Il Tredicesimo Cavaliere

Scienze dello Spazio e altre storie

I primi passi verso l’industrializzazione dello Spazio

Con questo articolo Canio Di Turi fa il suo ingresso nella redazione del Tredicesimo Cavaliere e nella cosidetta blogsfera. Canio ha dalla sua due armi potenti: un solido curriculum universitario in Ingegneria Aerospaziale, e un’età inferiore alla metà dell’età media dell’attuale redazione. Non mi pare poco, e di più su Canio non voglio dire, anche se argomenti ce ne sarebbero parecchi, per esempio la sua passione per la scherma, che coltiva fin da bambino. Ma sarà lui stesso a parlarne, se vorrà, nella sua futura pagina personale. Nell’articolo seguente, che vale anche come introduzione alla sua tesi di laurea triennale, Canio affronta un tema cruciale per l’astronautica, ossia lo sfruttamento delle abbondanti risorse che lo Spazio ci offre.

Il metodo più diretto per ridurre il costo di una missione spaziale consiste nel ridurre la massa iniziale lanciata dalla Terra, che è costituita dalla struttura del vettore, dal carico utile e, per la maggior parte, dal propellente contenuto nel vettore stesso. Nelle missioni pilotate, in cui è previsto anche il ritorno di parte del vettore, sarà necessario portare una maggiore quantità di propellente, che costituirà gran parte della massa di carico utile nel viaggio di andata. Se il combustibile e l’ossidante per la fase di ritorno della missione potessero essere prodotti sul corpo celeste di destinazione, allora la massa totale al momento del lancio da Terra si potrebbe ridurre significativamente.

fig.1 – 2008 -L’astronauta operaio: Garrett Reisman impegnato nella manutenzione dei pannelli solari della Stazione Spaziale Internazionale. Credits: NASA/JPL and “The Year in Space”

Il concetto di in situ propellant production (ISPP) fa parte di una più grande categoria: in situ resources utilization (ISRU). Tale approccio prevede l’utilizzo di risorse locali per provvedere alle più varie necessità, quali il supporto vitale di un’eventuale missione pilotata, la fornitura di energia per gli impianti di un avanposto, e appunto la produzione di propellente. Si potrebbe infatti pensare di ottenere l’ossigeno per permettere la sopravvivenza di un equipaggio di astronauti su un certo pianeta, oppure di produrre ossidanti e/o combustibili, sempre tramite il trattamento di risorse locali. Ecco quindi che l’approccio ISRU/ISPP diventa una chiave indispensabile per effettuare viaggi di ritorno, o anche per consentire spostamenti sul corpo celeste di arrivo.

È ovvio però che per poter parlare di ISRU, e quindi di ISPP, è necessario avere una conoscenza approfondita del luogo di arrivo e permanenza, nonché dei corpi celesti che possano fare da tappe intermedie di un’eventuale missione spaziale. Non sono solo gli elementi reperibili in situ (come ad esempio l’anidride carbonica nell’atmosfera marziana) a determinare se l’approccio ISPP può essere praticabile o meno: bisogna tenere in conto anche l’intensità del campo gravitazionale del corpo celeste, le condizioni in cui si trovano gli elementi chiave (dispersi nell’atmosfera, nel sottosuolo, ghiacciati ai poli, ecc.); la quantità di energia solare disponibile, che diminuisce con l’allontanarsi dal Sole. Il primo esempio di ISRU è proprio l’energia solare che è utilizzata in diverse applicazioni, tra le quali l’alimentazione delle batterie, dei rover e altre apparecchiature, il riscaldamento e la propulsione elettrica.

Numerosi studi sono stati effettuati sull’ISRU/ISPP fino a oggi e, anche se ancora in via del tutto teorica, hanno dimostrato che questo tipo di strategia potrà sia ridurre la massa iniziale di lancio, e con essa i costi e i rischi associati alle missioni robotiche e pilotate, sia migliorare o estendere gli obiettivi scientifici e il raggio delle esplorazioni.

Marte e l’anidride carbonica

fig.2 – un particolare della superficie di Marte, fotografato dal Mars Reconnaissance Orbiter. Credits: NASA/JPL and “TheYear In Space”

L’atmosfera marziana è costituita per la maggior parte di anidride carbonica (95.5%), quindi di azoto (2.7%) e argon (1.6%). Il restante 0.2% è costituito prevalentemente da ossigeno (0.15%), vapore acqueo e monossido di carbonio.

Sembrerebbe dunque naturale tentare di trasformare la grande quantità di anidride carbonica in qualcosa di più utile, per esempio del propellente: combinandola infatti con l’idrogeno è possibile produrre metano/ossigeno (dove la prima voce indica il combustibile e la seconda l’ossidante). In alternativa è possibile ottenere monossido di carbonio/ossigeno, senza bisogno in tal caso dell’idrogeno, che se trasportato dalla Terra comporterebbe difficoltà di immagazzinamento dovute alle basse temperature necessarie e agli enormi volumi dei serbatoi, considerata la sua bassa densità. In alternativa è anche possibile sfruttare la CO2 marziana direttamente come ossidante per motori a combustibile metallico (Magnesio o Alluminio).

Altra risorsa di cui tener conto è l’acqua, la cui presenza è ormai accertata ai poli, nella regolite (la miscela di polveri sottili e di detriti rocciosi prodotta dagli impatti dei meteoriti) e nel sottosuolo. Purtroppo però il suo utilizzo comporterebbe gravi problemi, in quanto bisognerebbe trasportare gli impianti necessari all’estrazione e le tubazioni dalla Terra. Queste ultime sono necessarie soprattutto se si atterra lontano dai poli, l’unico luogo dove l’acqua, sotto forma di ghiaccio, è presente in superficie. Sarebbe invece del tutto inefficiente prelevare l’acqua dall’atmosfera, perchè è presente in piccolissima percentuale e la pressione atmosferica sul pianeta è molto bassa (circa 8-13.3 millibar). In queste condizioni servirebbe moltissima energia per trasformare una piccolissima parte di vapore acqueo.

Nell’ipotesi di poter disporre di idrogeno, i vari tipi di propellente ottenibili troverebbero differenti applicazioni, e, a seconda della missione, sarebbe possibile selezionare di volta in volta l’opzione più vantaggiosa, sia dal punto di vista propulsivo che da quello economico. La più utile è di sicuro la propulsione dei veicoli destinati a uscire dal campo gravitazionale di Marte, e in genere metano e metanolo sono i combustibili migliori per i vettori.

Per quanto riguarda i propellenti con impulso specifico più basso, un utilizzo interessante può essere l’alimentazione degli hopper (l’alternativa ai rover), veicoli che, in modo simile alle cavallette da cui prendono il nome, saltano da un punto all’altro del pianeta, percorrendo distanze variabili dalle centinaia di metri ai chilometri, grazie all’uso di motori a razzo alimentabili con monossido di carbonio/ossigeno (CO/O2). Per ottenere questo tipo di propellente non è necessario nessun rifornimento dalla Terra, anzi, secondo alcuni, l’hopper dovrebbe avere direttamente con sé un impianto di produzione di propellente e delle celle solari per alimentarlo (il peso dell’impianto costituirebbe circa la metà del peso del razzo a vuoto). Ovviamente più propellente sarà disponibile al momento del lancio più il salto dell’hopper sarà lungo, ma più tempo ci vorrà per ricostituire le scorte.

Inoltre, portando dalla Terra una riserva di metalli polverizzati, o riuscendo ad estrarli in situ, è possibile utilizzare dei motori CO2-breathing, consentendo quindi l’uso di aerei. Quest’ultima opzione però ha lo svantaggio che la bassa pressione di Marte porta a scarsa spinta, o, in modo equivalente, a largo consumo di combustibile o a grandi dimensioni di presa d’aria e ugello. Altrimenti si può aumentare la spinta dei motori a razzo: esperimenti recenti dimostrano che delle particelle di magnesio bruciano nella CO2 anche a pressioni basse come 10 millibar, rendendo possibile l’uso di motori ramjet su Marte come ausiliari degli endoreattori.

Altri esperimenti sono stati condotti per calcolare le prestazioni di turbojet che hanno evidenziato come tali motori richiedano prese d’aria e ugelli molto grandi, unitamente al fatto che la presenza di compressore e turbina aumenterebbe il peso. Inoltre la turbina subirebbe presto l’accumularsi di carbonio sulle pale, il che ne diminuirebbe l’efficienza fino all’arresto del motore. Ciò porta a scartare l’opzione di motori turbojet sul pianeta rosso.

Ghiaccio lunare

fig.3 -Come potrebbe essere una  futura base sulla Luna

Il grande vantaggio della Luna come sede di risorse naturali consiste nella sua vicinanza e dal fatto che è il corpo celeste che conosciamo meglio. La Luna o in alcuni casi lo spazio circumlunare (vedi Le geometrie invisibili del Sistema Solare), potrebbero ospitare in un futuro prossimo un avanposto da dove osservare l’universo (vedi PAC), e imparare a vivere e lavorare nello Spazio. In seguito, il nostro satellite potrebbe ospitare una base permanente dove costruire gli impanti per lo sfruttamento delle risorse disponibili in situ e fornire servizi alle futture missioni interplanetarie.

La Luna è ricca di risorse: è stata infatti accertata la presenza di ghiaccio ai poli in quantità notevole (oltre 3×1010 tonnellate per ciascun polo) nelle zone in ombra permanente. La regolite è la seconda fonte di minerali lunari: essa infatti è ricca di ossidi di ferro, presenti questi ultimi specialmente nell’ilmenite, che costituisce il 15-33% della regolite lunare. Inoltre nella regolite si trovano una grande varietà di minerali metallici, soprattutto sotto forma di silicati e ossidi di ferro, e anche acqua per meno dell’uno percento.

Data l’accertata presenza di acqua, la scelta più naturale è sottoporla a elettrolisi per ottenere il propellente H2/O2 liquido. Per quanto riguarda la regolite è possibile estrarre solamente ossigeno dall’ilmenite. Bisognerebbe dunque portare dalla Terra l’idrogeno o qualsiasi altro combustibile che bruci con l’ossigeno e non abbia un impulso specifico troppo basso, operazione questa non vantaggiosa; mentre è possibile estrarre ghiaccio tramite diversi procedimenti, quindi riscaldarlo ed elettrolizzarlo, ottenendo sempre idrogeno/ossigeno.

D’altra parte, se si estraessero dalla regolite i vari metalli (tra i quali ferro, titanio, alluminio, magnesio e silicio), questi potrebbero essere utilizzati come combustibile insieme all’ossigeno. Purtroppo però il trattamento della regolite al fine di ottenere i metalli non è semplice: la regolite è un composto omogeneo di diversi metalli, quindi una prima difficoltà si riscontra nell’ottenere un’efficiente separazione del metallo che interessa. Nonostante sia a disposizione la tecnologia necessaria (alcuni metodi sono più conosciuti ed efficienti di altri) l’assenza di atmosfera lunare crea difficoltà di lubrificazione e raffreddamento dei macchinari, che quindi diventano più costosi dei loro corrispettivi terrestri perchè richiedono una progettazione ad hoc. Tali dispositivi peraltro consumano parecchia energia per estrarre il metallo dalla regolite, in particolare nel caso del titanio. Infine sono stati effettuati esperimenti in laboratorio per calcolare gli impulsi specifici dei propellenti metallo/ossigeno, quando interamente prodotti in situ. I risultati però sono stati deludenti: l’impulso specifico massimo è pari a circa 300 secondi per il gruppo alluminio/ossigeno.

Come nel caso di Marte, il propellente fabbricato sulla Luna potrebbe essere utile per uso locale, o per rifornire vettori per il ritorno, consentendo quindi di partire dalla Terra con un peso minore.

I ghiacci di Europa, gli idrocarburi di Titano, asteroidi, comete

fig.4 – Titano, polo nord: i famosi laghi di metano, fotografati dalla sonda Cassini – Huygens. Credits to Wikipedia

Nel Sistema Solare sono numerosi i corpi celesti adatti all’approccio ISPP, citerò i più importanti. Dei 63 satelliti di Giove, Europa è il sesto per vicinanza al pianeta, e presenta una superficie costituita da ghiaccio, duro come il granito a causa delle bassissime temperature, che possono arrivare anche a -220 C. Titano, satellite di Saturno, presenta un’atmosfera più densa del nostro pianeta, con una pressione superficiale di circa 1,5 bar, composta di azoto (98.5%) e, più importante, di idrocarburi: metano ed etilene (1.5%) e ci sono tracce di idrocarburi più pesanti. Sono state fotografate infatti vere e proprie nuvole di metano sul satellite, e ciotoli di acqua ghiacciata erosi da pioggia di metano sulla sua superficie (missione Cassini-Huygens). Titano è composto da roccia e ghiaccio e presenta nei crateri generati dagli impatti di asteroidi dei laghi di idrocarburi, prevalentemente metano, la cui presenza è stata segnalata nel 2007.

Qualche volta comete ricche di ghiaccio e metano allo stato solido, passano nei pressi della Terra, e numerosi sono gli asteroidi che circolano nel nostro Sistema Solare, sulla cui superficie è presente la regolite, ricca di materie prime. Anche questi piccoli corpi potrebbero essere industrializzati e poi usati come tappe intermedie per spedizioni a lungo raggio.

È noto infine che lo Spazio non è completamente vuoto. Specialmente quando si è nell’orbita bassa di un pianeta si possono trovare numerosi elementi chimici, anche se molto rarefatti. Prendendo in considerazione la Terra per esempio, in un’orbita a 300 km di altitudine è possibile trovare piccole quantità di idrogeno, elio, ossigeno atomico e molecolare, azoto e argon. Si potrebbe pensare dunque a un largo collettore conico che raccoglie, a mo’ di presa d’aria, questi residui mentre descrive la sua orbita attorno alla Terra: così facendo si potrebbero recuperare chili di ossigeno atomico ogni giorno!

Fonte: La Sapienza, Università di Roma – Facoltà di Ingegneria. Tesi di laurea  in Ingegneria Aerospaziale:  “Impiego di propellenti raccolti in situ nell’esplorazione spaziale” di Canio Di Turi.

Questo articolo segna la nostra partecipazione al Carnevale della Fisica #23

28 settembre 2011 - Posted by | Astrofisica, Astronautica, Carnevale della Fisica, Planetologia, Scienze dello Spazio | , , , , ,

5 commenti »

  1. […] spaziale”. L’autore si rifece a questa tesi per scrivere per noi l’articolo I primi passi verso l’industrializzazione dello Spazio”. Era il 2011 e non si parlava spesso di ISRU (In situ resources utilization), né tanto meno di […]

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    Pingback di La rivoluzione industriale del Sistema Solare – Il tredicesimo cavaliere 2.0 | 3 Maggio 2016 | Rispondi

  2. […] spaziale”. L’autore si rifece a questa tesi per scrivere per noi l’articolo I primi passi verso l’industrializzazione dello Spazio”. Era il 2011 e non si parlava spesso di ISRU (In situ resources utilization), né tanto meno di […]

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    Pingback di La rivoluzione industriale del Sistema Solare « Il Tredicesimo Cavaliere | 4 gennaio 2016 | Rispondi

  3. […] gettare le basi, entro fine secolo, di un vero e proprio sistema industriale basato nello spazio (ISRU) e largamente indipendente dalla Terra, in profonda sinergia con l’architettura della Difesa […]

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    Pingback di Difesa Planetaria, anno zero « Il Tredicesimo Cavaliere | 13 marzo 2013 | Rispondi

  4. Argomento molto interessante e molto vasto.
    [IMHO forse era anche meglio sfruttare l’argomento per fare diversi articoli più che un unico così lungo]

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    Commento di Gian Luigi | 28 settembre 2011 | Rispondi


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