Il Tredicesimo Cavaliere

Scienze dello Spazio e altre storie

Internet si espande nel Sistema Solare. E oltre?

Immaginate un Internet Siderale, i cui nodi siano costituiti da tutti i manufatti spaziali attualmente in funzione o comunque operativi, e da tutti quelli che verranno lanciati in futuro. Proprio tutti, purché abbiano a bordo un computer, un trasmettitore e un generatore funzionanti: i satelliti in orbita bassa, la ISS, i geostazionari dedicati alle telecomunicazioni e al telerilevamento, gli orbiter, i lander e i rover marziani, le sonde da esplorazione a lungo raggio e anche un buon numero delle infrastrutture, enti di ricerca, società, e università che fanno parte del sistema scientifico – industriale dedicato all’esplorazione dello Spazio. Ecco l’Internet Siderale, una colossale rete wireless e allo stesso tempo mobile, in costante espansione nel cosmo insieme all’Uomo e ai suoi robot. Questa lungimirante visione è frutto della mente di Vint Cerf (nell’immagine), Vicepresidente e Chief Internet Evangelist di Google, uno dei padri di Internet, che sta lavorando all’idea da una decina d’anni. Cerf si è reso conto che l’Internet Siderale non poteva ricorrere alla stessa architettura del primo Internet, ossia alla suite di protocolli nota come TCP/IP, ma aveva bisogno di un nuovo protocollo, basato sulla nozione di “rete a tolleranza di ritardo e di interruzione”, che è stato chiamato semplicemente Bundle Protocol.

Una nuova architettura di rete

Nella maggior parte del mondo, ormai, si può contare su infrastrutture elettriche e telefoniche abbastanza sofisticate e affidabili da consentire il libero accesso del pubblico non sempre alla navigazione in banda larga, ma almeno a servizi telematici di base come la posta elettronica e lo scambio di file tramite FTP. In questo ambiente relativamente protetto, che offre garanzie di connetività a buon livello, la suite di protocolli TCP/IP ha dato prova di funzionare in maniera soddisfacente. Ciò non avviene invece in ambienti estremi, come quello sottomarino, o in zone disastrate, contaminate, o teatro di operazioni belliche. E naturalmente nell’ambiente più estremo di tutti: lo Spazio.

Qualunque apparato o segnale si trovi ad attraversarlo, viene immediatamente esposto all’influenza di svariati elementi che possono pregiudicarne il funzionamento o, nel caso di una trasmissione dati, la qualità e la potenza. Mi riferisco agli effetti dell’attività solare, che sulla Terra vengono di norma filtrati dall’atmosfera o dalla magnetosfera, ossia radiazioni d’ogni lunghezza d’onda e fasci di particelle cariche emessi irregolarmente ad altissima velocità (il cosidetto “vento solare”). Fanno la loro parte anche il rumore della radiazione cosmica di fondo, cioè quanto rimane del calore originario presente alla nascita dell’universo 13,7 miliardi di anni fa, e l’esposizione a violente escursioni termiche, nonché il moto dei pianeti e degli stessi veicoli spaziali, che sono i nodi della nuova Rete. Ma l’elemento perturbante di maggior impatto è qualcosa di cui gli informatici raramente devono tener conto sulla Terra: il “ritardo – luce”, cioè il tempo necessario a un segnale per percorrere, alla velocità della luce, la distanza tra chi trasmette e chi riceve (Esempi: Terra – Luna = 1,28 secondi; Sole – Terra = 8,33 minuti; Sole – Saturno = 1 ora circa).

Ecco quindi prendere corpo l’idea di “rete a tolleranza di ritardo e di interruzione”, un Internet Siderale intermittente e discontinuo, capace di funzionare in qualsiasi ambiente. La parte terrestre della nuova rete è a buon punto e il Bundle Protocol gira già nei computer della ISS, e in quello della sonda EPOXI (ex Deep Impact) che ha appena effettuato un flyby della cometa Hartley 2, a 80 secondi – luce dalla Terra. Nell’anno in corso, Cerf e i suoi collaboratori contano di completare i test del Bundle Protocol per poi offrirlo a tutte le nazioni del mondo in modo che possano liberamente implementarlo nei loro veicoli spaziali, e l’Internet Siderale prenda vita.

Guardare oltre….

Alla nascita dell’Internet Siderale, l’attuale tecnologia sembra essere perfettamente in grado di dare supporto a un complesso sistema di telecomunicazioni esteso a tutto il Sistema Solare. Per guidare i rover della NASA su Marte oppure comunicare alla sonda Cassini di scattare fotografie di Saturno, gli scienziati si affidano oggi al Deep Space Network (DSN) dell’agenzia spaziale americana, la cui antenna è abbastanza potente da mantenere gli scienziati in contatto con Voyager 1 e 2, che si trovano a circa 17,5 miliardi di chilometri dalla Terra, ai confini del Sistema Solare. Ma è roba da poco se paragonata alla distanza di 4,37 anni-luce che ci separa dalle stelle più vicine, ossia il sistema triplo noto come Alpha Centauri. Comunicare a queste distanze con le nostre future sonde interstellari è un vero problema. Infatti le telecomunicazioni risultano indebolite e distorte dal rumore della radiazione cosmica di fondo, che può rendere incomprensibile fino alla metà delle informazioni scambiate tra la Terra e i nostri robot da esplorazione. Così anche se l’Umanità fosse capace di viaggiare tra le stelle, mantenere i contatti potrebbe essere impossibile.

Ma Claudio Maccone (nell’immagine), Direttore Tecnico del International Academy of Astronautics di Parigi e autore di un nuovo studio su questo tema, dice: “Se usiamo il Sole come una lente gravitazionale possiamo mantenere i contatti con le nostre sonde anche a distanze interstellari. Questa è la chiave per esplorare i dintorni del Sistema Solare nei secoli a venire. Anche civiltà aliene potrebbero avere scoperto questo metodo per comunicare a lunga distanza. Se cosi fosse, potremmo essere in grado di intercettare le loro comunicazioni”. Il nostro Sole potrebbe effettivamente rivelarsi il migliore dispositivo possibile per le telecomunicazioni, se la sua gravità potesse essere usata per creare un radiotelescopio gigante in grado di mandare e ricevere segnali enormemente amplificati che potrebbero permetterci perfino di comunicare con una civiltà aliena. (per maggiori informazioni si veda Missione Focal). Questa tecnologia potrebbe essere applicata a radiazioni di qualsiasi lunghezza d’onda, per esempio nello spettro visibile o in quello radio. Anzi, si potrebbe creare una rete ancora più potente posizionando delle sonde relais vicino ad altre stelle per formare ponti radio attraverso il grande vuoto interstellare.

Ponti radio “gravitazionali”

Per crearne uno si dovrebbe cominciare piazzando una sonda relais in corrispondenza del fuoco più vicino della lente gravitazionale del Sole, situato alla distanza di 550 Unità Astronomiche (UA) da esso. Quindi all’altro capo del ponte, continuando con l’esempio di Alpha Centauri, deve essere piazzata una seconda sonda relais per potenziare i segnali in entrata e uscita. Per la maggiore delle tre stelle di tale sistema, che ha massa di poco superiore a quella del Sole, il fuoco gravitazionale più vicino si trova a 749 UA da essa.

Con questi relais in posizione, la percentuale d’errore nelle trasmissioni tra i due capi del ponte crollerebbe da 1 su 2 , a 1 su 2 milioni, pari all’accuratezza raggiunta dal DSN nell’ambito del Sistema Solare. Sorprendentemente, la potenza di trasmissione richiesta è davvero minima, appena un decimo di milliwatt, come dire svariati ordini di grandezza in meno delle antenne del DSN. Maccone ha anche calcolato la posizione dei fuochi e la potenza di trasmissione per due altre stelle nelle vicinanze del Sole: la stella di Barnard, una piccola nana rossa, e Sirio, una gigante blu, che si trovano rispettivamente a una distanza di 5,6 e di 8,6 anni luce dalla Terra.

Tuttavia, la realizzazione di un sistema radio interstellare basato su lenti gravitazionali darebbe un gran da fare agli ingegneri. Tanto per cominciare, i ripetitori dovrebbero restare precisamente allineati uno rispetto all’altro e ai loro amplificatori stellari anche su distanze estreme, afferma Maccone. Ciò richiederebbe un sistema rivoluzionario di navigazione celeste e orientamento, una sorta di GPS galattico basato sulle pulsar. Ma anche se effettivamente questi ponti radio potrebbero aiutarci a tenere i contatti, il limite universale della velocità della luce (e quindi dell’informazione) scoperto da Einstein, implica che il dialogo avrebbe comunque tempi lunghissimi. Data la distanza, una conversazione con una colonia su un ipotetico mondo abitabile (tipo “Avatar”), nel sistema di Alpha Centauri, avrebbe un ciclo domanda – risposta di quasi nove anni. “Attualmente non c’è soluzione al problema del ritardo nelle telecomunicazioni” – dice Maccone – “Ma la buona notizia è che adesso abbiamo un modo affidabile per comunicare attraverso distanze interstellari.”

Fonti:

“Vint Cerf: Deep Space Internet” di Vittorio Solinas  (Wired.it, 12 giugno 2009)

Sun’s Gravity Could Be Tapped to Call E.T.” di Adam  Hadhazy (Space.com, 21 dicembre 2010)

“An Internet designed  for Space” di Paul  Gilster (Centauri Dreams, 23 febbraio 2011)

29 marzo 2011 - Posted by | Astronautica, Ciberspazio, missione FOCAL, Scienze dello Spazio, Volo Interstellare | , ,

2 commenti »

  1. […] il loro stoccaggio in dispositivi minuscoli, leggeri ed economici. Ciò che manca, invece, è la larghezza di banda per il download dei dati su distanze interplanetarie. Si potrebbero quindi costruire dei piccoli […]

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