Il Tredicesimo Cavaliere

Scienze dello Spazio e altre storie

Civiltà aliene: due modelli in competizione

Le speculazioni sull’esistenza di civiltà extraterrestri analoghe alla nostra cadono naturalmente in due campi, che per convenienza possiamo descrivere come modello dello Stato Stazionario opposto al modello Big Bang (da non confondersi con le omonime teorie cosmologiche). C’è anche un modello ibrido che combina gli altri due alla maniera hegeliana (tesi – antitesi – sintesi).

Da bravo appassionato di Jazz (gli anni 50 e i primi 60 sono il periodo che preferisco), non mi è sfuggito che Stephen Ashworth, un frequente commentatore e collaboratore di Centauri Dreams, è anche un suonatore di sax tenore che si esibisce regolarmente nella zona di Oxford, in Inghilterra. Stephen è inoltre un acuto scrittore di cose che riguardano il nostro futuro nello spazio non solo attraverso il suo lavoro nel Journal della British Interplanetary Society, ma anche nel suo sito chiamato “Astronautica Evolution”, dedicato allo studio di “una base politica e sociale per una società ottimista, progressiva e astronautica, presente e futura”. Nell’articolo che segue, Stephen osserva modi diversi di concepire l’intelligenza extraterrestre, che propongono modelli differenti di emersione e disseminazione della vita nell’Universo. (Paul Gilster)

Il modello dello Stato Stazionario

Questo modello si rifà alla famosa equazione di Drake. Drake supponeva che per lungo tempo nel passato, e altrettanto nel tempo a venire, le civiltà sarebbero apparse, avrebbero compiuto il loro ciclo, e sarebbero poi sparite di nuovo. Il problema che lo interessava era se il tasso di visibilità delle civiltà capaci di comunicazioni radio interstellari e la loro longevità media erano grandi abbastanza da rendere statisticamente probabile per l’Umanità stabilire un contatto con un società aliena sorta nelle vicinanze, prima che la nostra civiltà o l’altra si estinguessero.

Drake considerava qualsiasi civiltà come fenomeno del tutto sedentario o statico. Perciò le posizioni dove potrebbero essere trovate oggi sono sempre le stesse in cui si erano evolute originariamente dai loro antenati biologici, e quindi molto simili alla Terra. Le civiltà dovevano trovarsi su pianeti orbitanti intorno a stelle simili al Sole, in orbite circolari vicine ad esso, nella zona chiamata abitabile (i pianeti al di fuori di questa zona, in cui l’acqua in forma liquida è rintracciabile in superficie, erano presumibilmente abitati solo da creature incapaci di sviluppare la radio astronomia, o di cambiare la chimica atmosferica… tanto più su pianeti privi dell’atmosfera stessa, ed erano quindi non rilevabili astronomicamente).

diagramma1

il diagramma 1 mostra schematicamente quante civiltà esistono in ogni istante nella Galassia secondo il modello dello Stato Stazionario. Per semplicità si assume che ogni sistema stellare possa ospitare una sola civiltà o nessuna. Il numero totale delle stelle continua ad aumentare lentamente mano a mano che le longeve stelle nane sono aggiunte alla popolazione. Il numero delle civiltà sale un po’ più velocemente quando i pianeti longevi entrano in gioco. Ci troviamo ora al punto A sull’asse del tempo. Il numero di stelle occupate in ogni momento è una piccola frazione del totale (il diagramma esagera la frazione per chiarezza). Per esempio, se noi condividessimo la Galassia con un milione di altre civiltà nel momento attuale, come gli ottimisti potrebbero sperare, allora solo 0,00001 dei sistemi stellari sarebbe correntemente occupato. Tutte queste civiltà vedono la luce indipendentemente l’una dall’altra. Le civiltà estinte non sono rimpiazzate sul loro pianeta di origine, ma lo sono da altre civiltà che nascono altrove. Le civiltà sono distribuite a caso attraverso la Galassia, sebbene Gonzalez, Brownlee e Ward abbiano aperto la discussione sul perché il centro e la periferia galattica potrebbero essere meno ospitali, contrariamente a un anello di pianeti parzialmentre fuori dal centro, dove infatti si trova oggi il Sistema Solare.

Le civiltà rimangono completamente dipendenti dal loro pianeta di origine, e la distanza tra i pianeti più vicini o più vicini a casa (forse decine di anni-luce, ma anche di più: nella loro relazione del 1984 sulle astronavi-arca Martin e Bond parlavano di 140 anni-luce) impedisce la colonizzazione interstellare.

Il modello Big Bang

Nel suo libro Contact with Alien Civilisations, Michael Michaud riesamina l’idea di un certo numero di persone, tra cui Freeman Dyson e Seth Shostak, che erano andate concettualmente oltre l’equazione di Drake, tenendo conto delle possibilità di colonizzazioni interstellari. Una visione simile è stata fatta propria da Ian Crawford, che in un articolo su Scientific American di qualche anno fa discuteva la prospettiva di una civiltà dinamica che colonizzava l’intera Galassia saltando da una stella all’altra. Usando tecnologie oggi concepibili (per esempio un razzo a fusione nucleare), un’ondata di coloni di una civiltà in espansione della nostra Galassia può impiegare 1000 anni per compiere un salto di 5 anni luce (cioè, viaggiare per 500 anni a 1% della velocità della luce, poi spendere altri 500 anni per costruire sufficienti infrastrutture per poter eseguire un altro salto). Dato che la Galassia misura circa centomila anni luce di diametro, quella civiltà potrebbe distribuire civiltà satelliti in ogni sistema stellare adatto entro 20 milioni di anni. Questo, comunque, rappresenta lo 0,2% dell’età della Galassia. L’introduzione di navi più veloci non farebbe nessuna differenza: anche senza il motore a curvatura o il movimento FTL, su una scala del tempo cosmologica una tale transizione da civiltà “in nessun posto” a civiltà “in qualsiasi posto” è, come dimostrato da Crawford, essenzialmente istantanea. Per molto tempo allora, la Galassia risulta completamente vuota di ogni forma di vita intelligente. Ma ecco che un’unica civiltà appare e si espande in tutta la Galassia in una fiammata espansionistica che noi chiamiamo Big Bang. Di conseguenza, i luoghi in cui la vita intelligente e tecnologica può essere rintracciata sono praticamente tutte colonie, e questa vita è ubiqua e permanente.

diagramma2

Il diagramma 2 mostra schematicamente quante civiltà esistono in ogni momento nella Galassia secondo il modello Big Bang. Se l’Umanità è sola, allora ci troviamo al punto B. Ma c’è una possibilità, per quanto piccola, che un’altra civiltà nella nostra Galassia sia, diciamo, solo un milione di anni più avanti a noi, e che non abbia ancora colonizzato la nostra parte della Galassia, nel qual caso siamo al punto C.

In contrasto con il modello delle Stato Stazionario, in cui i sistemi stellari sono occupati a caso, qui lo sono da colonie contenute in una bolla di espansione centrata sul pianeta di origine della prima civiltà. Due o più bolle di questo tipo possono apparire, ma solo se due o più civiltà indipendentemente compiono il salto tecnologico che apre le porte della colonizzazione dello spazio entro 20 milioni di anni l’una dall’altra, cosa molto improbabile in qualsiasi galassia. Una volta che il Big Bang è completato, il numero di sistemi stellari occupati ad ogni istante è una larga frazione del totale, includendo virtualmente tutte le stelle della sequenza principale, quindi certamente sopra lo 0,9 del totale.

Le colonie appartenenti alle civiltà collassate sono facili da riconoscere tra le altre. In realtà, ogni singola civiltà può collassare (proprio come ogni singolo individuo di una popolazione può morire) ma fino a quando ogni civiltà riesce a dar vita a più di una colonia nel corso della sua esistenza, la popolazione galattica continua a crescere.

La civiltà originaria lascia velocemente il suo pianeta di partenza e adotta una nuova modalità spazio-coloniale che permette ai suoi membri di prosperare in tutti i sistemi stellari stabili utilizzando risorse di origine planetaria o asteroidale. Da una parte, ciò riduce la lunghezza del viaggio interstellare per queste specie, dall’altra le prepara alle condizioni di viaggio tipiche delle astronavi-arca. Ma tutte le civiltà che evolvono dopo il Big Bang (a meno che non appaiano quasi simultaneamente ad esso, nelle vicinanze del punto C sul Diagramma), crescono in un ambiente dominato dalla locale colonia della civiltà originaria.

Le loro modalità di accesso al trasporto spaziale potrebbero essere analoghe a quelle che un popolo tribale oggi sulla Terra può o non può dover sviluppare nei confronti dell’attuale tecnologia dei consumi, del potere finanziario e della rete dei trasporti.

L’equazione di Drake

Si deve sottolineare con forza che la famosa equazione di Drake, con la sua stringa di fattori probabilistici da moltiplicare l’uno con l’altro, si applica solo nel caso del modello dello Stato Stazionario. Se, al contrario, la colonizzazione interstellare è il risultato dell’emersione di una civiltà tecnologica in una Galassia non sviluppata, allora l’equazione di Drake assume la seguente forma semplificata:

se T<TB (cioè il tempo al punto B del diagramma), allora il numero di civiltà è uguale a zero (N=0)

se T=TB , allora N=1

se T=TB + poche decine di milioni di anni, allora il valore di N cresce rapidamente

se T=TB + poche decine di milioni di anni, e poi in avanti per il resto della vita della Galassia, il valore di N è più o meno pari al numero di sistemi stellari adatti a ospitare una civiltà tecnologica.

Data la relativa brevità dello stadio di Big Bang, e la presenza di molti fattori sconosciuti che governano l’espansione della civiltà da un solo sistema stellare a molti, sarebbe utile cercare di raggiungere la massima precisione possibile nella stima di crescita per lo stadio 3.

Il Modello Ibrido

E’ possibile combinare questi modelli contrastanti in un singolo modello ibrido se qualche civiltà emergente riesce a raggiungere il livello tecnologico della radioastronomia, ma non a sviluppare il viaggio interplanetario e di conseguenza la colonizzazione dello spazio interstellare.

diagramma3

Il diagramma 3 mostra quante civiltà esistono nello stesso istante nella Galassia, secondo il modello ibrido. Se la nostra civiltà collassa prima che noi si riesca a stabilire colonie extraterrestri allora siamo al punto A, se invece abbiamo successo nell’espansione spaziale allora siamo al punto B; in ambedue i casi, è difficile che si riescano a trovare partner per la conversazione interstellare. Il livello di sviluppo al quale dobbiamo arrivare per utilizzare la radioastronomia non è di per se sostenibile a lungo termine, lo definirei piuttosto uno stadio intermedio instabile. Una volta arrivata al punto di avere la radioastronomia, una civiltà potrebbe completare la transizione verso lo spazio entro pochi secoli, oppure collassare completamente.

Ciò significa che la longevità di una società che ha cercato di stabilizzarsi a quel livello sarebbe molto ridotta, certamente meno di mille anni; il numero di tali civiltà presenti in qualsiasi momento sarebbe quindi altrettanto piccolo, e la distanza minima oltre alla quale ogni messaggio avrebbe dovuto essere scambiato inversamente grande, rendendo improbabile ogni comunicazione soddisfacente.

(Se ci fossero nella Galasia ad ogni istante almeno 1000 civiltà, per esempio N=L nella equazione di Drake dopo che tutti gli altri fattori si erano approssimativamente compensati l’un l’altro, e 1011 stelle nella Galassia, allora per un intervallo medio tra una stella e l’altra di 5 anni luce, tra ogni civiltà tecnologica e l’altra ci sarebbe stato un intervallo medio di 2000 anni luce. Il tempo d’attesa tra la spedizione della domanda e l’arrivo della risposta sarebbe più grande della durata della vita delle due civiltà).

Cosa possiamo dire del punto D del diagramma? Se la posizione dell’Umanità fosse proprio su quel punto, corrisponderebbe a uno scenario in cui la Galassia è dominata da una o più specie aliene, della cui esistenza noi siamo del tutto inconsapevoli. Sebbene ciò sia possibile in linea di principio, non è però soddisfacente dal punto di vista scientifico, perchè introduce nuova complessità nella immagine che ci siamo fatti dell’universo, senza però fornire nuovi dati utili alla interpretazione delle osservazioni. Piuttosto che ipotizzare l’esistenza di una cultura aliena avanzata, e poi quella di un meccanismo che nasconda la sua immagine alla nostra vista, e la sostituisca con quella di una Galassia apparentemente incontaminata da qualsiasi forma di civiltà, è più conveniente supporre che l’apparente isolamento nella Galassia sia reale, fino a prova contraria.

La questione della longevità

Considerate le moderne paure a proposito di guerra nucleare, prezzo della benzina, degenerazione dell’ambiente e della società, disastri tecnologici, mutazione del clima e terrorismo, condite con una forte dose di rimorso post-coloniale e disgusto per se stessi. Per molta gente è contrario al buon senso pensare che una civiltà come la nostra potrebbe diventare un dato permanente dell’universo.

Qual’è la lezione che riceviamo dall’evoluzione della vita nel passato? Prima di tutto deve essere riconosciuto che l’umanità industriale è cosi differente dai nostri antenati pre-industriali, quanto loro lo erano dagli organismi monocellulari precambriani. A meno che non si obietti che una scienza e una tecnologia come queste siano in qualche modo innaturali, un’aberrazione dell’ordine naturale dato da Dio, allora i fatti devono essere riconosciuti: un nuovo tipo di vita è emerso con capacità mai viste prima, inclusa quella di arrivare su altri corpi celesti, e di fare una selezione del materiale grezzo trovato sul posto. Ciò non era mai stato possibile prima, salvo che nei casi marginali di piccoli numeri di batteri scambiati casualmente tra Marte e Terra.

Il cammino dell’evoluzione fa sì che da ciascun livello biologico si possa accedere a quello immediatamente superiore, fondendosi con esso: quindi dalle cellule procariotiche a quelle eucariotiche, alla vita multicellulare, a quella tecnologica (detto con parole mie: microbiota, gaiabiota, tecnobiota – n.d.a.). Non appena appare un nuovo livello di complessità, il livello precedente persiste in simbiosi con esso. Inoltre, la vita batterica non sopravviverà quando Marte e Terra verranno completamente bruciati dal Sole,  nel momento in cui entrerà nella sua fase di gigante rossa. Se la nostra civiltà soddisferà in pieno il proprio potenziale, allora questi organismi meno complessi continueranno a vivere e prosperare a lungo dopo la morte del Sole, insieme ai loro discendenti. Il percorso dell’evoluzione suggerisce non solo che la nostra civiltà tecnologica produrrà un suo successore di qualche tipo a un più alto livello di complessità, ma anche che non si estinguerà dopo che il suo successore si sarà adeguatamente installato.

E’ chiaro che la nostra società sta attraversando un periodo di rapida transizione, non ancora ben delineato. Sta ancora sperimentando rivoluzioni tecnologiche e sociali, non ha ancora raggiunto la sua forma finale ed è ancora una monocultura. Solo quando sarà maturata tecnologicamente e comincerà a diversificarsi in una varietà di luoghi nel Sistema Solare, e magari presso i sistemi stellari più vicini, sarà possibile dire che la civiltà è finalmente arrivata. Quando sarà giunta in piena fioritura, i suoi settori più dinamici si spargeranno certamente tutt’intorno perché, a prescindere da cause ben precise, è quello che la vita ha sempre fatto. Alla domanda: ”dove si possono trovare i batteri sulla Terra”? La risposta è: “da nessuna parte”, se facciamo riferimento a un imprecisato periodo di tempo sulla Terra primordiale. A questo punto c’è il Big Bang, una relativamente breve esplosione di vita batterica, e quindi la risposta al quesito diventa: “ovunque”. La nostra società industriale deve ancora sperimentare l’equivalente del Big Bang batterico o dell’esplosione cambrianica di 550 milioni di anni fa, quando nacque una pletora di nuovi e diversi organismi multicellulari, e ciascuno prese la sua strada. Ciò richiede che i nostri discendenti si espandano su scala interplanetaria e alla fine interstellare. Quando loro lo faranno, o qualche altra civiltà lo farà al loro posto se loro non lo avranno già fatto, e se la vita si svilupperà nel futuro come ha fatto nel passato, allora la civiltà diventerà certamente una caratteristica ubiqua e universale della Galassia per quanto possiamo vedere lontano nel futuro.

Rispondere al paradosso di Fermi

Questo tema è stato discusso nei particolari lo scorso dicembre nel blog I4IS. In breve la questione è: come mai nessuna civiltà aliena è ancora arrivata da noi partendo da un punto qualsiasi, dato che l’universo è popolato di sistemi stellari con pianeti simili alla Terra, ed è circa tre volte più vecchio del Sistema Solare?

La ragione per cui la gente ritenga questo un problema, e si riferisca ad esso come a un paradosso, è che la gente è ormai “sposata” a una visione tradizionale iniziata con Darwin, cioè che la vita si è evoluta chimicamente sulla Terra, in un piccolo stagno caldo, o in un pezzo di argilla umida, o in uno sfiato idrotermale. Se è stato proprio questo il caso, allora dato che la vita si è evoluta entro circa 300 milioni di anni dopo la fine dell’Intenso Bombardamento Tardivo (secondo il Modello di Nizza, l’evento ha avuto luogo nel Sistema Solare tra 3,8 e 4,1 miliardi di anni fa – n.d.t.), avrebbe dovuto fare la stessa cosa in moltissimi altri pianeti, miliardi di anni prima.

Ma Robert Zubrin fa centro sostenendo che c’è un enorme salto di complessità tra il più semplice batterio noto alla scienza e la molecola più complessa che può essere sintetizzata in laboratorio. Qualche forma di vita proto-batterica deve aver preceduto la vita come noi la conosciamo. Ma non ci sono prove di vita proto-batterica sulla Terra. Questo, a mio avviso, è un’importante prova che, contrariamente al punto di vista generalmente accettato, la vita non evolve da sostanze non viventi su pianeti simili alla Terra. Coloro che credono nella teoria tradizionale sostengono che i proto-organismi, che compaiono in seguito all’evoluzione delle cellule batteriche, vengano rapidamente divorati da esse. E’ plausibile questo? Gli organismi monocellulari non vengono eliminati dall’ambiente da quelli pluricellulari; essi sono ovunque. Le proto-cellule non verrebbero trovate ovunque in numero enormemente superiore a quello delle cellule, come queste a loro volta sono molto più numerose degli animali pluricellulari? I biologi osserverebbero allora una catena continua di organismi per tutto il loro sviluppo fino alla più piccola molecola capace di autoriprodursi.

L’ovvio scenario alternativo presenta l’emersione della vita prima in un ambiente in microgravità, qualcosa come un nucleo di cometa, comunque un avvenimento molto raro. C’è stato un certo interesse intorno alla Sperimentazione della crescita di proteine in microgravità nella Stazione Spaziale Internazionale: forse la mancanza di gravità è essenziale per un primo passo nel processo di sviluppo della prima molecola autoreplicante. Ma anche se la prima fase di abiogenesi necessita per aver luogo di un mondo di tipo terrestre, potrebbe anche accadere così raramente che non ci sarebbe nemmeno il tempo di produrre vita pluricellulare in un solo mondo, se non dando un vantaggio alla Terra attraverso la disseminazione nello spazio dei materiali originatisi per impatto.

Questo disconnette l’emersione iniziale dalla successiva evoluzione in organismi multicellulari, consente un periodo all’incirca 100 volte più lungo per completare il salto di complessità iniziale, spiega perchè i proto-batteri non sono stati mai trovati sulla Terra e inoltre aumenta i requisiti richiesti per un già poco probabile trasferimento spaziale da attuarsi prima che l’evoluzione verso gli organismi multicellulari possa incominciare, spingendo il Big Bang della vita tecnobiotica verso la parte destra del diagramma.

Ma non troppo a destra. Per tutti quelli che reputano 13,7 miliardi di anni (l’età dell’universo convenzionalmente accettata) essere un periodo di tempo oltre ogni immaginazione, l’universo è ancora giovane. Giudicando dalla durata delle stelle più longeve, le nane rosse, l’universo continuerà a contenere stelle e pianeti come noi li conosciamo per un periodo dell’ordine di decine di milioni di miliardi di anni a venire, sebbene le stelle più luminose saranno scomparse molto tempo prima. Se l’universo forse un essere umano sarebbe ancora come un bambino di un mese.

C’è un altro fattore che può avere una parte nel gioco. Carl Sagan ha descritto come la moderna mania dell’incontro con gli alieni (o meglio, di un rapimento effettuato dagli alieni) perpetua il fenomeno dell’incontro con gli angeli, i demoni e Maria Vergine, in uso nei secoli passati. L’inondazione di speculazioni sulle civiltà aliene (Dove sono? Sono amici o nemici?) potrebbe essere forse l’equivalente moderno della ricerca di Dio? La gente comune brama ancora di essere sottomessa a un Superno (Overlord in inglese – il nome dato agli alieni da Arthur Clarke nel suo libro “Le Guide del Tramonto” (Childhood’s End)), sia esso benevolo o pronto a punirci? Fino a quando non troviamo nessuna prova di intelligenza aliena, la spiegazione più semplice sarà che non c’era dove abbiamo guardato, come dire che nel mio garage non c’è nessun drago invisibile (un’immagine cara a Carl Sagan). Dobbiamo quindi guardare più avanti in attesa che sia possibile utilizzare nuove osservazioni per escludere uno dei modelli descritti qui.

Traduzione di ROBERTO FLAIBANI

Titolo originale “Alien Civilisation: Two Competing Models”   ” di Stephen Ashworth

pubblicato il18 settembre 2013 Astronautica Evolution e anche in Centauri Dreams

FONTI:

Ian Crawford, “Where Are They?”, Scientific American, July 2000, p.28-33.

Guillermo Gonzalez, Donald Brownlee and Peter D. Ward, “Refuges for Life in a Hostile Universe”, Scientific American, October 2001, p.52-59.

Michael A.G. Michaud, Contact with Alien Civilisations (Copernicus, 2007).

Carl Sagan, The Demon-Haunted World: Science as a Candle in the Dark (Headline, 1997); Contact (Century Hutchinson, 1986).

Robert Zubrin, “Interstellar Panspermia Reconsidered”, JBIS, vol.54, no.7/8 (July/August 2001), p.262-269.

5 novembre 2013 - Posted by | Astrofisica, Astronautica, Radioastronomia, Scienze dello Spazio, Senza categoria, SETI, Volo Interstellare | , , , , ,

3 commenti »

  1. […] senza eccezioni o scorciatoie di sorta, allora è giunto il momento di ascoltare le idee di Stephen Ashworth. Secondo il ricercatore inglese, l’uomo continuerà ad espandersi nel SS (Sistema Solare) […]

    "Mi piace"

    Pingback di Sulla rotta di Rama – Il tredicesimo cavaliere 2.0 | 27 dicembre 2016 | Rispondi

  2. […] descrive la visione della storia futura dell’uomo nello spazio di cui si è fatto alfiere  Stephen Ashworth (BIS). Tale visione é infatti radicalmente diversa da quella di Christofer Nolan, ma, proprio […]

    "Mi piace"

    Pingback di Sulla rotta di Rama – Il tredicesimo cavaliere 2.0 | 30 aprile 2016 | Rispondi

  3. […] descrive la visione della storia futura dell’uomo nello spazio di cui si è fatto alfiere  Stephen Ashworth (BIS). Tale visione é infatti radicalmente diversa da quella di Christofer Nolan, ma, proprio […]

    "Mi piace"

    Pingback di Sulla rotta di Rama « Il Tredicesimo Cavaliere | 26 novembre 2014 | Rispondi


Lascia un commento