possedeva una tecnologia così avanzata da indurre una fusione atomica attraverso i raggi elettromagnetici.

Fig.6 Principio di funzionamento del LongshotLe problematiche emerse nel progetto DAEDALUS spinsero a ricercare nuove strade per la propulsione dei veicoli spaziali. Così la NASA, a metà degli anni 80, iniziò lo studio del sistema denominato Longshot che abbandonava l’idea di una propulsione a fusione nucleare ad impulso per adottare un più convenzionale reattore a fissione. Questa scelta comportava comunque un aumento dei costi, dovuto al maggior peso complessivo della nave, quindi alla necessità di una maggiore energia per poterla accelerare, e registrava una riduzione dell’accelerazione e dell’efficienza generale del sistema. Nonostante gli inconvenienti la nave poteva raggiungere il 4,5% della velocità della luce, sufficienti a coprire un viaggio tra la Terra ed Alpha Centauri in circa 100 anni.

Degno di nota è anche il progetto Vista, supervisionato negli anni 80 dall’équipe scientifica del Lawrence Livermore National Laboratory, che prevedeva la costruzione di una nave a forma di cono rovesciato (Fig.6): al vertice avrebbero trovato posto l’equipaggio e le attrezzature necessarie per il viaggio, mentre dietro era alloggiata la parte di cono aperto destinata alla fusione atomica di deuterio e trizio, innescate da raggi laser concentrati con appositi specchi, sfruttando il principio del confinamento inerziale (Fig.7). Un ipotetico viaggio verso Marte con questo sistema di propulsione sarebbe durato 60 giorni. Anche per questo progetto, però, valgono alcune delle limitazioni tecniche evidenziate precedentemente, quale ad esempio la reale fattibilità dell’innesco di una reazione atomica attraverso le raggi laser: reazione possibile dal punto di vista teorico ma ancora lontana dall’essere tecnicamente realizzabile oggi.

Dagli anni ‘90 in poi si è centrata l’attenzione sui sistemi che potessero risolvere i problemi incontrati in Orion e DAEDALUS, cercando di recuperare i vantaggi offerti da entrambi. Sulla scia di ciò hanno preso il via tre diversi progetti: il progetto Medusa della British Interplanetary Society; il Mag Orion della Andrew Space e il Mini Mag Orion.

Fig.7 Principio del confinamento inerzialeIl progetto Medusa venne presentato agli inizi degli anni ‘90 e riprendeva l’idea di usare bombe H nello spazio ma, invece di utilizzare una piastra di metallo per sfruttare l’energia della detonazione, proponeva l’uso di una vela di grandi dimensioni. Diversamente da Orion, inoltre, non prevedeva l’utilizzo di ordigni atomici nell’atmosfera terrestre ma solo nello spazio. L’uso della vela doveva permettere esplosioni a distanze maggiori che avrebbero richiesto piastre di scrematura più leggere, con una maggiore leggerezza complessiva della nave. Anche in questo caso, però, resta la difficoltà tecnica di realizzare una vela abbastanza grande e resistente (Fig.8).

Fig.8 Principio funzionamento MedusaSe il Medusa prevedeva l’utilizzo di una vela fisica, il progetto Mag Orion (Magnetic Orion) ipotizzava l’utilizzo di una vela elettromagnetica e la sostituzione della piastra di protezione, prevista nell’originale Orion, con un anello super conduttore di 2 km di diametro. Ovviamente anche in questo progetto esistono numerose difficoltà tecniche: la realizzazione di un anello super conduttore di così grandi dimensioni e un sistema per espellere le cariche esplosive ad alta frequenza lontano dal veicolo pongono problemi tecnici di difficile soluzione.

Il Mini Mag Orion (Miniature Magnetic Orion) nasce dall’idea di progettare una nave spaziale partendo dal Mag Orion, apportando le varianti necessarie per l’applicazione della tecnologia in uso (Fig.9): sostituzione delle cariche esplosive con materiale fissile come il curio e sostituzione dell’anello di 2 km di diametro con bobine disposte all’ugello magnetico di diametro 5 m. Il sistema teorico di propulsione prevede il Fig.9 Le parti del Mini Mag Orion(MMO)confinamento inerziale della massa critica necessaria all’esplosione atomica tramite un campo elettromagnetico simile a quello usato da vista. La velocità massima della nave potrebbe raggiungere i 100.000 Km/s. Anche quest’ultimo progetto appare solo un’ipotesi, in quanto ancora non è stato condotto un vero e proprio studio di fattibilità.

In conclusione, nonostante la varietà dei progetti successivi all’Orion, ad oggi il sistema che risponde ad un possibile criterio di fattibilità resta ancora l’originale, ovviamente da rimodulare in conseguenza dei vigenti trattati in materia di armamenti nucleari nello spazio, magari rendendo realizzabile l’assemblaggio di una nave come l’Orion in orbita ed utilizzando le più efficienti bombe H al posto di quelle a fissione.

LUCA DI BITONTO

Bibliografia

http://www.webcitation.org/5uzTHJfF7

http://www.projectrho.com/public_html/rocket/supplement/GA-5009vIII.pdf , p. 16 http://galileo.phys.virginia.edu/classes/109.jvn.spring00/nuc_rocket/Dyson.pdf, p. 37

http://www.projectrho.com/public_html/rocket/enginelist.php#minimagorion

Fai clic per accedere a Dyson.pdf

http://www.phy6.org/stargaze/Inucfly.htm

The Daedalus Starship

http://www.daviddarling.info/encyclopedia/D/Daedalus.html

The Daedalus Starship

Fai clic per accedere a 19890007533_1989007533.pdf

British Interplanetary Society, Journal (ISSN 0007-094X), vol. 46, no. 1, p. 21-26( http://adsabs.harvard.edu/abs/1993JBIS…46R..21S)

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12 marzo 2014 Posted by | Astronautica, Volo Interstellare | , , , , , | Lascia un commento